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Domani:
per un'autonomia senza specialità
Il re è nudo L’ingresso
dell’Italianel
club dell’euro, dunque nell’Unione europea, cambia notevolmente il quadro
di riferimento anche in Trentino-Alto
Adige/Südtirol.
Dopo Maastricht e dopo che, nella notte del due maggio 1998, è stata
ufficializzata[1]
la lista degli undici paesi fondatori della moneta unica europea, per la
regione trentina le cose cambieranno. I sacrifici che hanno migliorato
le performance economiche e ridotto il rapporto tra deficit e prodotto
interno lordo al di sotto del 3%, come richiesto da uno dei criteri di
convergenza stabiliti nel Trattato di Maastricht,
hanno portato all’Italia i frutti sperati. Eppure, in un Trentino Alto
Adige/Südtirol dall’autonomia così speciale, e così
assistita, nonostante un ufficio di corrispondenza a Bruxellesil
dibattito sembrava essere rimasto distante. Quasi ci fosse una campana
di vetro a proteggere la Regionedalle
innovazioni. Una campana così solida e inattaccabile da catalizzare
le invidie delle altre regioni italiane, Venetoin
primis,
che cercano a loro volta di forzare il dibattito sul federalismo, agitando
la minaccia della secessione, per ottenere – pure lì – uno Statuto
di autonomia speciale.
Ma – varato l’euro – tutte le autonomie che saranno speciali potranno
godere dei benefici che attualmente abitano la regione trentino altoatesina?
E che ruolo potrà giocare tale specialità all’interno dell’Unione
europea?
In
tale ottica, l’euforia che – stando alle cronache di giornali e televisioni
locali – si accompagna alla notizia dell’ammissione dell’Italianella
prima fase dell’euro sembra ipocrita. In TrentinoAlto
Adige/Südtirol
ci sono infatti una serie di categorie che, francamente, dall’ingresso
nell’euro-Europa–
che porrà di fronte ad una prospettiva di concorrenza spinta – hanno
tutto da perdere e poco da guadagnare, in termini di benefici spicci.
In
particolare dovrà essere rivisto l’atteggiamento e la capacità
d’azione della classe politica: un cambio di prospettiva. Non ci sarà
più spazio per chi giudica con insofferenza che lo Statodia
alcune indicazioni di carattere generale. Potrebbe un tale gruppo dirigente
convivere con l’Europadi
Maastricht e Amsterdam?
Una costruzione che afferma sì il principio di sussidiarietà(e
comunque, beninteso, esplicitamente agli Stati, ex articolo 3b del Trattato
articolato) ma che si fonda – com’è ovvio nella prospettiva continentale
– sul senso primario del cosiddetto acquis comunitario,
cioè sul corpo delle politiche che sono state già trasferite
a livello europeo. Accetterà tale élite di veder sottoposte
le proprie prerogative normative ad un ulteriore controllo di legittimità? C’è
poi il capitolo della concorrenza. Che deve far riflettere gli imprenditori[2].
Non appena l’Unione europea inizierà a funzionare a regime, si aprirà
un’altra falla nella campana di vetro trentino-altoatesina. I primi risultati
già si vedono: molte sovvenzioni – autentico motore immobile della
politica economica regionale – agli imprenditori che intendono investire
in Trentino non sono più ammesse; diverse norme introdotte dallo
Statuto di autonomia sono state riviste (come quella che concedeva contributi
per lo studio delle lingue solo a chi possedesse la cittadinanza italiana
e la residenza in Alto Adige/Südtirol,
oppure quella sull’edilizia agevolata). Per far sopravvivere questa sorta
di protezionismo trentino, gli ingegneri del contributo stanno escogitando
nuove forme di aiuto in modo da aggirare la normativa comunitaria. Ma probabilmente
il risultato non sarà più lo stesso. Sui fondi strutturali
poi, quelli che l’Ue concede per favorire lo sviluppo (in regione ci sono
diverse aree interessate al cosiddetto obiettivo 5b, destinato a zone rurali
con scarso sviluppo socio-economico) ci sarà un altro giro di vite.
