ii percorsi

Domani: per un'autonomia senza specialità
 
di MAURILIO BAROZZI

Il re è nudo

 
L’ingresso dell’Italianel club dell’euro, dunque nell’Unione europea, cambia notevolmente il quadro di riferimento anche in Trentino-Alto Adige/Südtirol. Dopo Maastricht e dopo che, nella notte del due maggio 1998, è stata ufficializzata[1] la lista degli undici paesi fondatori della moneta unica europea, per la regione trentina le cose cambieranno. I sacrifici che hanno migliorato le performance economiche e ridotto il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo al di sotto del 3%, come richiesto da uno dei criteri di convergenza stabiliti nel Trattato di Maastricht, hanno portato all’Italia i frutti sperati. Eppure, in un Trentino Alto Adige/Südtirol dall’autonomia così speciale, e così assistita, nonostante un ufficio di corrispondenza a Bruxellesil dibattito sembrava essere rimasto distante. Quasi ci fosse una campana di vetro a proteggere la Regionedalle innovazioni. Una campana così solida e inattaccabile da catalizzare le invidie delle altre regioni italiane, Venetoin primis, che cercano a loro volta di forzare il dibattito sul federalismo, agitando la minaccia della secessione, per ottenere – pure lì – uno Statuto di autonomia speciale. Ma – varato l’euro – tutte le autonomie che saranno speciali potranno godere dei benefici che attualmente abitano la regione trentino altoatesina? E che ruolo potrà giocare tale specialità all’interno dell’Unione europea?
In tale ottica, l’euforia che – stando alle cronache di giornali e televisioni locali – si accompagna alla notizia dell’ammissione dell’Italianella prima fase dell’euro sembra ipocrita. In TrentinoAlto Adige/Südtirol ci sono infatti una serie di categorie che, francamente, dall’ingresso nell’euro-Europa– che porrà di fronte ad una prospettiva di concorrenza spinta – hanno tutto da perdere e poco da guadagnare, in termini di benefici spicci.

In particolare dovrà essere rivisto l’atteggiamento e la capacità d’azione della classe politica: un cambio di prospettiva. Non ci sarà più spazio per chi giudica con insofferenza che lo Statodia alcune indicazioni di carattere generale. Potrebbe un tale gruppo dirigente convivere con l’Europadi Maastricht e Amsterdam? Una costruzione che afferma sì il principio di sussidiarietà(e comunque, beninteso, esplicitamente agli Stati, ex articolo 3b del Trattato articolato) ma che si fonda – com’è ovvio nella prospettiva continentale – sul senso primario del cosiddetto acquis comunitario, cioè sul corpo delle politiche che sono state già trasferite a livello europeo. Accetterà tale élite di veder sottoposte le proprie prerogative normative ad un ulteriore controllo di legittimità?

C’è poi il capitolo della concorrenza. Che deve far riflettere gli imprenditori[2]. Non appena l’Unione europea inizierà a funzionare a regime, si aprirà un’altra falla nella campana di vetro trentino-altoatesina. I primi risultati già si vedono: molte sovvenzioni – autentico motore immobile della politica economica regionale – agli imprenditori che intendono investire in Trentino non sono più ammesse; diverse norme introdotte dallo Statuto di autonomia sono state riviste (come quella che concedeva contributi per lo studio delle lingue solo a chi possedesse la cittadinanza italiana e la residenza in Alto Adige/Südtirol, oppure quella sull’edilizia agevolata). Per far sopravvivere questa sorta di protezionismo trentino, gli ingegneri del contributo stanno escogitando nuove forme di aiuto in modo da aggirare la normativa comunitaria. Ma probabilmente il risultato non sarà più lo stesso. Sui fondi strutturali poi, quelli che l’Ue concede per favorire lo sviluppo (in regione ci sono diverse aree interessate al cosiddetto obiettivo 5b, destinato a zone rurali con scarso sviluppo socio-economico) ci sarà un altro giro di vite. Il commissario europeo per la concorrenza Karel Van Miertha spiegato che a partire dall’anno 2000 nessuna iniziativa potrà essere finanziata oltre il 50% con fondi pubblici e, mentre oggi il 51% della popolazione Ue può usufruire dei fondi strutturali, sempre a partire dal 2000, la percentuale massima sarà del 43%[3]. Anche in questo caso, l’euro-Europalimiterà le opportunità di intervento pubblico. Ad ogni livello.

