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percorsi
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Lo smarrito globale cerca
l'identità nelle radici. Del suo nazionalismo
Desiderio, narcisisno, mito delle origini
e etnocentrismi di ritorno nell'epoca del consumismo
Desiderio d'identità e mito dell'origine Lo stallo del desiderio Il raggiungimento immediato della felicità è il contenuto indiscusso dell'unico imperativo categorico davvero in vigore nella nostra epoca, propagato capillarmente da una pubblicità invadente e perentoria. Quest'ultima, sola forma superstite di paideia efficace, fa assurgere il consumo a rimedio esclusivo dell'insieme variegato di disagi, insicurezze e insoddisfazioni che essa stessa diffonde. Il desiderio - protagonista e vittima sulla scena universale del marketing - in tanto è oggetto d'una miriade di premurose attenzioni miranti senza posa a suscitarlo e moltiplicarlo, in quanto appare l'unico tramite adeguato alla promozione di nuovi consumi. Perciò lo si vede sempre più accarezzato e blandito nelle immagini platinate della propaganda, e simultaneamente mortificato e schiacciato dal discredito diffuso d'ogni possibile gratificazione differita. La prospettiva coatta della sua piena realizzazione ne minaccia la sopravvivenza. Ridotto a mera tendenza a ripetere una precedente esperienza di piacere, il desiderio smobilita davanti al possesso pieno del desiderato. Non ha altra ragion d'essere se non l'appagamento compiuto e definitivo, che l'innalza a oggetto degno d'interesse solo in vista della sua abolizione come desiderio e del suo trionfo come evanescente preludio di possesso e consumo. Ma la "promessa di felicità" che il desiderio già veicola e preconizza, in realtà risulta impossibile da mantenere finché esso prende di mira il fantasma narcisistico d'una gratificazione assoluta. Fra estinzione e fallimento Una figura monca
di desiderio - oscillante tra l'estinzione e il fallimento - conquista
così il centro del nostro immaginario. Forse per questo motivo l'età
dei consumi di massa e dell'economia globale è anche l'epoca della
crescente impossibilità del desiderio, l'epoca della sua frustrazione
che in mille modi lo stuzzica, lo provoca, lo invoca, ma paradossalmente
assai poco lo promuove, e perciò poi con ogni espediente s'affanna,
spesso invano, a risvegliarlo. Uno psichiatra di successo come Willy Pasini
non a caso intitola uno dei suoi ultimi libri Desiderare il desiderio ,
e questo titolo, per dir così "autoreferenziale", esprime bene il
paradosso in cui ci siamo venuti a trovare: il desiderio rischia di scomparire
dal nostro orizzonte, e perciò bisogna darsi da fare per reinvestirlo.
Nostalgia delle origini Si delinea
sotto i nostri occhi una rinnovata figura della nostalgia delle origini.
Secondo Mircea Eliade, com'è noto, nelle società arcaiche
e nelle religioni tradizionali è all'opera la "nostalgia d'un ritorno
periodico al tempo mitico delle origini" , inteso come luogo ideale dell'armonia,
dell'identità e della stabilità, e contrapposto al
tempo storico, per sua natura costellato da alterazioni e minacce alla
continuità del passato, e perciò vissuto come una sorta
di "esilio" che inevitabilmente allontana dalla "patria". Ai giorni nostri,
tuttavia, con l'accentuarsi dell'imperativo di adattamento sociale, la
nostalgia non indica più la malattia dell'esule che si strugge
e deperisce sognando il ritorno a casa, ma - come scrive Jean Starobinski
- consiste essenzialmente nel risalire "verso quegli stadi in cui il desiderio
non doveva tener conto dell'ostacolo esterno e non era condannato a differire
il proprio appagamento"
Le sirene ammalianti dell'identità "L'origine è la meta", "la provenienza è anche futuro": vecchie formule che ritornano, senza le sottigliezze e la raffinatezza degli originali, a esprimere, a orientare pratiche politiche, stati d'animo, modelli di comportamento diffusi. Ma non si tratterà d'un rimedio peggiore del male? È innegabile la propagazione a macchia d'olio di quelle che, in uno dei suoi splendidi reportages dai Balcani nei mesi dell'attacco Nato alla Serbia, Paolo Rumiz ha chiamato "tempeste identitarie". Dal loro scatenarsi emergono a raffica particolarismi gelosi, rivendicazioni aggressive, simbologie arcaiche. L'asettico discorso sociale dominante, compiacendosi erroneamente