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"Kosovo,
se l'occidente appoggia gli estremisti albanesi..."
La ricostruzione della convivenza: parla
Lush Gjergji, prete del dialogo interetnico
di DOMENICO CHIRICO Dopo
più di un anno e mezzo dalla fine della guerra il Kosovo vive
ancora molte difficolta legate alla ricostruzione materiale e civile.
Figura rilevante in quest’area e’ Don Lush Gjergji parroco di Binca e protagonista del movimento nonviolento che ha animato la politica di Rugova e del LDK negli anni ’90 . Il suo villaggio rimane tuttora l’unico luogo del Kosovo dove serbi ortodossi ed albanesi sia cattolici che musulmani convivono quotidianamente senza violenze. Anche se gli scambi e la comunicazione fra le due comunita’ sono limitati, se non inesistenti, il solo fatto che vi sia una reciproca con-presenza e tolleranza in un luogo rende questo villagio un caso del tutto unico. Gli altri villaggi della zona sono enclave protette dai militari della KFOR con sporadiche comunicazioni con gli albanesi, mentre in altre zone del Kosovo la convivenza rimane del tutto impossibile. Durante una
lunga conversazione Don Lush Gjergji ci ha raccontato il lavoro quotidiano
suo e della sua parrocchia per garantire la pacifica convivenza fra le
comunita’ e per costruire un futuro pacifico.
”Ho cominciato - spiega - ad incontrare una volta la mese le vedove e le famiglie chiedendogli di condividere il loro dolore, di ascoltare e secondo le nostre possibilita’ di poterli assistere materialmente. Gli ho chiesto permettetemi di essere un membro della vostra famiglia. Riuscire ad evitare che il sentimento della vendetta, la schiavitu’ del male, si impadronisca delle vittime e’ un lungo processo che richiede attenzone e dedizione costanti. Il sentimento di vendetta si sconfigge con un lavoro sulla propria coscienza non con il tempo come spesso la comunita’ internazionale crede. Il tempo senza quest’impegno puo’ solo peggiorare la situazione e fomentare gli odi”. Buona parte delle famiglie che partecipano regolarmente agli incontri di Don Lush sono di albanesi musulmani ma questo non ha impedito che si creassero sentimenti di fiducia con il parroco e che gli incontri siano diventati sempre piu’ frequentati. “E’ stato decisivo per avviare questo cammino insieme il ruolo delle donne. La tradizione albanese vuole che le donne vedove tornino nel nucleo familiare d’origine e che lascino i figli alla famiglia del marito. Il mio sforzo e’ stato di evitare alle vedove questo ulteriore trauma, siamo riusciti a scongiurare tutte le separazioni. Cio’ e’ stato possible perche’ abbiamo cominciato ad aiutare le donne ad avere una vita dignitosa, a favorirne, nei nostri limiti, le scelte. Siamo riusciti a creare un circuito di reciprocita’ e solidarieta’ fra molte di queste donne. Si frequentano. Parlano insieme dei loro problemi e questo ha evitato un rapporto centrato sulla mia persona nella direzione di un rappporto pluridimensionale. Alcune all’inizio mi dicevano: c’e’ Dio e ci sei tu. Ho risposto ci siete anche Voi”. Per quanto riguarda poi la comunita’ serba don Lush stigmatizza l’immedesimazione che la comunita’ internazionale ha avuto con gli albanesi, il netto sbilanciamento che si e’ creato nell’assistenza e nell’attenzione ai bisogni ed alle emergenze. “ Non si puo’ generalizzare,
ci sono stati esempi coraggiosi di famiglie serbe che hanno difeso ed aiutato
i loro vicini di casa ed i loro amici albanesi, rischiando la loro incolumita’.
La protezione ora assicurata dalla Kfor e’ del tutto fittizzia, incidenti
e violenze continuano, l’enclavizzazione ha creato per i serbi un carcere
collettivo e di certo non aiuta la comunicazione. Solo a distanza di un
anno l’UNMIK ha cominciato ad assistere in maniera sistematica le famiglie
serbe prevedendo per loro aiuti economici.”