Un terzo motivo di riflessione è costituito dall’ambito finanziario. Aspetto, questo, che rende ulteriormente perplessi sull’euforia generale (di facciata) che accompagna in regione l’ingresso dell’Italiain Europa. Secondo i dati dell’Ufficio italiano cambi[4] è in netta progressione il volume degli investimenti di portafoglio (titoli amministrati dalle banche per conto dei clienti) indirizzati al Lussemburgo– paradiso fiscale europeo specializzato in segreti bancari e triangolazioni antitassazione – dove il commissario europeo Mario Montiha dichiarato di voler intervenire per eliminare ingiustificati privilegi. Gli operatori trentini nei primi nove mesi del 1997 hanno effettuato investimenti di portafoglio per 174 miliardi in Lussemburgo, raddoppiando la cifra rispetto all’anno precedente (in tutto il 1996 tale volume ammontava a circa 83 miliardi) e quelli altoatesini – sempre nei primi nove mesi del 1997 – hanno investito in Lussemburgo 331 miliardi (contro i 221 dell’anno precedente; sempre portafoglio). La relativa esiguità delle cifre non inganni: innanzitutto tali importi non tengono conto delle operazioni effettuate tramite operatori fuori regione; in secondo luogo va considerato che con questi valori il Lussemburgo è comunque la meta privilegiata di tale tipo di investimenti finanziari della Regione, a dispetto di Austria, Germania, Franciae di tutti gli altri paesi dell’Unione. Insomma: la finanza trentino altoatesina “scopre” il Lussemburgo proprio alla vigilia dell’euro e, quando l’Unione europea decide di neutralizzarne le franchigie, cerca di succhiare gli (speriamo) ultimi dolciastri rimasugli[5].

Così l’establishment trentino e altoatesino contrappone l’euforia per un risultato che ci porta nell’Europadel (supposto) libero mercato e della moneta unica ad un comportamento marcatamente protezionista e spesso finanziariamente spregiudicato. C’è qualcosa che non convince. È decisamente un entusiasmo non giustificato dallo stato reale dei fatti che dovrebbe gratificare solamente chi ha intenzione di misurarsi seriamente in regime di concorrenza. E il TrentinoAlto Adige/Südtirol sembra essere rimasto fuori da questa leale competizione. A poco vale giustificarsi ricordando che anche altre regioni hanno (spesso sprecato) dei benefici, e forse ancora più massicci[6]. «Per la Provincia(di Trento, ma il discorso vale anche per Bolzano, N.d.A.) finirà presto un lungo ventennio segnato da entrate straordinarie che, anche tenendo conto delle maggiori competenze, hanno fatto crescere il bilancio fino a sfiorare una spesa di quasi 15 milioni ad abitante»[7]. Perché rallegrarsi dell’entrata in Europa che – per adempiere al cosiddetto vincolo esterno – costringerà lo Statoa setacciare a maglia molto più fine i trasferimenti alla Regione(e alle Province)?

Il dubbio che parte della classe dirigente trentina e – soprattutto – altoatesina/sudtirolese auspichi che grazie all’Europapossa essere favorito un avvicinamento con il Tiroloaustriaco per dare vita all’Euregio Tirolo, non può non sorgere. E tale progetto, unito a quello dell’Europa delle regioni[8], costituisce il sacco amniotico delle pulsioni etnofederaliste, non la culla del pensiero liberal. Un disegno che nel medio periodo potrebbe privilegiare il favore alle piccole patrie fondate su vincoli di nascita (lingua, razza e religione sono demarcatori già pronti, facilmente individuabili) e – alla fine – finalizzato nuovamente alla garanzia di illiberali protezionismi.

Inizia la partita europea. 

Il quadro europeo è mutato. La sostanziale tenuta di fronte alle tempeste finanziarie che hanno coinvolto altre aree geopolitiche (Sud est asiatico e Giappone) ha dimostrato che la nascita della moneta unica europea può essere stata un’idea azzeccata (non era proprio questo lo scopo dell’operazione?).

