UN PUNTO DI VISTA ANTROPOLOGICO SULL'ESTREMISMO ALBANESE
di Dimitar Dimitrov
- ("Dnevnik", 14 aprile 2001)
[Come
abbiamo gia' fatto nei numeri scorsi, pubblichiamo a titolo documentativo
un articolo che da' un'idea di come la "crisi" del marzo scorso abbia consentito
ad ampi (e alti) settori dell'establishment macedone di fare un salto di
qualita'
ideologico, in virtu' del quale alcune cose che un tempo venivano espresse
tra le righe, oggi vengono dette e rivendicate apertamente. Scegliamo ancora
un brano dal quotidiano "Dnevnik", fautore della "societa' aperta" e considerato
il piu' autorevole del paese, che fino a poco fa si distingueva dagli organi
di stampa piu' rozzi, avvezzi gia' da tempo alle tirate scioviniste. Si
tratta di un brano razzista nei confronti degli albanesi, nel quale si
sostiene che l'alto tasso di "riproduzione biologica" di questi ultimi
porta direttamente al terrorismo e alla criminalita',
che
gli albanesi sono un problema esterno alla Macedonia (con un abile "cortocircuito"
retorico si lascia intendere che provengono tutti o quasi
da
fuori del paese - un elemento, questo, che e' una costante dei vari sciovinismi
balcanici), che essi costituiscono una minaccia per la democrazia europea
e per la "superiorita'" macedone. L'autore dell'articolo non e' un personaggio
secondario, ma e' un alto esponente della burocrazia al potere, essendo
l'ambasciatore macedone a Mosca. Per chi conosce un po' la storia della
Macedonia, c'e' davvero qualcosa di grottesco e insieme tragico nel leggere
all'inizio del terzo millennio cose del
genere
scritte in nome del popolo macedone, che ha vissuto per decenni duramente
sulla propria pelle le condizioni di sottosviluppo economico e sociale
imposto e di repressione nazionale di cui ora vengono "incolpati" gli albanesi.
Anche
in relazione a questo ultimo aspetto, segue piu' sotto
una breve nota su un altro fenomeno dalle radici razziste: l'uso
giornalistico del termine "slavo" in riferimento ai macedoni.
-
Andrea Ferrario]
- L'ARTICOLO TRADOTTO
Il concetto di base di questo
testo e' che l'estremismo albanese e' fondamentalmente un'espressione della
crisi di civilta' della comunita' albanese, cioe' che esso ha un carattere
immanente, con cause interne a se', e
non nell'Altro. L'Altro
puo' essere uno stimolatore (Tito, Milosevic, Macedonia),
un'alibi (Milosevic) o una
cartina tornasole/una demistificazione (Macedonia). Questa crisi di civilta'
della comunita' albanese puo' essere definita nei termini piu' generali
come un'incoerenza tra il proprio modo interno di vita e la tendenza culturale
dominante nei popoli che circondano tale popolazione nell'Europa Sud-orientale
alla fine del secondo e all'inizio del terzo millennio. Da parte sua,
l'incoerenza ha in primo
luogo il carattere di problema demografico, con molte implicazioni sul
piano interno e su quello esterno. E il problema demografico puo' essere
definito come un modello di doppia asimmetria: in primo luogo,
un'asimmetria tra il livello
di natalita' e il grado di sviluppo materiale-culturale della
popolazione albanese; in
secondo luogo, un'asimmetria tra la natalita' degli albanesi e la natalita'
degli altri popoli della regione.
L'autorevole pubblicista
britannico Brailsford, che ha scritto il libro "Macedonia" (1906) ed e'
stato membro della Commissione d'inchiesta Carnegy del 1913 sulle Guerre
balcaniche, ritiene che gli albanesi siano "recenti invasori" ("recent
invaders") dello spazio vitale macedone. Mezzo secolo dopo questa testimonianza
di Brailsford, i censimenti della popolazione constatavano una tale aritmetica
della crescita della popolazione
albanese nella Repubblica di Macedonia in confronto al rispettivo livello
della popolazione macedone, turca e serba. La galoppante crescita biologica
della popolazione albanese non puo' essere
sostenuta adegutamente dallo
sviluppo economico di quest'ultima. Per tale motivo, questa crescita implica
necessariamente la produzione di miseria e poverta', di una stratificazione
economica e sociale rigida, unitamente a un'espansione sul territorio,
alla desistenza da ogni creativita', alla criminogenita' e all'aggressione
latente. Contrariamente al metodo del riduzionismo politico del pensiero
albanese, che attribuisce forzatamente all'altro la causa del male, adducendo
il motivo della
"ineguaglianza" e della
"discriminazione", da un tale punto di vista, antropologico, il
generatore fondamentale
del male e' la gia' menzionata asimmetria. Una famiglia con molti figli
e poco patrimonio, una comunita' famigliare allargata, l'intera comunita'
albanese, non possono disporre delle condizioni di vita indispensabili
per una socializzazione positiva delle nuove generazioni e per un livello
soddisfacente di qualita' della vita.