Il commissario europeo per la concorrenza Karel Van Miertha
spiegato che a partire dall’anno 2000 nessuna iniziativa potrà essere
finanziata oltre il 50% con fondi pubblici e, mentre oggi il 51% della
popolazione Ue può usufruire dei fondi strutturali, sempre a partire
dal 2000, la percentuale massima sarà del 43%[3].
Anche in questo caso, l’euro-Europalimiterà
le opportunità di intervento pubblico. Ad ogni livello. Un
terzo motivo di riflessione è costituito dall’ambito finanziario.
Aspetto, questo, che rende ulteriormente perplessi sull’euforia generale
(di facciata) che accompagna in regione l’ingresso dell’Italiain
Europa.
Secondo i dati dell’Ufficio italiano cambi[4]
è in netta progressione il volume degli investimenti di portafoglio
(titoli amministrati dalle banche per conto dei clienti) indirizzati al
Lussemburgo–
paradiso fiscale europeo specializzato in segreti bancari e triangolazioni antitassazione
– dove il commissario europeo Mario Montiha
dichiarato di voler intervenire per eliminare ingiustificati privilegi.
Gli operatori trentini nei primi nove mesi del 1997 hanno effettuato investimenti
di portafoglio per 174 miliardi in Lussemburgo, raddoppiando la cifra rispetto
all’anno precedente (in tutto il 1996 tale volume ammontava a circa 83
miliardi) e quelli altoatesini – sempre nei primi nove mesi del 1997 –
hanno investito in Lussemburgo 331 miliardi (contro i 221 dell’anno precedente;
sempre portafoglio). La relativa esiguità delle cifre non inganni:
innanzitutto tali importi non tengono conto delle operazioni effettuate
tramite operatori fuori regione; in secondo luogo va considerato che con
questi valori il Lussemburgo è comunque la meta privilegiata di
tale tipo di investimenti finanziari della Regione,
a dispetto di Austria,
Germania,
Franciae
di tutti gli altri paesi dell’Unione. Insomma: la finanza trentino altoatesina
“scopre” il Lussemburgo proprio alla vigilia dell’euro e, quando l’Unione
europea decide di neutralizzarne le franchigie, cerca di succhiare gli
(speriamo) ultimi dolciastri rimasugli[5]. Così
l’establishment trentino e altoatesino contrappone l’euforia per un risultato
che ci porta nell’Europadel
(supposto) libero mercato e della moneta unica ad un comportamento marcatamente
protezionista e spesso finanziariamente spregiudicato. C’è qualcosa
che non convince. È decisamente un entusiasmo non giustificato dallo
stato reale dei fatti che dovrebbe gratificare solamente chi ha intenzione
di misurarsi seriamente in regime di concorrenza. E il TrentinoAlto
Adige/Südtirol
sembra essere rimasto fuori da questa leale competizione. A poco vale giustificarsi
ricordando che anche altre regioni hanno (spesso sprecato) dei benefici,
e forse ancora più massicci[6].
«Per la Provincia(di
Trento,
ma il discorso vale anche per Bolzano,
N.d.A.) finirà presto un lungo ventennio segnato da entrate straordinarie
che, anche tenendo conto delle maggiori competenze, hanno fatto crescere
il bilancio fino a sfiorare una spesa di quasi 15 milioni ad abitante»[7].
Perché rallegrarsi dell’entrata in Europa che – per adempiere al
cosiddetto vincolo esterno – costringerà lo Statoa
setacciare a maglia molto più fine i trasferimenti alla Regione(e
alle Province)? Il
dubbio che parte della classe dirigente trentina e – soprattutto – altoatesina/sudtirolese
auspichi che grazie all’Europapossa
essere favorito un avvicinamento con il Tiroloaustriaco
per dare vita all’Euregio Tirolo,
non può non sorgere. E tale progetto, unito a quello dell’Europa
delle regioni[8],
costituisce il sacco amniotico delle pulsioni etnofederaliste, non la culla
del pensiero liberal.