Ora si annota una nuova contingenza: l’Unione europea è composta da una maggioranza di governi guidati da coalizioni politiche di centrosinistra. Anche la Gran Bretagna dei laburisti ha manifestato interesse per l’Europadell’euro tanto da lasciare intendere che forse chiederanno l’ingresso prima del 2002, cioè prima delle prossime elezioni britanniche[9]. E la priorità sembra ora diventata decisamente quella di dare una veste politica all’Istituzione. La necessità di regole che governino i processi economici transnazionali (o globali) è nell’agenda di ogni politico o intellettuale. Alla centralità dell’individuo – diventata un punto fermo del mondo occidentale, dopo la caduta del comunismo – si affianca la volontà di combattere in comune la disoccupazione, seguendo i modelli che hanno dimostrato più efficacia in questo compito. Attraverso un dialogo e uno scambio di prospettive e di esperienze, l’obiettivo è quello di arrivare alla determinazione di politiche comuni che offrano a tutti le stesse opportunità.

In questa situazione, lo Statuto specialedel Trentino-Alto Adige/Südtirol è fuori tempo e fuori registro. Vive il riflusso. Esso è fondato sul privilegio della tribù sul singolo cittadino. Drena risorse dal centro alla stregua di un’appendice infetta in un organismo già febbricitante, di un motore sopra giri. Antepone una logica di difesa ad una di proposta. Consente il vegetare di gruppi di interesse – sedicenti politici – con il preciso obiettivo di continuare a massimizzare le risorse da ottenere dallo Stato(tanto vituperato). Miracolando e indorando i suoi residenti li rammollisce, annichilendo la partecipazione individuale e dunque la possibilità di affermare i diritti – in contrapposizione al perdurare dei privilegi. E così svilisce il concetto di cittadinanza, inteso in senso europeo, con al centro esatto la responsabilità individuale. Esclude gli appartenenti a questa terra drogata da ogni dibattito sul federalismo italiano, sui processi di decentramento in atto in relazione con le prospettive europee.

E infatti: poiché non esiste alcun punto di vista trentino sul tema federalista, esso rimane inevitabilmente in mano a veneti e lombardi. Insomma su una delle questioni che stanno tenendo banco in tutto il territorio nazionale, laddove il Trentino-Alto Adige/Südtirol dovrebbe dimostrarsi all’avanguardia, giocare il proprio ruolo di faro, frutto dell’essere laboratorio di decentramento e autonomia, la regione si trova a subire una politica eterodiretta. Il contrario esatto dell’intensione concettuale di autonomia.

Perché l’autogoverno?

Ma allora – ci si potrebbe chiedere a questo punto – perché non lasciare tutto allo Stato? Perché non tornare ad una forma (magari più matura) di centralismo che potrebbe evitare il rischio (reale e ben visibile in Trentino-Alto Adige/Südtirol) di un’autonomia costituita da piccoli feudi in mano a signorotti, secondo il modello dell’«uomo di un altro uomo» individuato dallo storico Marc Bloch[10]? Già perché no?

In prima battuta si potrebbe dire che gli Stati sono troppo piccoli per alcune attività: si guardi alle recenti tempeste finanziarie, ad esempio, dalle quali – hanno spiegato molti analisti – l’Europaè finora rimasta solo parzialmente investita grazie alla moneta unica. Ma sono troppo grandi per altre: francamente pensare che sia solo lo Statoa decidere se per il Trentino-Alto Adige/Südtirol sia meglio avere prima una ferrovia che lo collega velocemente a Triestee all’Est oppure a Monacopare una prospettiva annichilente.

In secondo luogo a spingere all’autogoverno[11] vi è una innegabile motivazione storico-culturale. Un senso di appartenenza, come lo chiamano gli antropologi. Che però non può sostanziarsi esclusivamente in valori ascrittivi – sangue e suolo –, ma deve essere innanzitutto una libera scelta, un senso civico, una opzione politica, un «plebiscito di tutti i giorni».

Dunque possono certamente essere utili degli spazi di aggregazione diversi rispetto allo Stato nazionale. Che non lo eliminino né lo minaccino, ma che lo completino e lo migliorino. L’Unione europea e il decentramento amministrativo possono asservire la funzione. Purché le regioni (o province) siano un momento di collaborazione con «bassi livelli di istituzionalizzazione»[12], non rigida negli schemi (dunque non euroregioni dai confini definiti – che inevitabilmente tenderebbero a sostituire lo Stato, assumendone il modello) ma che si delinea di volta in volta come la migliore opzione – contingente, in quel momento – per i cittadini. E che favorisce dunque una continua contaminazione delle esperienze, quella che l’antropologo Dario Zadraha definito «convertibilità culturale»[13]. Insomma: la capacità di scegliere con chi collaborare ogni volta che c’è da fare qualche cosa diventa un’abilità essenzialmente politico-strategica. La funzione dello switch, l’interruttore: a seconda dell’interesse individuato esiste la possibilità di orientarsi e scegliere il partner più opportuno, con il quale sviluppare i contenuti e le prospettive. Senza schemi rigidi né matrimoni. Insomma un nuovo livello di vita politica che non pregiudica l’appartenenza allo Stato, ma che sviluppa anche altre prospettive. Che prefigura una maggior consapevolezza nei confronti della politica e dell’amministrazione.