Una puerpera che ha gia'
molti figli, trattata ingiustamente, generera' con ogni nuovo parto ineguaglianza
e discriminazione. Una tale intensa riproduzione biologica non puo' essere
adeguatamente sostenuta da una (ri)produzione economica, con un alloggio,
con programmi sociali, educativi, culturali, sportivi, ricreativi, con
la creazione di un profilo professionale che termini con un'occupazione
e
con un'eta' produttiva.
Senza un tale sostegno, l'intensa riproduzione biologica condiziona necessariamente
lo stile di sopravvivenza - occupazione di uno spazio chiuso da muri e
tetti; agonia architettonico-urbanistica; discriminazione sessuale dalla
nascita alla morte; l'aspirazione a modelli esoterici, trascendentali di
educazione e cultura nell'ambito dell'etnos; una storiografia ideologizzata
e romantica funzionalizzata alla conquista di nuovi spazi per gli albanesi
nella
sfera geografica e politica;
la predisposizione all'anomia, all'economia illegale, alla
criminalita'; una forte
tendenza all'emigrazione. Prima di passare all'aspetto
relativo e comparativo della
crisi di civilta' della comunita' albanese, va detto ancora che a differenza
del passato, la mortalita' dei neonati e' stata praticamente eliminata
grazie all'attuale organizzazione sanitaria esistente in Macedonia e che,
inoltre, la riproduzione biologica non (auto)controllata degli altri popoli
balcanici, caratteristica del modello patriarcale e accompagnata da una
scienza medica non ancora sviluppata, e' cessata ormai da generazioni,
unitamente a tale modello.
Tali fatti contribuiscono
a fare si' che la divergenza tra i due modelli di civilta'
acquisti il carattere di
uno scontro drammatico fino a trasformarsi in estremismo e terrorismo,
accompagnati da minacce di migrazioni tattiche e strategiche retrograde
di tipo geopolitico ed etnico, che costituiscono in prospettiva un pericolo
per i sistemi delle comunita' nazional-politiche confinanti - sia per quelle
della
regione piu' ampia che,
in unltima istanza, per il sistema della democrazia europea. Per un fatto
inevitabile, in un determinato spazio geopolitico detto Repubblica di Macedonia,
una minoranza (quella albanese) ha raddoppiato in 40 anni la propria partecipazione
percentuale alla popolazione complessiva dello stato; un'altra
minoranza (quella turca)
ha ridotto la propria partecipazione percentuale di un quarto; una terza
minoranza (quella serba) la ha diminuita di mezzo punto percentuale; mentre
il popolo maggioritario (quello macedone) e' rimasto allo
stesso livello. Va ricordato,
oltre a cio', che nella Convenzione-quadro [della UE] per la difesa dei
membri delle minoranze si avvisano gli stati di non intraprendere misure
mirate alla modifica/diminuzione della partecipazione delle minoranze al
numero complessivo della popolazione dello stato. Quali messaggi provengono,
per la Macedonia, da questo conflitto tra la statistica e la filosofia
europea dei diritti dei membri delle minoranze?
