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L'economia
che distrugge il pianeta
Edo Ronchi: "Uno sviluppo capace di futuro",
idee e politiche per una svolta ecologica
di BUENAVENTURA A parte l'irritazione per il titolo, che soffre di un eterno malinteso storico che influenza l'arcipelago ambientalista, sono numerose le ragioni per leggere il volume "Uno sviluppo capace di futuro", appena scritto dall'ex ministro verde Edo Ronchi, già militante di Democrazia proletaria (e, per fortuna, si vede...). Mi tolgo subito dalla scarpa il sassolino del titolo: perché, vien fatto di chiedere a Ronchi e agli altri ambientalisti che amano parlare delle "future generazioni", non si parla, invece, di uno sviluppo incapace di presente, dato che è qui e oggi - e non solo dentro scenari di un ipotetico domani - che si possono contare i danni alla salute umana, all'ambiente e alle finanze pubbliche? Ora passiamo all'interessante contenuto del libro, caratterizzato da un pragmatismo riformista di fondo, diciamo una politica di riduzione del danno senza sconvolgenti disegni rivoluzionari della politica e dell'economia. Dai cambiamenti
climatici al degrado alimentare, tutto è legato dalla catena inesorabile
dei meccanismi di mercato nell'epoca del pensiero unico neoliberista.
Nel volume Ronchi esamina via via le caratteristiche dello sviluppo insostenibile che domina il pianeta e tende ad esaurirne le risorse naturali; l'economia di mercato e la necessità di introdurre correttivi per uno sviluppo sostenibile; la globalizzazione dei mercati e la conseguente necessità di politiche ambientali globali; lo scenario dei cambiamenti climatici; le politiche ambientali dell'Unione europea ("un treno che sta acquistanndo velocità"); la situazione italiana (gravi ritardi ma anche "grandi potenzialità riformatrici"). Ci interessa, per concludere, sottolineare qualche passaggio del capitolo intitolato "Economia di mercato e sviluppo sostenibile: gli strumenti economici", nel quale Ronchi tocca i temi, cari a Nonluoghi, dei costi sociali non contabilizzati dell'economia di mercato. Ronchi cita Stephan Schmidheiny, presidente del consiglio delle imprese per lo sviluppo sostenibile: "Il mercato non ha considerato in modo efficace i costi del degrado ambientale: esso ha solo fallito nel coniugare i costi ambientali con decisioni economiche, sia a livello industriale sia governativo. Questi costi - chiamati esternalità - nonrmalmente non rientrano nei costi". Poi, Ronchi spiega: "Abbiamo già visto che i meccanismi che regolano l'economia di mercato tendono a sottovalutare i benefici dei miglioramenti ambientali ed i costi dell'inquinamento. L'inquinamento dell'aria o il taglio di una foresta sono costi esterni, non valutabili dal mercato, nella misura in cui non incidono sui costi di produzione della singola impresa. Le imprese puntano alla massimizzazione dei profitti. Questa finalità prioritaria non produce, di per sè, un interesse a ridurre l'inquinamento. L'inquinamento è, infatti, una diseconomia esterna il cui costo grava sulla collettività, non sulla singola impresa, che non ha quindi un interesse diretto a ridurlo. La tutela del bene pubblico ambientale richiede, quindi, una regolazione del mercato e delle attività delle imprese. I sistemi di regolazione ad oggi prevalenti si basano su strumenti di comando (divieti, prescrizioni, standard) e di controllo (autorizzazioni, monitoraggi, ispezioni e sanzioni amministrative e penali). Tali sistemi di regolazione, pure necessari, non risultano abbastanza efficaci nell'orientare le economia di mercato e le imprese verso la sostenibilità, anche quando sono affidati ad amministrazioni pubbliche efficienti, che dispongono di strumenti di controllo efficaci e di strumenti sanzionatori rapidi e tempestivi. Per questo occorrono strumenti capaci di internalizzare nel mercato i costi ambientali, strumenti che, a parità di risultati, massimizzino i vantaggi e minimizzino i costi delle politiche ambientali; strumenti capaci di attivare un "doppio dividendo", ambientale ed economico, di integrare le politiche ambientali nelle politiche economiche nei settori strategici per lo sviluppo sostenibile: strumenti economici". Da qui l'indicazione
di una serie di conversioni possibili, dal sistema energetico ai trasporti,
dalle tecnologie "dolci" al riciclo, e legislativamente determinabili.
E' interessante, dunque, notare che anche nell'arcipelago ambientalista si fanno strada posizioni che insistono sul tema dei costi sociali del libero mercato, sia pure senza farne, come forse sarebbe conveniente, un momento centrale dell'attività pubblica di questi partiti e movimenti: se invece di dire ai cittadini che bisogna salvare il futuro del pianeta, si dicesse loro che va salvato il presente che produce malattia, morte e inasprimenti fiscali a carico della collettività, forse ci sarebbe qualche reazione oltre il 2% raccolto dagli ecologisti italiani i quali, tra l'altro, più dei loro colleghi di altri Paesi hanno avuto una grave tendenza a sottovalutare il conflitto "rosso-verde" per il quale imporre standard da sviluppo sostenibile può significare esporsi al ricatto occupazionale tradizionalmente esercitato dagli imprenditori per frenare ogni impulso ecologista. Su questo piano
è interessante l'insistenza di Ronchi sulla necessità che
le politiche ambientali, oggi, devono essere globali: "Non basta agire
localmente, occorre agire globalmente per la tutela di beni ambientali
di interesse planetario".
Edo Ronhi
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