Qui entra in ballo – inoltre – la capacità di definire priorità politiche senza che i colossali trasferimenti pubblici ripianino poi qualsiasi scelleratezza. Secondo la logica che tanto paga Pantalone. Purtroppo Pantalone (che nella tradizione – ironia della sorte – è veneto, e di pagare non ne vuol sapere) siamo tutti noi (chi più, chi meno), anche se tale idea non sembra ancora del tutto assimilata. Dunque il principio del federalismo fiscale (le risorse vanno recuperate per la maggior parte laddove poi saranno spese) può diventare un meccanismo di consapevolezza civile. E di partecipazione.

Per il cittadino ciò sarebbe un nuovo (e ulteriore) metro di giudizio della classe politica. Constatando quotidianamente che ogni decisione assunta ha delle ricadute e dei costi non può che aumentare l’attenzione e la capacità critica. Sapendo che quanto più una zona diventa ricca e “fertile” tanto più aumentano le capacità contributive delle singole aree (più reddito prodotto porta a più introiti fiscali), anche la classe che amministra cercherà giocoforza di attivare delle politiche che favoriscano lo sviluppo.

Dunque appare legittimo il desiderio di autogoverno. E politicamente auspicabile. Purché questa formula sia di natura integrativa e non di esclusione. Attraverso i meccanismi di «convertibilità culturale» e contaminazione multipla si possono ottenere i migliori contatti, le migliori energie, il miglior sviluppo individuale e collettivo. Il contrario esatto delle prospettive dell’etnoregionalismo e della salvaguardia proporzionale portata avanti dallo Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol: barriere e steccati che si sono continuamente alzati, etnie e tribù che si riuniscono e si chiudono. Con la pretesa di essere tutelate, placcando d’oro la parte interna del filo spinato. Che loro stesse ergono.

Tutte le regioni sono eguali ma alcune sono più eguali delle altre

Sul tappeto, oggi, c’è dunque una questione di costi. Oltreché essere semre più difficilmente giustificabile all’esterno, il sistema di trasferimenti pubblici può produrre effetti indesiderati. Ad esempio, spiegava qualche tempo fa Sergio Bonifacio, direttore della banca d’Italiaa Bolzanodall’agosto 1996, che l’inflazione record in regione «è causata, o da un aumento di costi, o da un’immissione di moneta in eccesso. Il supporto finanziario pubblico influisce sul fenomeno inflazionistico su tutti e due i fronti. Da una parte per la larga circolazione di moneta che si viene a creare. Dall’altra perché la Provincia concorre a determinare una struttura di tariffe (per artigiani commercianti ecc.) elevata»[14].

Bisogna girare pagina. Per chiunque abbia a cuore il senso alto dell’autonomia, intesa come ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse in un’ottica di autogoverno e di solidarietà, la vera politica europeista inizia da adesso. Pur non dimenticando i risultati raggiunti in alcuni campi – si pensi al fatto che il TrentinoAlto Adige/Südtirol è una delle regioni d’Europacon il numero più basso di disoccupati[15] – ora bisogna guardare avanti. Se la Regioneha davvero quelle peculiarità, quelle caratteristiche e quelle capacità politiche che le sono state in passato riconosciute è il momento di dimostrarlo.

