i percorsi

Trentino: autonomia speciale, la democrazia dall'alto
 
di MAURILIO BAROZZI

Oggi: salviamo l’autonomia dagli autonomismi

   Il Trentino-Alto Adige/Südtirol è in pericolo. Soffocato e bloccato da una serie di meccanismi politici che ingessano i principali valori della democrazia liberale. E frenano l’economia, dopo averla coccolata – drogandola – per anni. La principale causa di questo stato di cose può essere fatta risalire al perpetuarsi di una situazione di autonomia speciale che – così com’è – oggi non ha più senso.
Dopo il 1992, con la firma della cosiddetta quietanza liberatoria tra Italia ed Austria, la controversia internazionale aperta nel 1959 alla XIV Assem-blea delle Nazioni Unite per la questione altoatesina è chiusa (1): gli abitanti germanofoni dell’Alto Adige/Südtirol – in qualità di cittadini italiani – hanno giustamente acquisito la garanzia dei propri diritti, di esprimersi nella lingua che ritengono più opportuna (tedesco o italiano).
   La regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le due province di Bolzano e Trento, per attuare il pacchetto di misure ritenute idonee alla salvaguardia della minoranze linguistiche, hanno ottenuto capacità legislativa primaria in diverse materie e trasferimenti miliardari dallo Stato. Per parificare le condi-zioni di partenza degli individui dei diversi gruppi linguistici nella possibilità di affermarsi (senza essere penalizzati dal fatto di parlare la lingua di Stato o quella prevalente in Alto Adige/Südtirol, il tedesco) sono state individuate una serie di misure affermative. La proporzionale etnica, per esempio. Che ha permesso di avere accesso ai posti di lavoro pubblici ed alle abitazioni ai membri dei tre gruppi linguistici individuati dallo Statuto (tedesco, italiano e ladino) in proporzione diretta con la propria consistenza sul territorio (2). Ed è stato pure studiato il modo di garantire una rappresentanza politica equilibra-ta nelle istituzioni attraverso la designazione riservata di seggi consiliari. Queste azioni affermative trovavano in origine giustificazione filosofica nel principio secondo il quale ogni individuo deve essere messo nelle condizioni di scegliere la lingua con cui esprimersi senza però essere condizionato dal fatto che nessuno poi lo capisca. È stato così importante aver adeguato il personale dei pubblici uffici alle esigenze contingenti.

Un processo arrivato a fine corsa

  Il processo è arrivato a fine corsa. Si sta avvitando su se stesso e i congegni, che fino al 1992 hanno garantito la dignità dei diritti degli apparte-nenti ai diversi gruppi linguistici, stanno ora creando degli ingiustificati privile-gi vanificando i principi meritocratici. Sia in campo politico che in quello so-ciale. Partendo da quest’ultimo, sono sempre di più coloro i quali trovano in-sensato il fatto che ai pubblici concorsi il primo dei “titoli” richiesti sia l’attestato di appartenenza ad un gruppo linguistico. Un criterio ascritto, che intende soddisfare una condizione di nascita piuttosto che una dote acquisita con il tempo, la preparazione, l’impegno (3).
  Per quanto riguarda la politica, i danni che questo Statuto sta producen-do sono sotto gli occhi di tutti: basta leggere una qualsiasi dichiarazione di industriali, membri della società civile ma anche di quasi tutti i politici per tro-vare la frase «rilanciamo l’autonomia». Che – logicamente – significa: l’autonomia ristagna. Ciò è ancora più vero se si registrano le intime pulsioni del corpo elettorale: anche in Trentino-Alto Adige/Südtirol, come in tutto il re-sto d’Italia, nei referendum del ’91 e del ’93 una percentuale elevatissima di votanti si è espressa a favore della preferenza unica e di un sistema elettora-le di tipo maggioritario, in antitesi al proporzionale (preservato dalla specialità statutaria), che però rimane in vigore nella Regione, assieme alla possibilità di esprimere quattro preferenze.

