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__________________________________di
Alex Comfort_________
Vi ricorderete come il Mikado si vantasse
di stabilire sempre la pena adeguata al crimine. Se fosse stato uno
dei ministri dellinterno più progressisti che ci siano
stati in Inghilterra, avrebbe detto che la si doveva rendere adeguata
al delinquente. Moltissimi usano questa parola come un eufemismo al
posto di criminale. Voglio cominciare rilevando che questo è
tecnicamente sbagliato. Il crimine è qualcosa che la legge punisce
e nientaltro. Voi probabilmente sapete che la principale massima
del diritto penale afferma che nulla è punibile a meno che la
legge non lo vieti espressamente: i crimini sono azioni che sono proibite
e punibili, e il termine è un termine di carattere legale.
Delinquente è un termine psichiatrico, e indica di solito quel
genere di disturbi mentali che si manifesta nel recare danno ad altri
o alla società nel suo insieme.
Ora, loggetto di studio della psichiatria è la delinquenza,
non il crimine. Penso che comprendiate perché devessere
così: le statistiche criminali, per esempio, sono prive di significato,
perché qualsiasi azione può essere considerata un reato
un giorno e non esserlo più il giorno dopo. Se il parlamento
approva una legge, o il ministro emana un decreto che vieta la vendita
di aringhe lunghe meno di dieci centimetri, questa disposizione cambierà
le statistiche sul crimine. Scelgo un caso estremo per chiarire la distinzione.
Nella maggior parte delle società è senzaltro vero
che la maggior parte dei crimini, almeno quelli più gravi, sono
atti di delinquenza, ma nel corso dellultimo secolo questo è
stato sempre meno vero, a causa della crescita di una legislazione sempre
più smisurata. La distinzione diventa ancora più importante
quando si vogliono utilizzare i metodi psichiatrici nei confronti di
chi è stato dichiarato colpevole da un tribunale.
Devessere del tutto evidente, credo, che quando si sente dire
che tutti i criminali condannati dovrebbero ricevere cure psichiatriche,
che la psichiatria avrebbe ben poco da dire a Robin Hood condannato
per aver ucciso un cervo del re, alluomo che ruba perché
ha fame, ai martiri di Tolpuddle, o a chi è condannato per aver
scommesso sulla pubblica via. Questi non sono casi estremi. Negli ultimi
anni abbiamo visto che si chiedeva agli psichiatri di fare opera di
riabilitazione e di reinserimento sociale nei riguardi di persone che
si rifiutavano di sganciare bombe sulla popolazione civile o di conformarsi
alle leggi razziali del nazismo.
Penso di non dover aggiungere altro per spiegare la distinzione tra
criminale e delinquente, se non sottolineare un aspetto sul quale ritornerò
più avanti, cioè che mentre alcuni delinquenti commettono
dei reati, questo avviene in modo del tutto arbitrario in base alle
leggi vigenti, mentre altri con identico comportamento non sono perseguibili
o sono addirittura importanti esponenti della società contemporanea.
Possono addirittura fare le leggi che determinano la selezione.
Mi limiterò a considerare chi è insieme delinquente e
criminale, in quanto si pone stabilmente al di fuori del consesso sociale
e del suo ambiente in modo da entrare in conflitto con la legge, perché
rappresenta una precisa sfida alle idee della società. Una delle
solite argomentazioni a favore dellesercizio di un potere coercitivo
da parte dello stato è quella che sostiene lesistenza di
delinquenti di questo genere e la necessità di proteggerci da
loro. Ora, io so bene che la maggior parte di noi non accetta questargomentazione,
come non accetta lidea stessa di pena. Quello che voglio fare
oggi è di fornirvi maggiore chiarezza sugli aspetti che, secondo
me, giustificano il nostro rifiuto, anche se, avendo letto molta della
nostra letteratura, io ritengo che ci sia un rischio di sottovalutazione
delle attività di questi delinquenti, quando si presume in modo
piuttosto sconsiderato che in una società libertaria essi scompaiano
e non ci diano più fastidio. E sì vero, credo, che
sia possibile sradicare la delinquenza di questo tipo quasi completamente,
modificando la forma della società, ma solo se ci sono del tutto
chiare le cause precise che la riproducono.