Oggi viviamo in un mondo completamente altro rispetto all’inizio del secolo, rispetto al 1948 (primo Statuto), ma anche rispetto al 1972 (secondo Statuto specialedi autonomia): c’è bisogno di nuove idee, nuovi segnali di vitalità, di uno scatto in avanti. La caduta del muro di Berlino, l’inchiesta mani pulite, l’ingresso in Europa, sono tutti eventi che hanno profondamente mutato il sistema di relazioni internazionali e di politica interna che fungeva da modello fino a qualche anno fa. I riferimenti sono cambiati radicalmente. Alla politica si richiede oggi qualche cosa di diverso: non basta più garantire i cittadini dal pericolo comunista, con qualsiasi mezzo. Serve progettualità. Chi si è trovato a governare il TrentinoAlto Adige/Südtirol in questi anni ha certamente un’attenuante: ha dovuto fare i conti con un nuovo approccio, con nuove difficoltà. E d’ora in avanti sarà sempre così, con l’aggravante che nuove variabili interverranno a complicare il quadro della politica: si pensi solo al fatto che – secondo recenti stime[16] – nel 2015 il numero dei musulmani presenti in Italia supererà quello dei cristiani. Si userà, in questo caso, la proporzionale religiosa, anziché etnica?

Torniamo a noi. Se la decisione politica che fu alla base della concessione dello Statuto specialedi autonomia – cioè la salvaguardia dei diritti delle minoranze[17] – rimane sacrosanta (ex art. 6 della Costituzione italiana), ciò non significa approfittarne per continuare a trarne ingiustificati benefici. Ha senso che il TrentinoAlto Adige/Südtirol continui a far parte di quelle regioni (tredici nel 1995) ricettrici, cioè che ricevono dallo Statomolto più di quanto versano?[18] La catena che legava assieme la decisione politica di fondo (salvaguardia delle minoranze) con i sovrabbondanti trasferimenti statali si è spezzata. E si è spezzata in più punti. Sia sul versante delle applicazioni politiche (le azioni affermative ormai antistoriche, illiberali e non più giustificabili, come la proporzionale), che su quello economico: gli abbondanti flussi di denaro da Romadovevano costituire l’ossigeno con il quale far respirare le politiche di affermazione (il corpus legislativo decentrato al livello regionale e provinciale) ed il rilancio economico di una zona oggettivamente arretrata. L’obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto. Ora è un’immotivata dote, utilizzata (anche) in maniera inadeguata e sconveniente, come oggi ammettono (salvo poi evitare di agire di conseguenza) un po’ tutti in regione: dai politici, agli analisti, alla società civile. E perfino molti imprenditori. Essere laboratorio significa trovare nuove forme di sviluppo, lontane dal privilegio. Nel Duemila, continuare a rivendicare specialità nei confronti delle altre regioni d’Italiae d’Europa appare fuori luogo e fuori tempo. È un atteggiamento egoista ed etnoprovinciale[19]. Viceversa: serve l’autonomia, il decentramento amministrativo e (parzialmente) fiscale, che denotano senso di responsabilità, legittimo desiderio di autogoverno e consentono di misurare davvero le capacità politiche. Ma a tutti i livelli e – fatto di principio – estesi a tutti[20]. Garantendo a chiunque le medesime chance di partenza in un’ottica liberale e democratica. Senza alcuna specialità di orwelliana memoria.