Un disegno che nel medio periodo potrebbe privilegiare il favore alle piccole
patrie fondate su vincoli di nascita (lingua, razza e religione sono demarcatori
già pronti, facilmente individuabili) e – alla fine – finalizzato
nuovamente alla garanzia di illiberali protezionismi.
Inizia
la partita europea. Il
quadro europeo è mutato. La sostanziale tenuta di fronte alle tempeste
finanziarie che hanno coinvolto altre aree geopolitiche (Sud est asiatico
e Giappone) ha dimostrato che la nascita della moneta unica europea può
essere stata un’idea azzeccata (non era proprio questo lo scopo dell’operazione?).
Ora
si annota una nuova contingenza: l’Unione europea è composta da
una maggioranza di governi guidati da coalizioni politiche di centrosinistra.
Anche la Gran Bretagna dei laburisti ha manifestato interesse per l’Europadell’euro
tanto da lasciare intendere che forse chiederanno l’ingresso prima del
2002, cioè prima delle prossime elezioni britanniche[9].
E la priorità sembra ora diventata decisamente quella di dare una
veste politica all’Istituzione. La necessità di regole che governino
i processi economici transnazionali (o globali) è nell’agenda di
ogni politico o intellettuale. Alla centralità dell’individuo –
diventata un punto fermo del mondo occidentale, dopo la caduta del comunismo
– si affianca la volontà di combattere in comune la disoccupazione,
seguendo i modelli che hanno dimostrato più efficacia in questo
compito. Attraverso un dialogo e uno scambio di prospettive e di esperienze,
l’obiettivo è quello di arrivare alla determinazione di politiche
comuni che offrano a tutti le stesse opportunità. In
questa situazione, lo Statuto specialedel
Trentino-Alto
Adige/Südtirol
è fuori tempo e fuori registro. Vive il riflusso. Esso è
fondato sul privilegio della tribù sul singolo cittadino. Drena
risorse dal centro alla stregua di un’appendice infetta in un organismo
già febbricitante, di un motore sopra giri. Antepone una logica
di difesa ad una di proposta. Consente il vegetare di gruppi di interesse
– sedicenti politici
– con il preciso obiettivo di continuare a massimizzare le risorse da ottenere
dallo Stato(tanto
vituperato). Miracolando e indorando i suoi residenti li rammollisce, annichilendo
la partecipazione individuale e dunque la possibilità di affermare
i diritti – in contrapposizione al perdurare dei privilegi. E così
svilisce il concetto di cittadinanza, inteso in senso europeo, con al centro
esatto la responsabilità individuale. Esclude gli appartenenti a
questa terra drogata
da ogni dibattito sul federalismo italiano, sui processi di decentramento
in atto in relazione con le prospettive europee. E
infatti: poiché non esiste alcun punto di vista trentino sul tema
federalista, esso rimane inevitabilmente in mano a veneti e lombardi. Insomma
su una delle questioni che stanno tenendo banco in tutto il territorio
nazionale, laddove il Trentino-Alto
Adige/Südtirol
dovrebbe dimostrarsi all’avanguardia, giocare il proprio ruolo di faro,
frutto dell’essere
laboratorio di
decentramento e autonomia, la regione si trova a subire una politica eterodiretta.
Il contrario esatto dell’intensione concettuale di autonomia.
Perché
l’autogoverno?Ma
allora – ci si potrebbe chiedere a questo punto – perché non lasciare
tutto allo Stato?
Perché non tornare ad una forma (magari più matura) di centralismo
che potrebbe evitare il rischio (reale e ben visibile in Trentino-Alto
Adige/Südtirol)
di un’autonomia costituita da piccoli feudi in mano a signorotti, secondo
il modello dell’«uomo di un altro uomo» individuato dallo storico
Marc Bloch[10]?