Se parliamo in termini generici di eliminazione del capitalismo o della
coercizione, restiamo nella stessa vaghezza di quei vecchi magistrati
che parlano di miglioramento dello spirito etico della nazione.
La
sola possibilità di eliminare la delinquenza, in una società
anarchica come in qualsiasi altra, si basa sulla capacità di
avere un quadro preciso delle sue cause, come labbiamo per le
malattie epidemiche, e possiamo avere le informazioni necessarie esattamente
allo stesso modo. Vorrei dare unocchiata alle teorie sostenute
in passato sulle cause della delinquenza, poi agli studi più
recenti e infine alle implicazioni di questo lavoro in qualsiasi progetto
di nuove forme sociali che noi volessimo intraprendere.
Nel periodo in cui si è elaborato il diritto penale inglese,
la delinquenza era di norma attribuita a debolezza spirituale. In altri
termini, a cause sovrannaturali. Finché rimase valida questopinione,
i tentativi di approfondire questanalisi furono piuttosto rari
e limitati, pur non mancando del tutto.
Con la crescita del deismo e del naturalismo, lidea del peccato
originale e del male non scomparve subito completamente, ma si tradusse
nel concetto che vedeva una tendenza umana a ricadere nella violenza
fatta al prossimo, e in quello di spinte istintive antisociali che dovevano
essere represse. Noi non accettiamo più la tesi di una tendenza
umana di fondo o, per dir meglio, riconosciamo che gli impulsi aggressivi
sono di norma lopposto degli impulsi sociali, ma dobbiamo accettare
lidea che certe persone abbiano forti impulsi antisociali: il
punto di avvio della criminologia razionale ci fu quando singoli studiosi
cercarono di individuare da dove venissero questi impulsi, perché
in certi erano più evidenti che in altri, e come si potesse porre
rimedio al fenomeno.
Il libro che si considera generalmente allorigine della moderna
psico-criminologia è Dei delitti e delle pene di
Cesare Beccarla, pubblicato nel 1764: si tratta però più
di un appello a un trattamento umano che di uno studio delle cause.
Forse il primo testo che indagò seriamente le cause, anche se
in modo piuttosto erroneo, fu quello del fisionomista Johann Lavater,
che produsse due tra le tesi più persistenti e più fuorvianti
della psicologia: quella del tipo criminale e quella dei tratti della
personalità, che egli dichiarava di saper riconoscere sul volto.
La sua evidenza è assai evidente nellopera di Cesare Lombroso,
allinizio del secolo. Come probabilmente saprete, la tendenza
di Lombroso era quella di presumere che il crimine fosse una predisposizione
innata, come lo sono le capacità artistiche o una grande intelligenza.
Le idee di questo genere hanno fatto sì che i tentativi di trattamento
terapeutico dei delinquenti restassero molto limitati, dato che si pensava
che il delinquente fosse geneticamente diverso da chi non lo era, ma
si basavano su unosservazione molto importante, cioè che
chi commette reati può essere distinto in due categorie molto
nette: quella di chi lo fa per cause ben evidenti, di chi ruba perché
ha fame e uccide perché ha subito unestrema provocazione,
e quella di coloro che, in una minima percentuale, commettono un reato
dopo laltro, spesso ripetendosi nei particolari.
Penso che questo sia un fatto importante da riconoscere, quando si vuole
valutare lassunto politico-teorico secondo il quale la legge e
le forze coercitive dello stato costituirebbero la principale protezione
contro i delinquenti. A prescindere da qualsiasi considerazione sullanarchia,
i fatti dimostrano che una grande percentuale dei reati che si verificano,
e che riguardano il diritto penale e non quello civile, sono opera di
un numero relativamente limitato di persone. I dati che abbiamo ora
e qui a nostra disposizione ci dicono che chiunque di noi è in
grado di compiere unazione di tipo delinquente-criminale, se sufficientemente
provocato: la paura della punizione può servire un poco a mantenerci
nella legalità, ma anche se sparisse, pochissimi di noi si precipiterebbero
fuori a rubare qualcosa o ad ammazzare qualcuno che ci sta antipatico.