Se si deve parlare di ineguaglianza
e discriminazione, non si ci puo' riferire in
alcun modo alla minoranza
albanese. Cio' puo' valere in primo luogo per la minoranza turca, e quindi
le parole e lo spirito della Convenzione-quadro accusano implicitamente
e post-festum l'ex potere comunista jugoslavo di discriminazione nei confronti
di tale minoranza, che per la maggior parte si e' trasferita in Turchia,
trascinando con se' anche macedoni di religione islamica. Cio', inoltre,
puo' valere
per la popolazione di maggioranza
(e, naturalmente, anche per la minoranza serba,
statisticamente marginale)
- un fatto che crea una situazione senza precedenti, non prevista dalla
Convenzione-quadro: la tendenza a un disequilibrio etnico a favore di una
minoranza (quella albanese) a danno delle altre minoranze (quella turca
e quella serba) e della popolazione di maggioranza (macedoni).
La spiegazione della tendenza
illustrata nega come mito ideologico la tesi secondo cui l'attuale "ineguaglianza"
e "discriminazione" degli albanesi in Macedonia e' una conseguenza del
comunismo. Al contrario, il comunismo puo' essere accusato di avere prodotto
l'ineguaglianza e la discriminazione della minoranza turca e del popolo
macedone. Se nello sfruttamento delle risorse della singola sfera
geopolitica della Repubblica
di Macedonia in 20 anni si e' potuta ampliare la quota della minoranza
albanese, tale matematica parla di una chiara e innegabile suddivisione
delle summenzionate risorse a favore di tale minoranza. Tradotto in lingua
etnica, cio' costituisce un'ingiustizia; tradotto in lingua politica -
un'invasione di tale sfera, un'aggressione e una discriminazione (nei confronti
del popolo macedone e delle altre minoranze). L'evidente compatibilita',
nel caso della comunita' albanese, tra il sistema comunista e il fattore
demografico, documentata
dalla statistica, ha il
suo proseguimento in un riflesso inconsistente, contraddittorio
all'interno del pensiero
albanese, nel quale si puo' individuare ora tragicismo, ora demagogia.
Ricordiamo, per un raffronto,
che nonostante si dicesse che il comunismo fosse superiore, si assistiva
un afflusso/travasamento di popolazione dall'Est all'Ovest, nel caso delle
due Germanie, per esempio, da quella orientale a quella occidentale, da
Berlino Est a Berlino Ovest. Nel nostro caso, quello macedone-albanese,
abbiamo questa situazione: da una parte, la tesi dei leader albanesi secondo
cui gli albanesi in Macedonia sono autoctoni, dall'altra, la forte insistenza
per una liberalizzazione delle condizioni di idoneita' per la cittadinanza
albanese; da una parte, la tesi della "ineguaglianza" e della "discriminazione",
dall'altra la fuga/emigrazione degli albanesi dal Kosovo e dall'Albania
in Macedonia! Queste contraddizioni possono essere comprese e rese intelliggibili
se si tiene conto del presupposto della volonta'
umana (dei leader albanesi)
che gli albanesi si insedino in Macedonia per vivere bene al suo interno.
Lo stesso fatto del trasferimento volontario da un luogo all'altro, da'
in primo luogo a tutto questo il carattere di cacotopia (cattivo luogo),
in secondo luogo, il carattere di utopia (luogo buono, desiderabile). Vale
a dire che coloro i quali immigrano in Macedonia dal Kosovo e dall'Albania,
hanno "dichiarato" facendo cio' che la Macedonia per loro e' la terra promessa,
la salvezza, e che in Kosovo e
Albania non si puo' vivere.
Se per il Kosovo, con il metodo del riduzionismo politico,
potrebbe anche essere comprensibile
una tale connotazione negativa (in considerazione del ruolo storico di
Milosevic), come e' possibile comprendere il caso dell'Albania, lo stato
madre degli albanesi, che non e' ne' sotto l'occupazione serba, ne' sotto
quella albanese, e dalla quale si fugge in una volontaria
"ineguaglianza" e "discriminazione"?
Lo si capisce sulla base del concetto di partenza di questo testo, secondo
cui il problema albanese e' di carattere immanente. Gli albanesi si salvano
con la fuga dalla miseria del Kosovo e
dell'Albania, si insediano
in Macedonia e alzano la voce contro la "ineguaglianza" e la "discriminazione",
chiedendo diritti umani! E' evidente che essi non fanno piu' il confronto
con i propri connanzionali del Kosovo e dell'Albania, bensi' con i macedoni!