della propria superiore "scientificità" e razionalità, tende a snobbare e disdegnare l'oscuro aspetto mitologico dell'attaccamento primitivo a un'origine identificante. Non si cura però d'indagare criticamente la propria permeabilità a un'altra inconfessata mitologia: quella che si basa sull'espansione illimitata del dominio totale dell'universo affidato alla tecno-scienza. In tal modo, grazie a questa sintomatica negligenza, si finisce col sottovalutare quanto profondamente lo stesso immaginario moderno dello "sviluppo" tecnico e scientifico, inteso come percorso inarrestabile che porta a compimento le potenzialità immanenti nel processo economico, costituisca il rovescio progressivo del medesimo mito dell'origine, di cui l'arcaismo nostalgico fornisce la variante regressiva. La ex Jugoslavia violenta siamo tutti noi
La stessa terribile violenza che ha insanguinato negli ultimi anni l'ex
Jugoslavia, dove più irrazionale e devastante che altrove è
stata la forza d'attrazione dell'origine, non è un mero segnale
di primitivismo.
Dal multiculturalismo all'etnocentrismo... Non si limita né all'ex Jugoslavia né alla frammentazione dell'ex impero sovietico l'odierno richiamo dell'origine. Il recente successo elettorale di movimenti nazionalisti e populisti in Austria e Svizzera, il loro radicamento sociale nel cuore stesso d'Europa, conferma l'attualità, ma anche la nuova configurazione del desiderio d'identità. Mentre già da qualche tempo "le domande sociali si concentrano sempre più sulla questione dell'identità" , quest'ultima ormai tende a presentarsi come questione etnica: tende cioè a fondarsi esclusivamente sulla rivendicazione naturalistica di un'origine comune. Lo stesso multiculturalismo - come sostiene Guy Hermet - s'è lentamente trasformato in una nuova "versione etnoculturale e comunitaria" del vecchio nazionalismo . La rivendicazione particolaristica, da parte di ciascun gruppo, della propria irriducibile differenza da tutti gli altri, sa essere altrettanto totalizzante e violenta della pretesa universalistica della Stato centralizzato. Area del risentimento e simbologia dell'origine. "La fusione di competitività globale e di disintegrazione sociale non è una condizione favorevole alla costituzione della libertà": scrive così uno spirito illuminato come Ralf Dahrendorf . L'omologazione prodotta dall'intrecciarsi delle economie locali e regionali in un unico spazio-mondo, divenuto un gigantesco mercato competitivo, è costantemente attraversata dalla proliferazione di spaccature profonde e conflitti insanabili. Il che, oltre a fornire più facile appiglio a tentazioni autoritarie, ha come effetto inevitabile la frammentazione della società globale. Quest'ultima tende decisamente alla deterritorializzazione. In conseguenza di ciò, s'allentano i vincoli concreti di socializzazione. E tuttavia, benché minacciate nelle loro inevitabili particolarità, le realtà provinciali e locali sordamente resistono, pronte a riemergere alla prima occasione, trasfigurate in forme mostruose e irrazionali. La tensione fra locale e globale La tensione irriducibile tra "mondo globale e mondi locali" che si fronteggiano all'impazzata è il risvolto inquietante dell'avvento impetuoso della modernità, che però fa di tutto per ignorarla ed esorcizzarla. L'esaltazione tutta moderna del mutamento spazza via le tradizionali stabilità e annulla ogni assoluto. O per meglio dire, rende gli assoluti non più collettivi ma privati, in virtù del fatto che gl'individui moderni non riescono ad autorappresentarsi se non a partire dalla singolarità del proprio punto di vista. Nella distruzione dello spazio pubblico come luogo della mediazione simbolica già alla fine degli anni Cinquanta Hannah Arendt aveva denunciato una tendenza pericolosa della modernità, in cui "non può esistere una vera sfera pubblica, ma solo attività private esibite apertamente" . Gli antichi furori Le fa eco alla
fine degli anni Ottanta quest'osservazione preoccupata di Octavio
Paz: "Non possiamo sapere se le tensioni e i conflitti prodotti da
questa privatizzazione delle idee, delle pratiche e delle credenze che
tradizionalmente appartenevano alla vita pubblica, non finiranno per incrinare
la struttura della società. Gli uomini potrebbero venire nuovamente
posseduti dagli antichi furori religiosi e dai fanatismi nazionalisti".