Le nostre regole interiori di condotta ci impedirebbero di agire così.
Daltra parte cè un gruppo ben definito di persone
che lo fanno più volte e a dispetto della legge, a dispetto di
varie condanne e molto spesso senza ricavarne grandi vantaggi personali.
Il problema del crimine non è un problema di impulsi antisociali
isolati, innati o naturali. Questi impulsi sono controllati con molta
efficacia dalle società stabili, senza coercizione, grazie a
quelle abitudini di gruppo che ci renderebbero molto riluttanti a passeggiare
nudi per Oxford street, anche se non fossimo arrestati per offesa al
pudore. Il problema del crimine, inteso come una seria minaccia alla
vita e ai diritti dei singoli, è il problema di chi delinque
in modo recidivo, e la sola protezione che lo stato ci offre contro
costui è quella rappresentata dalla sua assenza, quando è
rinchiuso in prigione. Davanti a questo pubblico non cè
bisogno che critichi la tesi dellincarcerazione ai soli fini preventivi.
Se possiamo riabilitare questi individui, lo dobbiamo fare, giacché,
per le stesse buone ragioni di natura politica, si potrebbero incarcerare
i tisici, ma non consideriamo questo una cosa giusta. Dal nostro punto
di vista, limportante è che questa minaccia sociale (sulla
quale lo stato basa tante sue rivendicazioni) scomparirebbe se potessimo
chiarire come mai certe persone diventano delinquenti abituali, se potessimo
eliminare le cause che li rendono tali, individuare e riabilitare i
casi precoci, e così cancellarli allorigine, anche se non
facessimo niente per eliminare i casi dei delinquenti più incalliti.
La seconda scoperta di Lombroso, che lo spinse a considerare congenito
il crimine, riguardava il fatto che il delinquente abituale, quasi invariabilmente,
comincia le sue attività antisociali in giovanissima età.
Sono quasi tutti daccordo sul fatto che se potessimo concentrare
la nostra attenzione sulla delinquenza giovanile, individuare il gruppo
di coloro che sono destinati a diventare delinquenti abituali, distinto
da quello dei semplici ragazzacci, e bloccare il processo a questo punto,
il crimine, come problema amministrativo, praticamente sparirebbe. Ecco
perché oggi cè tanta attenzione sul problema della
delinquenza giovanile da parte degli psichiatri.
Ora, noterete che non parlo del problema in termini esplicitamente rivoluzionari
o anarchici, perché gran parte del lavoro in questo campo è
oggi svolto non da rivoluzionari, ma da psichiatri che cercano di operare,
se non in accordo con il sistema esistente, almeno al suo interno. Io
penso che il loro sia un lavoro importante, e per questa ragione: la
delinquenza non riguarda solo il crimine. Quanto più si sviluppano
lantropologia e la psicologia criminale, tanto più appare
chiaro che i meccanismi che trasformano certe persone in ladri o assassini
recidivi non sono diversi, dal punto di vista dinamico, da quelli che
fanno di qualcuno un delinquente di altro genere, un delinquente socialmente
accettato e non perseguitato, col quale ci troviamo in contrasto ogni
volta che critichiamo il potere e la coercizione come istituzioni. Questa
non è una tesi peculiare dellanarchia: è largamente
e, credo, sempre più accettata in psichiatria.