Un inutile privilegio per trentini e altoatesini

  Insomma: soprattutto in un periodo in cui risulta assodato il decentramento amministrativo, discusso anche a livello parlamentare e ormai pronto per essere introdotto in tutte le regioni ordinarie, e la convivenza tra germanofoni e italofoni è stata metabolizzata anche dalle forze politiche più schierate (si pensi ad Alleanza nazionale che legittima gli Schützen – storici fucilie-ri tirolesi), lo Statuto speciale di autonomia pare una fonte di inutile privilegio che i trentini e gli altoatesini godono a dispetto degli altri italiani.
  Inoltre, anziché stimolare la convivenza, questo Statuto sancisce la se-parazione dei gruppi linguistici facendo morire la politica intesa come mec-canismo che aggrega legittimi interessi e consente di governare ad una maggioranza formatasi sul consenso ad alcune opzioni e alla minoranza di fare opposizione in un quadro di legittimazione reciproca. E tale caratteristica può essere ravvisata non soltanto in Trentino-Alto Adige/Südtirol ma in diver-se altre località dove il fondamento democratico si ritira completamente per lasciare spazio alle questioni etniche o linguistiche: «I sottili equilibri linguisti-ci e regionali che presiedono da mezzo secolo alla formazione dei governi belgi impediscono ogni reale alternativa. Gli sforzi di alcuni rinnovatori nei partiti politici sono sopraffatti dalla pesantezza di onnipotenti apparati distri-butori di prebende», ha scritto Luc Rosenweig sul quotidiano francese «Le Monde» il 3 marzo 1998, descrivendo – in un articolo dal titolo Le continu délitement de l’autorité de l’Etat belge – la situazione belga, ostaggio delle rivendicazioni avanzate dai gruppi linguistici fiammingo e vallone.

Un richiamo per imprenditori "allegri"

  Dunque: i partiti che si scontrano sul terreno etno-linguistico anziché su quello tradizionale della distinzione destra-sinistra (4) costituiscono un’anomalia nel conflitto sociale regolato politicamente. Tale comportamento tende ad esacerbare, anziché annullare, le divisioni tra gruppi linguistici. Risultato, brutalmente sintetizzato dallo scrittore Sebastiano Vassalli: «Quando l’Alto Adige avviò tutto, nella regione c’era un italiano ogni due sudtirolesi. Adesso ce n’è uno ogni quattro: ecco il risultato della proporzionale etnica» (5).
   La specialità dello Statuto in questione ha poi prodotto un altro effetto perverso, che in questa sede non può essere taciuto. È stato il grimaldello con cui il Trentino (più che l’Alto Adige/Südtirol) si è approssimato alla globalizzazione dei mercati. Il magnete grazie al quale molti investitori – attirati da contributi speciali distribuiti da leggi ingiustificate (6)  e mai sufficientemente controllate dagli organi preposti (7)  – si sono insediati in una terra che ha fatto dei trasferimenti miliardari il tesoro con il quale calamitare le attività produttive (8). Con il risultato – a posteriori evidente, ma che poteva essere previsto in modo estremamente preciso anche a priori, con un minimo di accortezza d’analisi – che non si è creata né una élite in grado di guidare la Provincia e la Regione verso l’Europa, né una classe imprenditoriale capace di pensare l’economia come un mezzo di affermazione autonoma sui mercati. Mentre si sono sviluppati – questi alla perfezione – dei movimenti di difesa dei privilegi, che individuano nell’autonomia l’unica fonte alla quale abbeverarsi e sopravvivere.
   Un Trentino-Alto Adige/Südtirol senza i trasferimenti statali e le leggi autoprodotte sui contributi a fondo perduto, che regione sarebbe? C’è stato un rilassamento. Prende forma il concetto espresso dal ministro Carlo Azeglio Ciampi e ripreso da Barbara Spinelli: gli arrivati sono smidollati, manca l’impulso a migliorare (9). E questa Regione è arrivata. Si pensi che addirittura gli imprenditori locali dicono che il Trentino Alto Adige/Südtirol ha poche possibilità di competere con il Veneto anche a causa di «una maggior dipendenza dagli investimenti pubblici», che penalizzano la cultura imprenditoriale (10).