Già perché no?
In
prima battuta si potrebbe dire che gli Stati sono troppo piccoli per alcune
attività: si guardi alle recenti tempeste finanziarie, ad esempio,
dalle quali – hanno spiegato molti analisti – l’Europaè
finora rimasta solo parzialmente investita grazie alla moneta unica. Ma
sono troppo grandi per altre: francamente pensare che sia solo lo Statoa
decidere se per il Trentino-Alto
Adige/Südtirol
sia meglio avere prima una ferrovia che lo collega velocemente a Triestee
all’Est oppure a Monacopare
una prospettiva annichilente. In
secondo luogo a spingere all’autogoverno[11]
vi è una innegabile motivazione storico-culturale. Un senso di appartenenza,
come lo chiamano gli antropologi. Che però non può sostanziarsi
esclusivamente in valori ascrittivi – sangue e suolo –, ma deve essere
innanzitutto una libera scelta, un senso civico, una opzione politica,
un «plebiscito di tutti i giorni». Dunque
possono certamente essere utili degli spazi di aggregazione diversi rispetto
allo Stato nazionale. Che non lo eliminino né lo minaccino, ma che
lo completino e lo migliorino. L’Unione europea e il decentramento amministrativo
possono asservire la funzione. Purché le regioni (o province) siano
un momento di collaborazione con «bassi livelli di istituzionalizzazione»[12],
non rigida negli schemi (dunque non euroregioni dai confini definiti –
che inevitabilmente tenderebbero a sostituire lo Stato,
assumendone il modello) ma che si delinea di volta in volta come la migliore
opzione
– contingente, in quel momento – per i cittadini. E che favorisce dunque
una continua contaminazione delle esperienze, quella che l’antropologo
Dario Zadraha
definito «convertibilità culturale»[13].
Insomma: la capacità di scegliere con chi collaborare ogni volta
che c’è da fare qualche cosa diventa un’abilità essenzialmente
politico-strategica. La funzione dello switch,
l’interruttore: a seconda dell’interesse individuato esiste la possibilità
di orientarsi e scegliere il partner più opportuno, con il quale
sviluppare i contenuti e le prospettive. Senza schemi rigidi né
matrimoni. Insomma un nuovo livello di vita politica che non pregiudica
l’appartenenza allo Stato, ma che sviluppa anche altre prospettive. Che
prefigura una maggior consapevolezza nei confronti della politica e dell’amministrazione. Qui
entra in ballo – inoltre – la capacità di definire priorità
politiche senza che i colossali trasferimenti pubblici ripianino poi qualsiasi
scelleratezza. Secondo la logica che tanto
paga Pantalone.
Purtroppo Pantalone (che nella tradizione – ironia della sorte – è
veneto, e di pagare non ne vuol sapere) siamo tutti noi (chi più,
chi meno), anche se tale idea non sembra ancora del tutto assimilata. Dunque
il principio del federalismo fiscale (le risorse vanno recuperate per la
maggior parte laddove poi saranno spese) può diventare un meccanismo
di consapevolezza civile. E di partecipazione. Per
il cittadino ciò sarebbe un nuovo (e ulteriore) metro di giudizio
della classe politica. Constatando quotidianamente che ogni decisione assunta
ha delle ricadute e dei costi non può che aumentare l’attenzione
e la capacità critica. Sapendo che quanto più una zona diventa
ricca e “fertile” tanto più aumentano le capacità contributive
delle singole aree (più reddito prodotto porta a più introiti
fiscali), anche la classe che amministra cercherà giocoforza di
attivare delle politiche che favoriscano lo sviluppo. Dunque
appare legittimo il desiderio di autogoverno. E politicamente auspicabile.
Purché questa formula sia di natura integrativa e non di esclusione.