In quanto anarchici, è il desiderio di dominare il crimine che
più ci spaventa. Noi riconosciamo il fatto che, al momento, le
attività delinquenziali dei governi, e degli individui psicopatici
che stanno al loro interno, rappresentano una minaccia al progresso
sociale molto più grave dei peggiori esempi di reati perseguibili
per legge. Lindividuo che è tanto intelligente e fortunato
quando delinque può riuscire a esprimere i propri disturbi della
personalità in forma non perseguibile; se è sfortunato
o di minore intelligenza, li esprimerà in un modo che viene comunemente
definito un reato. In un altro contesto lo psicopatico aggressivo che
picchia e rapina può essere identico, dal punto di vista psicodinamico,
al carceriere sadico che bastona i prigionieri e ne ha lautorizzazione,
come lagente clandestino di cambio che finisce in prigione si
può assimilare al demagogo che solleva le folle per diventare
il capo del suo partito.
Per questo, un tentativo scientifico di scoprire i fattori reali e concreti,
all'interno della società, della famiglia e dell'individuo, che
portano al crimine del tipo deliquenziale è di per sè
un'attività rivoluzionaria, se per rivoluzione noi intendiamo
l'impegno a trasformare forme sociali inadeguate con un intervento soggettivo,
e qualsiasi contributo a questa ricerca, anche quello che viene da chi
non ne comprende il significato più ampio, è di importanza
vitale per noi rivoluzionari.
C'è anche un altro aspetto. Non sempre noi siamo coerenti. La
maggior parte di noi, credo, rifiuta per principio di indignarsi e di
reagire con richieste di vendetta nei confronti di banditi e assassini,
perché diciamo che il loro comportamento è un risultato
dei difetti di questa società. D'altro canto molto spesso ci
indignamo e possiamo reagire in modo altrettanto passionale, davanti
alle attività di certi gruppi di potere o di singoli governanti;
talvolta, e questo capita più spesso tra gli anarchici, per l'attività
di una classe, o dei governanti nel loro insieme, quanfdo ci sembra
che operino in modo brutale o perverso. Non voglio con questo dire che
dovremmo lasciar perdere la nostra giusta indignazione sociale, come
non dovremmo scrollare le spalle quando ci troviamo davanti a un pluriomicida,
ma penso che qualsiasi movimento rivoluzionario che sia capace, e io
penso che lo siamo, di darsi una base in psichiatria, dovrebbe così
acquisire meglio che in qualsiasi altro modo un equilibrio e un metodo
basato sui peincipi, per affrontare la questione dei mali sociali.
Sono convinto che esiste un unico tipo possibile di rivoluzione, quella
che si basa sullo studio scientifico delle cose che vogliamo favorire
e di quelle che vogliamo eliminare, e della loro messa a punto con mezzi
che definirei psichiatrici e non politici, e che questi sono i criteri
che dobbiamo seguire se vogliamo dare un contributo al progresso umano.
Per andare ancora in là, si sa bene oggi che non solo il potere
statale, ma anche le attività rivoluzionarie spesso dissimulano
le tendenze psicopatiche di chi le pratica. Abbiamo avuto tutti a che
fare, a nostre spese, con il tipo fuori di testa, ed essendo un movimento
minoritario, dobbiamo guardarcene: per quanto ne so, potrei esserlo
io stesso.
E' nostro dovere concreto, e non tra i più facili e semplici,
applicare e riapplicare criteri razionali alle nostre stesse reazioni
e alle nostre opinioni. Il nostro odio per la coercizione e l'autorità
è fondato su dati concreti, o è un modo per scaricare
la nostra aggressività, che altrimenti ci avrebbe portato al
carcere di Dartmoor o al consiglio dei ministri? Non mi soffermerò
su questo punto, ma dovremo ricordarlo di sfuggita. Il delinquente o
lo psicopatico è invariabilmente l'altro, non chi fa uso di questi
termini.
Ora la domanda cruciale è questa: possiamo sperare di intervenire
con efficacia per prevenire lo sviluppo di quel disturbo del comportamento
che porta alla delinquenza? Si tratta, come propongono Lombroso e, ancora
oggi, un certo numero di criminologi, di una malformazione innata? Penso
che possiamo rispondere con un no deciso. Non esistono prove di nessun
genere a supporto di questa tesi, se non un numero limitatissimo di
malati di mente e di psicotici con difetti organici che hanno tendenze
distruttive o dannose, e perfino questi si possono in una certa misura
educare o limitare. Si tratta allora di un effetto economico? E' la
povertà che alimenta il crimine nella misura in cui pensavamo?