La Svp vuole tirare una linea a Sud

   In questo quadro affiorano due pulsioni politiche completamente opposte anche se portate avanti, in modo antitetico, dai due principali partiti autonomisti della regione. La Südtiroler Volkspartei (Svp) spinge – con le armi del ricatto politico e la minaccia della secessione che lo Statuto troppo benevolmente le mette a disposizione – per eliminare la Regione (suo obiettivo già fin dal 1948, anno di approvazione dello Statuto di autonomia trentina). Al suo posto mira a trasformare le due province autonome di Trento e Bolzano in due distinte regioni: Sudtirolo («Bundesland Südtirol») e Trentino. Convinta così di massimizzare i vantaggi per il proprio elettorato “di raccolta” (germanofono, etnolinguistico, solo incidentalmente politico), sganciandosi da una provincia, il Trentino appunto, che a suo avviso beneficia ingiustificatamente di un pacchetto speciale di leggi pensate a tutela del gruppo linguistico tedesco. La Svp punta ad un’autonomia spinta al livello più circoscritto possibile, secondo la logica che dividendo gli stessi benefici per un numero più piccolo di fruitori, il quoziente (il privilegio marginale) aumenta.

L'autonomismo trentino ai piedi della Svp

   Dall’altra parte ci sta l’autonomismo trentino (che non riguarda necessariamente tutti/solo gli aderenti al Partito autonomista trentino tirolese, il Patt). I cui alfieri – pur di non perdere i privilegi da Statuto speciale – fanno tutto quello che sono in grado di fare perché il disegno della Svp non divenga una realtà. Proni per questo a qualsiasi proposta. Anche a sponsorizzare un’idea come quella dell’Euregio Tirolo (11), che – lanciata dai secessionisti altoatesini/sudtirolesi – significherebbe nel medio periodo la fine dello Stato nazionazionale, finora la più efficace (ancorché non perfetta) architettura istituzionale a garanzia dei diritti di  cittadinanza (12).
   Dunque: l’autonomia speciale, anziché un mezzo per raggiungere nel migliore dei modi quel bonum comune che pur nella sua genericità rappre-senta l’obiettivo della politica, è a sua volta divenuta un fine. E l’equivoco è mascherato dal fatto che – effettivamente, sulla base di principi manifesta-mente illiberali – questa autonomia distribuisce prebende a chi è, per fortuna di nascita, in grado di rivendicarle (13).
  Dal Credo quia absurdum – professione di fede incondizionata nella legit-timità di tale status di specialità – il dibattito deve approdare al percorso ra-zionale. Se necessario passando per il Credo ut intelligam di S. Anselmo d’Aosta: la fede può essere il punto di partenza della ricerca, è tuttavia pigri-zia il non cercare di dimostrare ciò in cui si crede. Cioè la necessità di raffor-zare le autonomie ed il processo di decentramento.