Attraverso i meccanismi di «convertibilità culturale»
e contaminazione multipla si possono ottenere i migliori contatti, le migliori
energie, il miglior sviluppo individuale e collettivo. Il contrario esatto
delle prospettive dell’etnoregionalismo e della salvaguardia proporzionale
portata avanti dallo Statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol:
barriere e steccati che si sono continuamente alzati, etnie e tribù
che si riuniscono e si chiudono. Con la pretesa di essere tutelate, placcando
d’oro la parte interna del filo spinato. Che loro stesse ergono.
Tutte
le regioni sono eguali ma alcune sono più eguali delle altreSul
tappeto, oggi, c’è dunque una questione di costi. Oltreché
essere semre più difficilmente giustificabile all’esterno, il sistema
di trasferimenti pubblici può produrre effetti indesiderati. Ad
esempio, spiegava qualche tempo fa Sergio Bonifacio,
direttore della banca d’Italiaa
Bolzanodall’agosto
1996, che l’inflazione record in regione «è causata, o da
un aumento di costi, o da un’immissione di moneta in eccesso. Il supporto
finanziario pubblico influisce sul fenomeno inflazionistico su tutti e
due i fronti. Da una parte per la larga circolazione di moneta che si viene
a creare. Dall’altra perché la Provincia concorre a determinare
una struttura di tariffe (per artigiani commercianti ecc.) elevata»[14].
Bisogna
girare pagina. Per chiunque abbia a cuore il senso alto dell’autonomia,
intesa come ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse in un’ottica di
autogoverno e di solidarietà, la vera politica europeista inizia
da adesso. Pur non dimenticando i risultati raggiunti in alcuni campi –
si pensi al fatto che il TrentinoAlto
Adige/Südtirol
è una delle regioni d’Europacon
il numero più basso di disoccupati[15]
– ora bisogna guardare avanti. Se la Regioneha
davvero quelle peculiarità, quelle caratteristiche e quelle capacità
politiche che le sono state in passato riconosciute è il momento
di dimostrarlo. Oggi
viviamo in un mondo completamente altro rispetto all’inizio del secolo,
rispetto al 1948 (primo Statuto), ma anche rispetto al 1972 (secondo Statuto
specialedi
autonomia): c’è bisogno di nuove idee, nuovi segnali di vitalità,
di uno scatto in avanti. La caduta del muro di Berlino, l’inchiesta mani
pulite, l’ingresso in Europa,
sono tutti eventi che hanno profondamente mutato il sistema di relazioni
internazionali e di politica interna che fungeva da modello fino a qualche
anno fa. I riferimenti sono cambiati radicalmente. Alla politica si richiede
oggi qualche cosa di diverso: non basta più garantire i cittadini
dal pericolo comunista, con qualsiasi mezzo. Serve progettualità.
Chi si è trovato a governare il TrentinoAlto
Adige/Südtirol
in questi anni ha certamente un’attenuante: ha dovuto fare i conti con
un nuovo approccio, con nuove difficoltà. E d’ora in avanti sarà
sempre così, con l’aggravante che nuove variabili interverranno
a complicare il quadro della politica: si pensi solo al fatto che – secondo
recenti stime[16]
– nel 2015 il numero dei musulmani presenti in Italia supererà quello
dei cristiani. Si userà, in questo caso, la proporzionale religiosa,
anziché etnica? Torniamo
a noi. Se la decisione politica che fu alla base della concessione dello
Statuto specialedi
autonomia – cioè la salvaguardia dei diritti delle minoranze[17]
– rimane sacrosanta (ex art. 6 della Costituzione italiana), ciò
non significa approfittarne per continuare a trarne ingiustificati benefici.