E' vero fino a un certo punto, anche se crimine non vuol dire proprio
delinquenza: il crimine, come spero di dimostrare nel giro di un minuto,
è un processo di decomposizione o di rottura e, come molte altre
forme di comportamento esplosivo, può essere il frutto di varie
tensioni non specifiche. Ma la povertà non è assolutamente
l'unica causa e ogni tesi esclusivamente economica non basta a spiegare
il fenomeno.
Se leggete sui giornali, vedrete che tutti conoscono le cause dei reati,
soprattutto di quelli commessi dai minori: vescovi, magistrati, medici,
assistenti sociali, postini e redattori. Purtroppo, tra costoro non
ci sono due sole persone che siano d'accordo. Tra le cause più
citate ci sono lo scarso livello morale in famiglia, dovuto alla mancanza
di un'educazione religiosa oppure per la supposta crescita dei furtarelli,
delle truffe e così via, la carenza di quella che viene definita
disciplina parentale, e il fatto ormai assodato che i bambini rubano
perché vogliono qualcosa: se rubano le caramelle è perché
le desiderano ma non vogliono fare sacrifici per comprarle, il che in
altra forma è la solita tesi spiritualista.
L'unico modo per replicare ad affermazioni di questo genere è
attraverso un'osservazione adeguata, per verificarne l'esattezza. Riserverò
il tempo che mi resta a una ricerca particolarmente importante su questo
tema, appena pubblicata, condotta da Scott per il Carnegie trust. Per
quel che ne so, il ricercatore non è un anarchico, e quindi possiamo
citarlo senza essere accusati di partigianeria. I casi da lui esaminati
riguardano 102 giovani tra i 15 e i 18 anni, che frequentano scuole
inglesi legalmente riconosciute: è un campione piuttosto limitato,
ma i risultati e il metodo sono di grande importanza generale. Purtroppo,
non posso far niente di meglio che riassumerne le conclusioni, ma potete
trovare il libro nelle biblioteche pubbliche: s'intitola Delinquency
and Human Nature e lo raccomando a tutti i presenti. La principale scoperta
di Scott è che, in quasi tutti i casi, il reato, che fosse di
tipo sessuale, un furto o altro, rappresentava una reazione di rottura
e una fortissima tensione interna. In nessun caso un ragazzo aveva rubato
perché desiderava qualcosa: si rubavano oggetti non desiderati,
gli oggetti, una volta rubati, erano dati via. La disciplina imposta
dai genitori era di carattere molto variabile: da molto severa a del
tutto assente. L'educazionereligiosa era presente o assente senza che
il risultato cambiasse. Secondo le stesse parole di Scott, questi cedimenti
a delinquere rappresentano una fuga da una situazione emotiva che, per
il particolare individuo, in seguito a vari condizionamenti del suo
ambiente, diventa almeno temporaneamente insopportabile.
Fra le motivazioni a delinquere Scott indica l'eccitazione da scampo,
che è chiaramente connessa con i reati di efrazione, la compensazione
all'inferiorità, l'attenzione delinquente, il risentimento nei
riguardi dei genitori, il desiderio di uscire di casa. Un'importante
deduzione che si trae da questi riscontri è che l'avere genitori
delinquenti non è una determinante importante, per questa ragione:
la soddisfazione o il sollievo che i delinquenti ricavano dai propri
reati non sono concreti, come lo sono un guadagno o un vantaggio, ma
dipendono quasi del tutto dal fatto che il crimine è qualcosa
che la società respinge, che comporta una punizione, li fa cacciare
di casa o scandalizza i genitori. Un ragazzo che ha un padre scassinatore
non cerca di contrariarlo rubando. La percentuale più grande
(53%) si impegnava in un'attività criminale per dimenticare i
propri problemi domestici vivendo una serie di avventure. Altri cercavano
intenzionalmente di essere arrestati per dispiacere ai propri genitori
o per uscire di casa. Penso che una lettura dei 102 casi qui illustrati
ci dia un quadro realistico di quello che dobbiamo affrontare per trattare
il problema della delinquenza abituale, più di quanto non faccia
l'esame della seconda parte del processo. Il vecchio delinquente ha
la scorza dura: ha un suo equilibrio interno che non è facile
rompere. Ma egli rappresenta il risultato finale del processo. Scott
dimostra con estrema chiarezza che la delinquenza è una nevrosi,
se con questo termine intendiamo una reazione di tipo iterativo a una
situazione che non siamo in grado di reggere, una reazione che è
di per sè inappropriata e inutile, ma che si consolida cme un'abitudine.