 NOTE

1)Il ministro degli Esteri austriaco Bruno Kreisky sollevò la faccenda sostenendo che i contatti tra Austria e Italia per l’applicazione dell’autonomia da assegnare agli abitanti germanofoni del Trentino-Alto Adige non erano soddisfacenti. Del «problema della minoranza austriaca in Italia» si occupò poi compiutamente la XV Assemblea Onu nel 1960. Con l’aiuto del lavoro di speciali commissioni si arrivò a determinare un pacchetto di misure (137) a tutela del gruppo linguisti-co tedesco. La Quietanza liberatoria è la dichiarazione formale rilasciata dall’Austria (11 giugno 1992) che il Pacchetto è stato completamente attuato. torna al testo
2)  Nell’ultimo censimento, datato 1991, in Alto Adige/Südtirol si sono dichiarati appartenenti al gruppo linguistico tedesco il 67,99% della popolazione; il 27,65% a quello italiano e il 4,36% a quello ladino. torna al testo
3)  Secondo la dicotomia (realizzazione-ascrizione) descritta da Talcott Parsons in: Il sistema sociale, Comunità, Milano, 1965. torna al testo
4) Per il senso di questa coppia concettuale, critiche comprese, si veda: Norberto Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli Editore, Roma, 1994. torna al testo
5)  Cfr. Sebastiano Vassalli, «Pristina non è Bolzano, il modello altoatesino servirebbe solo a una pulizia etnica buro-cratica», in «Corriere della Sera», 28 luglio 1998. torna al testo
6)  In Trentino, ad esempio, la legge provinciale 3 aprile 1981, n. 4 «Provvedimenti organici per il settore industriale e per la salvaguardia e l’incremento dell’occupazione» consentiva ai politici locali al governo di elargire a fondo perduto prestiti fino al 60% dell’investimento, con la giustificazione di dare una spinta allo sviluppo. torna al testo
7)  Solo dopo quasi dieci anni – la procura della Corte dei conti si accorge, per esempio, che i finanziamenti concessi a fon-do perduto alla Kinghino, una ditta di abbigliamento, potevano essere stati uno sperpero del denaro pubblico e chiedono un risarcimento agli allora amministratori di 12 miliardi di lire. Anche se poi, dopo due mesi, si scusa e archivia. Cfr. Pie-rangelo Giovanetti, Kinghino esempio di cattiva politica, in «l’Adige», 12 febbraio e, contestualmente, Finisce in archi-vio il «caso Kinghino», in «l’Adige», 24 aprile 1998. torna al testo
8)  Secondo gli studi in appoggio al «Programma di sviluppo provinciale per l’XI Legislatura» (Trento, luglio 1995) il capita-le locale controlla appena il 68% delle unità locali, occupando il 44% degli addetti. Le quote rimanenti sono nelle mani di imprenditorialità di provenienza esterna. torna al testo
9)  Cfr. «la Stampa», 26 marzo 1998. torna al testo
10)  Cfr. Enzo Rullani, La realtà locale nello scenario economico del Paese e del Nordest, in «Oltre il Duemila», documen-tazione per l’omonimo convegno di Trento, 18 settembre 1998, p. 70. torna al testo
11)   Una regione transfrontaliera che grosso modo dovrebbe ricalcare la superficie di quello che è stato il Grande Tirolo sto-rico: Tirolo, Alto-Adige/Südtirol e (forse) il Trentino. Cfr. Maurilio Barozzi, Euregio Tirolo, un passo verso la Mitteleu-ropa, in «liMes» 1/96, I nuovi Muri; Anton Pelinka, Euregio tirolese. Fantasma o chance?, in «il Mulino» 4/96; Bruno Luverà, Oltre il confine. Euregio e conflitto etnico: tra regionalismo europeo e nuovi nazionalismi in Trentino-Alto Adige, Il Mulino, Bologna 1996. torna al testo
12)   Cfr. Raymond Aron, Is Multinational Citizenship Possible? In «Social Research» 41, 4/1974. Ralf Dahrendorf, Patriot-tismo e libertà, in «MicroMega», 1/1991 e Perché l’Europa, Laterza, Bari, 1997. Inoltre: R. Dahrendorf, F. Furet, B. Gere-mek, La democrazia in Europa, Laterza, Bari, 1992. Sull’idea di cittadinanza il libro scritto nel 1949 da Terence H. Mar-shall, Cittadinanza e classe sociale, Utet, Torino, 1976. torna al testo
13) Cfr. Paolo Ghezzi, Sangue e suolo, oltre la politica etnica, in «l’Adige», 18 marzo 1998. Anche: Paolo Ghezzi, Salviamo l’autonomia dal rituale, editoriale dello Speciale sul cinquantesimo anniversario dell’autonomia regionale, allegato al quotidiano «l’Adige», 12 luglio 1998. torna al testo

 

   o INTRODUZIONE

«Apriamo le istorie e vedremo che le leggi, che pur sono
o dovrebbon esser patti di uomini liberi,
non sono state
per lo più che lo stromento delle passioni di alcuni pochi,
o nate da una fortuita e passeggiera necessità».

Cesare Beccaria,
Dei delitti
e delle pene.

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CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV

 

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