L'isolamento individuale accentua la ricerca di un'origine condivisa È in
atto sotto i nostri occhi una rincorsa affannosa e disperata a proteggere,
rassicurare e rafforzare individui e gruppi dall'identità indebolita.
Il postulato della provenienza da una sorgente comune, nascosta ma indiscutibile,
apporta il balsamo della speranza e dell'orgoglio che rinvigorisce e risana,
e perciò assume una funzione identificatrice e al tempo stesso rassicurante.
Quanto più s'approfondiscono l'individualismo e la chiusura nel
proprio isolamento, tanto più si diffonde la ricerca quasi mistica
di un'origine condivisa, animata dal desiderio d'una comunicazione immediata.
Quest'ultima è perseguita con l'intento di rafforzare il senso d'appartenenza
a un'entità comune, e permettere così un'autorappresentazione
collettiva altrimenti quasi impossibile.
Narcisismo e modernità tra fragilità e onnipotenza Nell'introduzione
d'un libro recente, dedicato al problema dell'identità nell'era
di Internet, è formulata una domanda cruciale: "Cosa accade
alla socialità e al desiderio sul finire dell'era meccanica?"
L'ossessione delle origini come risposta alle patologie dell'identità Come contestare
che l'ossessione delle origini costituisca allo stato dei fatti l'unica
risposta di successo - benché velleitaria e spesso mortifera - alle
patologie dell'identità che il nostro tempo provoca e lascia
incancrenire?
Narciso muore
per abbracciare la propria immagine riflessa, in cui tuttavia è
incapace di riconoscersi. Anzi in tanto egli arriva ad amarla, in quanto,
non riconoscendovi il proprio "io", si lascia sedurre da un'ombra vaga
e affascinante, resa meravigliosa proprio dalla sua indeterminatezza. Ma
allora, per qual motivo è così sensibile a quest'immagine
in cui non riconosce se stesso? Che cosa c'è di così attraente
e affascinante in questo estraneo che gli sta di fronte? Blanchot suggerisce
l'idea che Narciso sia vittima della propria "fragilità". Questa
fragilità consiste nella non-coincidenza con l'io concreto
o in atto che ciascuno di fatto è. Da una parte, Narciso non si
riconosce in esso; d'altra parte, però, è tanto attaccato
all'immagine di questo io che arriva a morire per abbracciarla.
Ciò che di me sapeste
Ed era forse oltre il
telo
O vero c'era il falòtico
Restò così
questa scorza
Se un'ombra scorgete,
non è
L'avvicendarsi mutevole delle maschere che ricoprono l'essenza profonda e nascosta dell'individuo, rende quest'ultima inaccessibile anche al diretto interessato. La scorza superficiale ne prende il posto, assurgendo addirittura a sostanza. L'ombra soppianta la realtà. La stessa donazione di sé nella comunicazione intersoggettiva diventa impossibile. Eppure, formulandone il voto, la poesia in qualche modo ne pone le premesse, e apporta un balsamo al narcisismo ferito. Ovviamente, però, la maggioranza degli individui insoddisfatti della propria identità e desiderosi di rivincite narcisistiche non s'accontenta dell'effusione lirica. Secondo l'assunto fondamentale d'uno studio ormai classico come quello di Béla Grunberger, "il narcisismo ha sempre un orientamento duplice" : la fragilità individuale da cui discende, messa così bene in luce da Blanchot nel mito di Narciso, si trasforma in onnipotenza, e si carica d'effetti violenti e aggressivi. Ma contrariamente a quanto sostiene Blanchot, che si compiace di ridurre astrattamente la morte a effetto di scrittura, la conclusione tragica del narcisismo non ha solo un aspetto letterario . In realtà, il narcisismo della potenzialità indefinita, apparentemente mortificata dall'identità dell'individuo sociale concreto, trova insperate occasioni di proliferazione e degenerazione nella forza d'attrazione del mito dell'origine. A riprova, si legga