Per i nostri scopi dobbiamo procedere oltre e vedere quali siano le
tensioni che hanno creato questa tensione. Erano sostanzialmente tensioni
interne alla famiglia. Il riassunto ce ne fornisce una certa idea: per
comprendere con che cosa dovevano misurarsi questi giovani, per lo più
di buona famiglia, si deve ricorrere alla descrizione dei casi; Scott
ci fornisce ampie categorie che definiscono l'origine dell'ansia, ma
non ne indacano l'intensità o la mancanza di qualsiasi possibilità
di fuga per le vittime: ansia per la salute dei genitori, paura di essere
abbandonati, il non essere desiderati, estraniamento dei genitori, genitori
insoddisfatti, nevrotici, isterici, ottusi, eccessivamente severi; famiglie
sconvolte dalle liti, separazioni, nuovi matrimoni e così via.
Al di sotto si può individuare, se si vuole, qualcuno dei più
classici profili freudiani. Non c'è una causa fondamentale all'origine:
una tensione qualsiasi che incrini la stabilità, la fiducia o
l'affetto all'interno di una famiglia può, in certe condizioni,
produrre più di un'altra la delinquenza, ma in ogni caso l'aggressività,
l'irresponsabilità e la crudeltà del delinquente sono
il risultato di un processo di apprendimento: è un modo di reagire
acquisito, una risposta alla situazione, non un tratto del carattere.
Dietro alla struttura famigliare c'è quella della socialdemocrazia
urbana occidentale: una forma di vita comunitaria impraticabile da molti
punti di vista, una società che tende al consumo, che non valorizza
i suoi figli perché è diventata socialmente disgregante.
La cura che s'impone, stando così le cose, è quella del
decondizionamento, "pone il delinquente in un ambiente in cui le
sue ferite emotive possono al meglio rimarginarsi". Quanta distanza
ci sia dall'idea ortodossa di una pena legale non vale nemmeno la pena
di dirlo. Quanto alla società asociale alla quale dobbiamo tornare,
la sua riforma in questo senso è la nostra principale preoccupazione,
in quanto sostenitori della libertà e dell'aiuto reciproco.
Non ho il tempo né, credo, l'autorità per cercare di applicare
la lezione che emerge da quanto abbiamo detto alle nostre idee di trasformazione
sociale; posso solo indicarvi ancora una volta come la famiglia, ai
fini della formazione del carattere in questo aspetto, e l'intera rete
dei rapporti personali che vi danno un loro apporto, è la chiave
non solo del problema della delinquenza nel suo senso più limitato,
ma in tutti i più ampi contesti sociopolitici che ci interessano
per le nostre aspirazioni di fondare una società non costrittiva
nella quale gli individui si rispettano senza bisogno di sanzioni esterne.
C'è un bel po' da discutere e da studiare in questo senso.
Ci sono due questioni che vorrei sollevare. Prima di tutto, quello che
oggi si fa in questo campo mi sembra offrire molte valide ragioni di
ottimismo. Il campo politico e una rivoluzione del tipo levée-en-masse
cui miravano i primi radicali non hanno mai avuto prospettive tanto
scarse: le nuove conoscenze e le ricerche sul meccanismo sociale e sulla
formazione del carattere degli individui ci forniscono, a mio modo di
vedere, non solo un campo in cui operare con tutte le prospettive di
successo, ma anche la garanzia che le idee che abbiamo sposato, per
varie ragioni, coscienti o incoscienti, fin dai tempi di William Godwin,
sempre più entrano a far parte del pensiero scientifico. In secondo
luogo, voglio sottolineare l'importanza di tenerci al passo col lavoro
che si sta realizzando, di vederne tutti i risultati, che esse confermino
o no le nostre tesi.