“Non si e’ riusciti a creare un sistema efficente di responsabilita’ locale, c’e’stata una completa anarchia che, visto il suo prolungarsi, bisogna pensare che sia stata voluta. Ora c’e’ da capire se il risultato delle elezioni sara’ rispettato nel senso se ci sara’ un’effettiva delega di poteri alle amministrazioni. La scelta di cominciare il processo di democraticizzaqzione dal livello comunale e’ stata giusta ora e’ importante rispettare la scelta della gente. Le elezioni sono state pressoché serene, ha votato il 79% degli aventi diritto e nonostante le ore di fila, le incomprensioni, il desiderio della gente di esprimere il proprio voto ha prevalso. Il senso comune ha poi deciso il risultato delle elezioni, la gente e’ stanca sia degli estremismi, sia del clientelismo che finora ha dominato. La strategia di Rugova si e’ rivelata vincente proponendo la demilitarizzazione effettiva sia degli albanesi sia dei serbi, la scelta del pluralismo come unica forma di esistenza del Kosovo. L’unita’ nella diversita’ come chiave per conciliare le etnie. Ma anche si e’ rivelata giusta la richiesta di una cogestione del Kosovo con la comunita’ internazionale. La nostra classe dirigente ha bisogno di un aiuto nella gestione di questo delicato momento politico ed istituzionale”. Soprattutto
Don Lush nota nella vittoria di Rugova una netta continuita’ con il percorso
non-violento intrapreso attraverso la riconciliazione inter-etnica dagli
albanesi nel 1994. Ed anche chi scrive ha notato parlando con le
persone la stanchezza per il clima di violenza. Spesso sussurata
per timore della prepotenza e della violenza del disciolto UCK, ma presente.
Il bisogno di riprendere un corso normale delle vite e delle esistenze
e’ prioritario per la maggior parte della popolazione. Del resto
la vittoria del partito di Rugova in 27 municipalita’ su 30 dopo un periodo
in cui era stato emarginato dalla gestione del potere parla da se’.
“Noto soprattutto la maturita’ del popolo serbo e la sua capacita’ di esprimere in modo pacifico il dissenso generale, la presa di coscienza e’ stata forte. A mio parere Kostunica non e’ e non puo’ essere Milosevic, il contesto storico e’ del tutto differente. Il problema e’ che 18 partiti si sono uniti con l’unico scopo di cacciare Milosevic senza aver definito un programma comune. Rispetto al Kosovo ora viviamo un cammino parallelo dove sara’ necessaria un’integrazione all’interno del processo di unificazione europea. In questo la comunita’ internazionale non deve essere precipitosa. Deve approntare un programma preciso per i Balcani che attualmente non c’e’, evitare gli euforismi e correre immediatamnte in Serbia. Bisognerebbe favorire uno sviluppo delle infrastruture in Kosovo, rivitalizzare la produzione interna, la disoccupazione e’ un nemico troppo forte che puo’ creare piu’ di un problema alla pacificazione della regione”. Per quanto riguarda poi i rapporti con la Serbia don Lush ricorda i 7000 prigionieri politici tuttora detenuti in Serbia e come la loro liberazione sia un passo necessario per avviare un dialogo. A questo proposito sottolinea la necessita’, in pieno spirito ecumenico, di collaborare con il Patriarcato Ortodosso che essendosi schierato a sfavore di Milosevic deve favorire il cambiamento anche in Kosovo. “I serbi del Kosovo sono attualmente ancora per la maggior parte schierati con Milosevic, la costituzione di un loro partito svincolato da Belgrado li renderebbe piu’ credibili nel gioco politico kosovaro. E’ necessario ora affrontare con calma ed attenzione questo cammino parallelo, evitare di parlare al bambino del matrimonio ma favorirne la crescita, nella consapevolezza che i serbi hanno da giocare un ruolo nel futuro del Kosovo”. La lunga conversazione
termina ascoltando i bisogni materiali della comunita’ la cui soddisfazione
e’ sicuramente uno dei mezzi per favorire la pacificazione della regione.
Ma soprattuto ci appare evidente la necessita’ di un lavoro nonviolento
e riconciliativo che parta da uno sguardo attento e profondo sulle realta’
locali, sul dialogo con le comunita’ e su una tempistica non legata necessariamente
a dei progetti, come spesso la comunità internazionale è
indotta a presumere, ma a tempi meramente umani.
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