Con l'applicazione di questo stesso riduzionismo ad absurdum - astraendo
dalla natalita', dalla durata della permanenza in Macedonia, dal
proprio apporto a essa -
dichiarandosi favorevoli all'europeizzazione e alla
democratizzazione, formano,
nella democrazia macedone, dei partiti politici albanesi; in Macedonia,
rifiutano l'identificazione nazionale macedone, ammessa/sanzionata dalla
Costituzione (di fronte alla quale tutti i cittadini,
indipendentemente dalla
loro appartenenza etnica, religiosa, linguistica ecc. sono uguali) e dalla
Convenzione-quadro (secondo la quale i membri delle minoranze hanno il
diritto di identificarsi direttamente con lo stato nel quale vivono); inoltre,
non accettano lo status di minoranza e i diritti speciali che derivano
dall'appartenenza a una minoranza, prescritti dalla Costituzione e dalla
Convenzione-quadro -
richiedono parita' collettivistiche
in tutti i campi, sostituendo/annullando in tal modo i principi della stratificazine
sociale, dell'economia di mercato e del sistema politico;
infine, richiedono lo status
di nazione costituente, la federazione, la democrazia
consensuale, la separazione,
la liberazione dall'occupazione macedone - una serie di varianti retoriche
dell'idea grande-albanese, dietro alla quale si sono strategicamente schierati
sia i leader albanesi, sia i criminali/terroristi albanesi, mantenendo
una differenza di tattica tra di loro: con il dialogo politico attraverso
le istituzioni del sistema, oppure scavando trincee, uccidendo gli "occupatori",
conquistando militarmente territorio macedone.
Nessun soggetto politico
macedone ha espreso alcuna riserva nei confronti delle
richieste dei terroristi;
e' emerso un nuovo partito politico, che ha inserito
tali richieste nella propria
piattaforma programmatica; un partito parlamentare
ha sospeso la propria partecipazione
ai lavori del Parlamento; il deputato di
un partito che fa parte
del governo della Repubblica di Macedonia ha deciso di
diventare soldato dell'Esercito
di Liberazione Nazionale; il suo partito, per
non rimanere indietro rispetto
ai partiti "albanesi" di opposizione, chiede
allo stesso modo con linguaggio
"europeo" che cominci immediatamente il
dialogo, oggettivamente
con lo stesso programma che i terroristi hanno
proclamato con il linguaggio
delle armi. Una tale dose di concordanza
strategica rende plausibile
il pensiero che anche il terrore sia stato
concordato come mezzo di
convincimento. La condanna formale dei metodi dei
comandanti e soldati "autonomi"
dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, con la
contemporanea solidarizzazione
e il sostegno ai loro obiettivi strategici,
assomigliano eccessivamente
allo scenario di un copione troppo sporco. Cosi',
il desiderio umanamente
comprensibile degli albanesi di insediarsi in Macedonia
e di vivere bene al suo
interno, si trova ad affrontare una nuova difficolta'
logica.
La prima domanda alla quale
bisogna rispondere e' a cosa si deve, e chi ha il
merito della relativa superiorita'
della Macedonia rispetto al Kosovo e
all'Albania? Questa superiorita'
e' dovuta, presumibilmente, ai macedoni - al
popolo che ha creato lo
stato macedone, che, tra le altre cose, nel corso della
Seconda guerra mondiale
ha combattuto anche contro un fronte albanese ("Balli
kombetar") nelle aree occidentali
delal Macedonia, e che per questi motivi e'
un popolo creatore di stato
("drzavotvoren"). E' dovuta al suo contributo di
civilta' protrattosi nel
corso di una tradizione secolare e millenare, al suo
amore per la vita, alla
sua cura per la natura, alla lavorazione della terra,
all'artigianato, alle sue
capacita' di modellare e costruire. Ne consegue
logicamente che la migliore
vita di cui godono gli albanesi in Macedonia
implica la loro partecipazione
al godimento dei beni macedoni (che dal punto di
vista macedone rappresenta
un sequestro o un'invasione, una diluizione di cio'
che e' macedone in cio'
che e' albanese, vale a dire un'albanizzazione). Gia' a
questo livello si crea un
ostacolo per la qualita' di relativa superiorita'
della Macedonia. Quando
l'espansione demografica-geografica-economica-sociale
aumentera' fino a diventare
un'espansione politica e prendera' la forma della
richiesta di trasformazione
della Macedonia (di parte di essa) in Albania,
allora verra' intaccata
proprio tale superiorita', quella che distingua la
Macedonia come terra promessa
rispetto al Kosovo e all'Albania quali luoghi in
cui non si puo' vivere.
