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Dio
è morto in una cella
Dal carcere una
domanda di coinvolgimento della società nelle problematiche della
pena
Ho
letto i risultati del primo rapporto sulle condizioni di detenzione tratte
dal volume “ Il carcere trasparente “ redatto da Antigone.
Ho l’impressione che continuiamo a riparlarci addosso, in una specie di giro vizioso, forse irreparabilmente precostituito, come a voler significare: parliamone spesso, ma parliamone in fretta proprio per non dire niente. Leggo attentamente queste righe, e seppure mi assalgono fremiti antichi, ho netta la sensazione di stare a vedere e peggio sentire sequenze di un film già visto tante e troppe volte. Come se i miei ricordi, fossero improvvisamente fotografie impolverate dagli acciacchi del tempo…che non scorre, ma rimane lì, fermo, a rammentare. Da 28 anni sono in carcere, da qualcuno svolgo attività di tutor nelle comunità “Casa del Giovane” di don Franco Tassone a Pavia, e ancora dimoro in un carcere, per cui ne conosco gli anfratti, le anse, i cambiamenti intercorsi. Mi viene da dire che il carcere non è quello disegnato nei films, nei romanzi, nei fumetti, non è quello sovente strumentalizzato dal sistema mediatico. Il carcere con i suoi molteplici contorcimenti, forse è addirittura irrappresentabile se non lo si tocca con mano. Eppure mi piacerebbe significare un tragitto diverso, un cammino, sì, difficile, ma più vicino al reale. L'immagine che si ha di una prigione è uno schema freddo e sintetico. Uno spazio essenziale, spogliato di ogni riferimento, ove l'anima urla davvero, e potrebbe non esser udita, perché soffocata dalle sue stesse grida, dall"imprecare, sanguinare, chiedere. Uno spazio ove al suo interno non esiste principio né fine, né prima né dopo, alcun tempo. Né sopra né sotto, alcuno spazio. Una dimensione di assoluto e di niente, di vuoto e di pieno. Un movimento presente, passato, futuro; un punto di contatto, di aggregazione, di disgregante follia. Linee e arredi spogli, poveri, insignificanti, ma a ben guardare, nel lungo tempo, divengono segni importanti: presenza viva nonostante tutto. In questa prigione così oscura, tetra e dura, tanto da divenire un incubo, fino a farti ammuffire più del suo tetto-cratere corroso dal tempo: esiste un'umanità che sopravvive e infine chiede di vivere. Allora
non solo il sistema mediatico dovrebbe prendere in esame questa istanza
che non ha nulla di pietistico o vittimistico, affinché divenga
una precisa istanza di interesse collettivo, perché nessuno si
ritenga autorizzato a non farci i conti.
Tutto
ciò perché? Per restituirci almeno in parte alla nostra dignità
di uomini.
Irrisolti,
ma fondamentali quesiti che comportano la frammentazione del panorama penitenziario,
fagocitando la divisione in pseudo feudi delle carceri italiane.
EPPURE IL CARCERE E’ SOCIETA’ Il
rapporto di Antigone è un’istantanea che non consente giustificazioni,
tanto meno pause liberatorie, è un’apnea. E comunque io mi sento
parte della società, da essa provengo e ad essa intendo tornare,
a fronte di decenni di carcere già scontato.
Vincenzo
Andraous
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o | (17
maggio 20001)
Riceviamo
e pubblichiamo
- Altri articoli "Il
criminale? Non esiste..."
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