Ha senso che il TrentinoAlto
Adige/Südtirol
continui a far parte di quelle regioni (tredici nel 1995) ricettrici, cioè
che ricevono dallo Statomolto
più di quanto versano?[18]
La catena che legava assieme la decisione politica di fondo (salvaguardia
delle minoranze) con i sovrabbondanti trasferimenti statali si è
spezzata. E si è spezzata in più punti. Sia sul versante
delle applicazioni politiche (le azioni affermative ormai antistoriche,
illiberali e non più giustificabili, come la proporzionale),
che su quello economico: gli abbondanti flussi di denaro da Romadovevano
costituire l’ossigeno con il quale far respirare le politiche di affermazione
(il corpus legislativo decentrato al livello regionale e provinciale) ed
il rilancio economico di una zona oggettivamente arretrata. L’obiettivo
è stato sostanzialmente raggiunto. Ora è un’immotivata dote,
utilizzata (anche) in maniera inadeguata e sconveniente, come oggi ammettono
(salvo poi evitare di agire di conseguenza) un po’ tutti in regione: dai
politici, agli analisti, alla società civile. E perfino molti imprenditori.
Essere laboratorio significa trovare nuove forme di sviluppo, lontane dal
privilegio. Nel Duemila, continuare a rivendicare specialità
nei confronti delle altre regioni d’Italiae
d’Europa appare fuori luogo e fuori tempo. È un atteggiamento egoista
ed etnoprovinciale[19].
Viceversa: serve l’autonomia, il decentramento amministrativo e (parzialmente)
fiscale, che denotano senso di responsabilità, legittimo desiderio
di autogoverno e consentono di misurare davvero le capacità politiche.
Ma a tutti i livelli e – fatto di principio – estesi a tutti[20].
Garantendo a chiunque le medesime chance di partenza in un’ottica liberale
e democratica. Senza alcuna specialità
di orwelliana memoria. [1]
Il Parlamento europeo ha approvato il documento con 402 voti a favore,
79 contro e 27 astensioni. Nella notte, dopo una lunga maratona per stabilire
a chi andasse la presidenza della Banca centrale europea, anche il Consiglio
ha dato il proprio assenso.
[2]
Vedi l’intervista a Roberto Pepe,
per tre anni direttore della filiale di Trentodella
Banca d’Italia:
«Per
l’economia è l’ora della svolta», in «l’Adige»,
17 luglio 1998.
[3]
Cfr. «la Stampa», 17 marzo 1998.
[4]
Aggiornati al settembre 1997.
[5]
Per una trattazione completa del tema relativo ai paradisi fiscali, si
veda il dossier:
Mercati illegali, in «AltrEconomia»,
maggio 1998. Per l’applicazione trentina c’è l’inchiesta di Domenico
Sartorie
Francesco Terreri,
Nei
paradisi del fisco, in «l’Adige», 20 ottobre 1996.
[6]
Valga per tutti l’esempio della RegioneSicilia,
esemplificato da Gian Antonio Stellain
un articolo intitolato Regione Sicilia, pensioni a prova di qualsiasi
riforma, pubblicato sul «Corriere della Sera» del 12 settembre
1998. E comunque su questa Regione aveva già pensato la Corte dei
Conti a dare un giudizio. Pessimo: in oltre cinquant’anni di autonomia
speciale, la Sicilia ha disperso in modo «scriteriato e assurdo»
le risorse disponibili. Cfr. «la Stampa», 1 luglio 1998. Comunque,
anche in questo campo il TrentinoAlto
Adigenon
ha voluto rimanere troppo indietro, come testimonia l’articolo
I magnifici
dieci delle pensioni d’oro, in «l’Adige», 16 settembre
1998: «La Regione spende 18 miliardi e 450 milioni all’anno per pagare
le pensioni d’oro di 173 ex consiglieri». Il panorama – verosimilmente
non esaustivo – delle risorse gettate alle ortiche è comunque immortalato
nel recente libro di Gian Antonio Stella, Lo spreco, cit.
[7]
Gianfranco Cerea,
Trentino«felix»
ma la strada ora sarà in salita, in «l’Adige», 19
luglio 1998.