Si apre la "prospettiva" di un suo livellamento con il
Kosovo e l'Albania, vale
a dire di una sua negazione (come modello europeo e di civilta', ivi incluso
come stato di diritto).
L'accettazione di questa
"prospettiva" come risposta al problema albanese costituirebbe una grande
sconfitta di civilta' e strategica. Cio' non farebbe altro che aprire la
questione macedone, mentre non chiuderebbe quella albanese. Innegabilmente,
poiche' la Macedonia non e' la causa del problema albanese, essa non puo'
esserne nemmeno la soluzione. In presenza del modello asimmetrico di civilta'
della comunita' albanese, che abbiamo descritto, non solo l'occupazione
di una parte della Macedonia, ma nemmeno l'albanizzazione dell'intera Macedonia
renderebbe piu' felici gli albanesi.
Al contrario, cio' aumenterebbe
ulteriormente l'elemento negativo e causerebbe un'espansione geografica
e politica ancora piu' minacciosa. Il Kosovo, infine, potrebbe essere un
ammonimento sufficiente in tal senso. Per questi motivi,
l'approccio di alcuni consiglieri
del paese, che accettano essi stessi il metodo del riduzionismo politico
e raccomandano in tutta fretta alla Macedonia, in pratica, di
accettare le richieste dei
terroristi albanesi (sconfitti!), non puo' che suscitare scherno, rivolta
e dolore.
(L'autore e' ambasciatore
della Repubblica di Macedonia a Mosca)
-
L'ALTRO RAZZISMO: I MACEDONI DIVENTANO "SLAVI"
Con
l'esplodere della crisi in Macedonia si e' potuto rilevare nei media un
uso massiccio, pressoche' senza eccezioni, dei termini "slavi" e "slavo-macedoni"
per indicare le persone di nazionalita' macedone. Lo hanno fatto giornali
e
media
di ogni tipo: occidentali e balcanici, autorevoli e scandalistici, di sinistra
e di
destra.
L'impiego di questo termine, che a prima vista potrebbe sembrare innocuo,
ha un suo pesante significato politico. E' un'espressione diretta delle
tesi scioviniste di lunga data sull'inesistenza di una nazionalita' macedone,
sulla necessita' di una tutela degli "slavi di Macedonia" da parte dello
stato serbo, bulgaro, greco o addirittura, vista la presunta indeterminatezza
della loro coscienza nazionale,
sul
diritto degli stati confinanti a occuparne le terre. L'impiego di questo
termine ha dietro di se' un secolo di incredibili violenze, sopraffazioni
e repressioni - il suo impiego, ieri come oggi, e' inerentemente razzista,
perche' tende a negare ai macedoni un'identita' nazionale che e' una realta'
da lungo tempo, cioe' li considera, in un certo modo, una nazione "adolescente"
che, anche se non deve
essere
"salvata da se stessa" come affermava di recente degli albanesi il "Guardian",
deve essere comunque tutelata da nazioni "adulte". Un italiano puo' provare
a farsi un'idea dell'effetto che fa ai diretti interessati l'impiego di
questo termine, provando a immaginarsi un'Italia vittima per decenni di
occupazioni e repressioni da parte, che ne so, di una Spagna e una Francia
che considerassero
gli
italiani come in realta' spagnoli o francesi, nella quale oggi i
giornalisti
parlassero di una popolazione "latina" o "latino-italica". L'impiego del
termine
"slavo" da parte di politici o accademici di Belgrado o di Sofia
non
sorprende, mentre invece lascia stupefatti il suo massiccio
impiego
da parte dei giornalisti occidentali.
E',
a suo modo, una testimonianza della superficialita' con cui molti di essi
lavorano, della disponibilita' di fatto ad assecondare i giochi politici
e, non ultimo, della scarsa considerazione per le popolazioni sulle
quali fanno "informazione". A nessuno di tali giornalisti, infatti, e'
venuto in mente di provare a chiedere ai diretti interessati come si identificano
- se lo avessero fatto, dubito che avrebbero ottenuto anche solo in un
caso su centomila la risposta "slavo(a)" (A. Ferrario).
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