la seguente riflessione di Rada Ivekovic, tratta da uno dei suoi
lucidi e appassionati interventi sulla crisi balcanica, non a caso intitolato
"La penna e il fucile": La funzione del filosofo o dell'intellettuale
oggi […] non è più quella del garante della legge. Forse
è per questo che ad alcuni può venire l'idea di andare a
ripescare miti fondativi, che inventino un'origine pura e assolutamente
autonoma della loro comunità, della loro tribù, della loro
religione. Sono miti che reinterpretano la storia al fine di provare la
nascita da se stessi, a partire da sé e non a partire dall'altro,
indicando una strada senza convivenza […] Le guerre e le pulizie etniche
mostrano tutta la forza narrativa e creativa dei miti di rinnovamento dell'origine,
che questo accada in Jugoslavia o nell'Africa dei Grandi laghi oppure altrove
[…] In queste condizioni, all'apice del conflitto, lo Storico, il Filosofo,
lo Scrittore, l'Intellettuale in genere, hanno la possibilità di
ricorrere, indifferentemente, al fucile o alla penna .
I miti dell'origine, sostenuti da una propaganda aggressiva, e miranti alla morte violenta dell'altro, attecchiscono tanto più facilmente quanto più sono insoddisfatte le identità individuali e collettive. La tendenza della modernità alla dissoluzione dello spazio simbolico rafforza l'onnipotenza immaginaria del desiderio, che si mostra irriducibile ed eversiva tanto rispetto all'identità dell'io quanto rispetto all'alterità dell'altro: ciò che in entrambe lascia insoddisfatti è esattamente la negazione dell'indeterminato e del suo fascino proteiforme. Allorché Emmanuel Levinas individua il nesso tra "primato dell'Identico e narcisismo" come caratteristica dominante della modernità, che culmina nell'esclusione e negazione dell'alterità, mostra il rovescio rovinoso della fragilità narcisistica. Ma come sottrarre il desiderio all'ansia depressiva della passività senza lasciarlo in balìa del risentimento? Elaborare forme inedite
di mediazione simbolica
Questa domanda
costituirà il filo conduttore del libro, organizzato intorno a tre
ordini di questioni: la riabilitazione dello spazio simbolico del desiderio,
derivante dall'analisi della sua dinamica strutturale; una disamina della
genealogia del desiderio, che attraverso fenomenologia e psicoanalisi si
scontrerà con l'irruzione originaria dell'estraneo e del perturbante;
e infine una riformulazione della sua posta in gioco nell'epoca del consumo
di massa caratterizzata dalla "più spaurita delle servitù
volontarie" . In ciascuna delle tre sezioni del libro, l'aspirazione più
profonda del desiderio oscillerà tra regressione narcisistica all'appagamento
immediato e assunzione creativa del futuro. Proprio in virtù di
questo suo ambiguo "eccesso", il desiderio si rivela radicalmente
irriducibile al sociale. Di conseguenza, ne è necessaria una
metamorfosi. Insomma il desiderio dev'essere di volta in volta istituito
e re-istituito. Altro modo per dire che il rischio della sua dissoluzione
è sempre in agguato.
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o | Pubblichiamo
una sintesi
dell'introduzione al nuovo volume "La distruzione del desiderio. Il narcisismo nell'epoca del consumo di massa" diFabio Ciaramelli, in uscita questa settimana dall'editore Dedalo. Fabio
Ciaramelli
L'indice del libro Prefazione:
Desiderio
Lo
stallo del desiderio.
Parte
prima: Lo spazio
Capitolo
Primo:
La
forza magmatica del desiderio
Capitolo
Secondo:
Desiderio
e possesso
Parte
seconda: Genealogia
Capitolo
Terzo: In principio
Verso
un'ontologia indiretta
Capitolo
Quarto: L'irruzione
Attrazione
e repulsione
Parte
terza: La posta
Capitolo
Quinto: Il mito
Disintegrazione
e riabilitazione del
Individualismo
del consumo
Frammentazione
del legame sociale
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