[8]
Per l’Unione europea «la peggiore delle prospettive è la cosiddetta
Europadelle
regioni,
in cui unità subnazionali omogenee – e quindi intolleranti – si
uniscono con una formazione sovranazionale retorica e debole». Ralf
Dahrendorf,
Perché
l’Europa?, Laterza, Bari, 1997, p. 55.
[9]
Cfr. «La Stampa» 3 nov. 1998.
[10]
Marc Bloch,
La
società feudale, Torino, Einaudi Pbe, 1987, pp. 171-189.
[11]
Si veda: Sergio Fabbrini,
Autonomiacome
difesa o come governo, in «l’Adige», 3 maggio 1998. Per
una trattazione più ampia: Robert Dahl,
Prefazione
alla teoria democratica, Milano,
Comunità, 1994; Marco Cammelli,
Autogoverno,
in «Dizionario di Politica», Utet, Torino, 1983; Giovanni Sartori,
Democrazia.
Cosa è, Rizzoli, Milano, 1993, pp. 50-53 e 167-171; Sergio Fabbrini,
Quale democrazia, Laterza, Bari, 1994, pp. 169-200.
[12]
Gianni Bonvicini,
Sviluppo
e «potere estero» delle Regioni, «l’Adige»,
20 settembre 1998.
[13]
Cfr. Dario Zadra,
L’Unione
europea e le regioni, in «Economia trentina», 2/’92.
[14]
Cfr. La rivoluzione dell’Euro. Risparmiatori, niente paura, in «l’Adige»,
28 settembre 1997.
[15]
«Secondo i dati Eurostat, con il suo 3,4% di senza lavoro la Regionefa
registrare la seconda performance assoluta rispetto a tutte le altre regioni
d’Europa,
alla pari della Regione greca del Kriti(Creta)
e superata solamente dal Land austriaco Oberösterreich (capoluogo:
Linz,
con il 3,3%)». Cfr. Occupazione, il Nordest modello per l’Europa,
in «l’Adige», 6 dicembre 1997.
[16]
I dati sono stati forniti dal giornalista Gad Lernersu
Rai 2 durante la trasmissione televisiva Pinocchio del 17 settembre
1998.
[17]
Per quanto riguarda il Trentino,
può essere interessante ripercorrere la lettura del camino dell’autonomia
fatta da monsignor Iginio Roggere
raccolta da Pierangelo Giovanettinell’intervista
intitolata significativamente: Autonomiatradita.
Le colpe dei trentini, in «l’Adige», 20 febbraio 1998.
[18]
Cfr. Pasquale Coppola(cur.),
Geografia
politica delle regioni italiane, Einaudi, Torino, 1997, pp. 350-351.
Il saldo negativo della Regionetrentina
nei confronti dello Statoammonta
a 4.504.000 lire. Anche: Le regioni sono «maggiorenni»,
in «la Stampa», 16 ottobre 1998.
[19]
Cfr. Ilvo Diamanti(cur.),
Idee
del Nordest, Fondazione Agnelli, Torino, 1998, p. 212. Per una trattazione
di questi concetti: Gian Enrico Rusconi,
Se
cessiamo di essere una nazione, Il Mulino, Bologna, 1993, in particolare
il secondo capitolo.
[20]
Convincono poco anche i piagnistei di chi sostiene che la regione Trentino-Alto
Adige/Südtirol
senza aiuti straordinari non potrà reggere la competizione economica.
A tal proposito si può leggere il saggio di Robert Leonardi,
L’ascesa
dell’Europameridionale:
centro e periferia nella Comunità europea, in «Rivista
italiana di scienza politica», 3, dicembre 1993: la tesi esposta
con dovizia di dati è che – grazie all’integrazione europea – nel
corso degli ultimi due decenni le regioni dell’Europa meridionale (e comunque
le aree decentrate) si sono notevolmente trasformate sia a livello sociale
che economico.
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o | Trentino:
autonomia speciale, la democrazia dall'alto Capitolo IV «Anche
la lotta verso le cime basta a riempire il cuore di un uomo.immaginare
Sisifo felice».
PREMESSA
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