[1] Il Parlamento europeo ha approvato il documento con 402 voti a favore, 79 contro e 27 astensioni. Nella notte, dopo una lunga maratona per stabilire a chi andasse la presidenza della Banca centrale europea, anche il Consiglio ha dato il proprio assenso.
[2] Vedi l’intervista a Roberto Pepe, per tre anni direttore della filiale di Trentodella Banca d’Italia: «Per l’economia è l’ora della svolta», in «l’Adige», 17 luglio 1998.
[3] Cfr. «la Stampa», 17 marzo 1998.
[4] Aggiornati al settembre 1997.
[5] Per una trattazione completa del tema relativo ai paradisi fiscali, si veda il dossier: Mercati illegali, in «AltrEconomia», maggio 1998. Per l’applicazione trentina c’è l’inchiesta di Domenico Sartorie Francesco Terreri, Nei paradisi del fisco, in «l’Adige», 20 ottobre 1996.
[6] Valga per tutti l’esempio della RegioneSicilia, esemplificato da Gian Antonio Stellain un articolo intitolato Regione Sicilia, pensioni a prova di qualsiasi riforma, pubblicato sul «Corriere della Sera» del 12 settembre 1998. E comunque su questa Regione aveva già pensato la Corte dei Conti a dare un giudizio. Pessimo: in oltre cinquant’anni di autonomia speciale, la Sicilia ha disperso in modo «scriteriato e assurdo» le risorse disponibili. Cfr. «la Stampa», 1 luglio 1998. Comunque, anche in questo campo il TrentinoAlto Adigenon ha voluto rimanere troppo indietro, come testimonia l’articolo I magnifici dieci delle pensioni d’oro, in «l’Adige», 16 settembre 1998: «La Regione spende 18 miliardi e 450 milioni all’anno per pagare le pensioni d’oro di 173 ex consiglieri». Il panorama – verosimilmente non esaustivo – delle risorse gettate alle ortiche è comunque immortalato nel recente libro di Gian Antonio Stella, Lo spreco, cit.
[7] Gianfranco Cerea, Trentino«felix» ma la strada ora sarà in salita, in «l’Adige», 19 luglio 1998.
[8] Per l’Unione europea «la peggiore delle prospettive è la cosiddetta Europadelle regioni, in cui unità subnazionali omogenee – e quindi intolleranti – si uniscono con una formazione sovranazionale retorica e debole». Ralf Dahrendorf, Perché l’Europa?, Laterza, Bari, 1997, p. 55.
[9] Cfr. «La Stampa» 3 nov. 1998.
[10] Marc Bloch, La società feudale, Torino, Einaudi Pbe, 1987, pp. 171-189.
[11] Si veda: Sergio Fabbrini, Autonomiacome difesa o come governo, in «l’Adige», 3 maggio 1998. Per una trattazione più ampia: Robert Dahl, Prefazione alla teoria democratica, Milano, Comunità, 1994; Marco Cammelli, Autogoverno, in «Dizionario di Politica», Utet, Torino, 1983; Giovanni Sartori, Democrazia. Cosa è, Rizzoli, Milano, 1993, pp. 50-53 e 167-171; Sergio Fabbrini, Quale democrazia, Laterza, Bari, 1994, pp. 169-200.
[12] Gianni Bonvicini, Sviluppo e «potere estero» delle Regioni, «l’Adige», 20 settembre 1998.
[13] Cfr. Dario Zadra, L’Unione europea e le regioni, in «Economia trentina», 2/’92.
[14] Cfr. La rivoluzione dell’Euro. Risparmiatori, niente paura, in «l’Adige», 28 settembre 1997.
[15] «Secondo i dati Eurostat, con il suo 3,4% di senza lavoro la Regionefa registrare la seconda performance assoluta rispetto a tutte le altre regioni d’Europa, alla pari della Regione greca del Kriti(Creta) e superata solamente dal Land austriaco Oberösterreich (capoluogo: Linz, con il 3,3%)». Cfr. Occupazione, il Nordest modello per l’Europa, in «l’Adige», 6 dicembre 1997.
[16] I dati sono stati forniti dal giornalista Gad Lernersu Rai 2 durante la trasmissione televisiva Pinocchio del 17 settembre 1998.
[17] Per quanto riguarda il Trentino, può essere interessante ripercorrere la lettura del camino dell’autonomia fatta da monsignor Iginio Roggere raccolta da Pierangelo Giovanettinell’intervista intitolata significativamente: Autonomiatradita. Le colpe dei trentini, in «l’Adige», 20 febbraio 1998.
[18] Cfr. Pasquale Coppola(cur.), Geografia politica delle regioni italiane, Einaudi, Torino, 1997, pp. 350-351. Il saldo negativo della Regionetrentina nei confronti dello Statoammonta a 4.504.000 lire. Anche: Le regioni sono «maggiorenni», in «la Stampa», 16 ottobre 1998.
[19] Cfr. Ilvo Diamanti(cur.), Idee del Nordest, Fondazione Agnelli, Torino, 1998, p. 212. Per una trattazione di questi concetti: Gian Enrico Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione, Il Mulino, Bologna, 1993, in particolare il secondo capitolo.
[20] Convincono poco anche i piagnistei di chi sostiene che la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol senza aiuti straordinari non potrà reggere la competizione economica. A tal proposito si può leggere il saggio di Robert Leonardi, L’ascesa dell’Europameridionale: centro e periferia nella Comunità europea, in «Rivista italiana di scienza politica», 3, dicembre 1993: la tesi esposta con dovizia di dati è che – grazie all’integrazione europea – nel corso degli ultimi due decenni le regioni dell’Europa meridionale (e comunque le aree decentrate) si sono notevolmente trasformate sia a livello sociale che economico. 
o Trentino:
autonomia speciale, 
la democrazia dall'alto

Capitolo IV

«Anche la lotta verso le cime basta a riempire il cuore di un uomo.immaginare Sisifo felice».
Albert Camus,
Il mito di Sisifo.
 
 

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