Non basta leggere Alexander Neill (il fondatore della Summerhill School,
ndr), perché ci piacciano le sue idee, e non leggere chi lo critica.
Personalmente vorrei vedere un maggioro numero di noi, tra quelli che
lo possono, studiare le scienze sociali e affrontare ricerche in questo
campo. Non che io voglia trasformare il movimento anarchico in una Fabian
Society sociologica, che escluda chi non è uno scienziato. Voglio
vedere realizzato qualcosa mai fatto prima: un tentativo concertato,
non prevenuto e adeguatamente documentato di far conoscere in modo diffuso
e preciso i risultati oggi raggiunti nel campo della psichiatria infantile,
della psicologia sociale e della psicologia politica, come nel passato
abbiamo cercato di diffondere la propaganda rivoluzionaria. Il che certamente
non implica nessuna scissione tra operario e intellettuale: l'operaio
vuole le informazioni, e le vuole subito, proprio come le vuole il medico,
o come l'intellettuale ha bisogno di cibo o carbone: in termini di aiuto
reciproco ognuno si affida all'altro per distribuire questi beni. Penso
che questo sia di integrazione a quanto altri compagni vanno facendo
in fabbrica, rivendicando il controllo operaio o l'autonomia locale:
le due cose marciano insieme.
C'è anche un altro aspetto: molti di noi magari si sentiranno
scoraggiati per l'indifferenza del pubblico di fronte alle questioni
economiche e sindacali che rivelano l'ingiustizia politica; credo che
dovremmo essere degli ottimisti per aspettarci un qualsiasi movimento
di massa che vada nel senso delle nostre idee attuali o, se questo movimento
sorgesse miracolosamente, per credere che il pubblico inglese, condizionato
a vivere in un certo modo e a pensarla in un certo modo, potrebbe essere
portato da un momento all'altro a un livello superiore di responsabilità
individuale.
In quanto movimento minoritario, le nostre maggiori possibilità
stanno nella capacità di fare opinione. Imparando come sono fatti
gli uomini liberi e perché sono scarsi al giorno d'oggi, mi sembra
che la psichiatria svolga un ruolo che non è meno rivoluzionario
anche se non tanto spettacolare. Vorrei suggerirvi che qui, dove potere,
delinquenza e la maggior parte degli squilibri che vogliamo eliminare
possono essere attaccati con i metodi che già sono serviti a
cancellare le malattie epidemiche, noi forse saremo in grado di dare
il contributo più efficace alla creazione del mondo cui aspiriamo.
Traduzione di Guido Lagomarsino.
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20
dicembre 2001
La
distinzione tra criminale e delinquente. Le cause legali del crimine
e le cause sociali della delinquenza. E soprattutto una serrata critica
alla società gerarchica e statale. E' quanto fa Alex Comfort
(1920) in questa conferenza tenuta alla Anarchist Summmer School di
Londra nell'agosto del 1950.
Comfort,
medico specializzato in biochimica è considerato il fondatore
della moderna gerontologia.
Tra i suoi libri tradotti in italiano, "La gioia del sesso"
(Bompiani, 1984), "Più gioia nel sesso" (Centro terapie
sessuali, 1986), "Buongiorno vecchiaia" (Edt, 1991), "Potere
e delinquenza. Saggio di psicologia sociale" (1950, edito in
Italia da Elèuthera nel 1996).
Questo saggio è apparso per la prima volta in italiano nella
rivista Volontà, numero 1 del 1994: ringraziamo l'editrice
A cooperativa e l'autore per avercene concesso la pubblicazione.
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Dio
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Di
VIncenzo Andraous
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