ii percorsi

Dalla proporzionale all'apartheid
 
di MAURILIO BAROZZI

Le colpe dei padri non ricadano sui figli

La presenza del gruppo linguistico tedesco in Alto Adige/Südtirol (praticamente nulla in Trentino) è la chiave di volta della specialità statutaria. Ma il paradosso è che la questione altoatesina sia stata risolta con un artifizio sociale: la coabitazione pacifica italiani-tedeschi è garantita dalla separazione[1]. Con l’approvazione dello Statuto di autonomia, la divisione dei due gruppi linguistici assume una caratteristica formale, definibile, identificabile. La salvaguardia del diritto individuale ad esprimersi e a comunicare, comporta l’esigenza di garantire un interesse che da individuale si fa collettivo (nel momento in cui ad utilizzare una stessa lingua è un gruppo) e così la tutela della lingua si propone come un momento di mediazione tra le libertà di ciascun individuo e gli interessi di una collettività che ha come obiettivo quello di regolare le singole esigenze. Appare comunque logico che, non appena un gruppo viene salvaguardato, esso dev’essere pure discriminato, in positivo o in negativo, attraverso i suoi tratti caratteristici.

 
L’esempio dell’Alto Adige/Südtirol è palmare. Lì, per qualsiasi espressione civile (iscrizione a scuola, concorsi pubblici, candidatura a cariche politiche ...), ogni cittadino è per Statuto tenuto a dichiarare a quale gruppo linguistico appartenga[2]. Permettendo in questo modo la misurazione. La dichiarazione ha infatti lo scopo di verificare la consistenza dei gruppi linguistici (spesso definiti «etnici», per marcare con più forza le specificità culturali in generale) presenti sul territorio e – su tale base – stabilire le proporzioni da garantire, secondo i principi dell’azione positiva (affirmative action)[3]. Così, la vita pubblica è quotidianamente scandita dal ritmo battuto dal rapporto del numero degli appartenenti ai gruppi linguistici. Prima di tutto le quote spettanti a ciascun gruppo linguistico. Poi si provvede ai passi successivi.
Curioso: per evitare le distinzioni di natura etnico-linguistica, lo Statuto di autonomia introduce un criterio selettivo che separa e, nel contempo, determina nei fatti un trattamento preferenziale a parità di condizioni: lo stesso individuo – ad esempio partecipando ad una prova concorsuale – acquisisce a priori un numero più o meno rilevante di chance di assunzione, a seconda che appartenga a uno o ad un altro gruppo linguistico. Il primo titolo che viene valutato è quello linguistico. Solo secondariamente si stabilirà una graduatoria di merito. Un italiano che venisse escluso dall’assunzione tramite concorso per l’appartenenza a questo gruppo linguistico de facto sta espiando la colpa dei suoi antenati che sono emigrati da una qualsiasi regione dell’Italiaper abitare nella provincia dell’Alto Adige/Südtirol. Vale ovviamente anche il contrario, per i cittadini del gruppo linguistico tedesco che pagano le politiche fasciste di italianizzazione forzata, mirate ad annichilire i loro diritti[4].

Non ci vuole molto però a capire che tale situazione alla lunga non può reggere, permeata com’è di ingiustizia riparatoria. Il colmo dell’autolesionismo da quota viene raggiunto nella scelta di personale altamente qualificato. Se deve essere assunto il primario del reparto medico di neurochirurgia dell’ospedale di Bolzano, bisogna preliminarmente accertare se il posto spetti al gruppo tedesco o a quello italiano. E se il dottore fosse muto? Il fatto che di neurochirurghi idonei a svolgere questo ruolo ce ne possano essere solamente una decina in tutta Italianon costituisce (come invece dovrebbe) un problema. In questo caso, paradossale ancorché per nulla ipotetico[5], oltre a penalizzare il singolo partecipante al concorso, privandolo della possibilità di essere valutato sulle sue effettive capacità mediche, dal meccanismo viene certamente anche danneggiata l’intera struttura ospedaliera che, per ottemperare alla proporzionale, potrebbe essere costretta ad una soluzione di ripiego rispetto alla miglior opzione professionale[6]. Dunque – effetto domino – tale congegno non può che nuocere a tutti gli utenti.

Nonostante siano solo i posti pubblici a sottostare alla ghigliottina delle quote, è ovvio che una situazione di questo tipo non può che alimentare le rivendicazioni dei singoli gruppi linguistici, elevando tale discriminante sopra ogni altra caratteristica. Queste appartenenze (assolutamente ascritte), poiché anteposte a tutti i criteri distintivi facenti riferimento ai meriti (achievement), si traducono in una sorta di privilegio di discendenza, di sangue che le élite rappresentative possono cercare di estendere il più possibile. Dall’esercizio di un diritto da garantire a tutti i cittadini, quello di poter liberamente manifestare la propria differenza all’interno di una comune cittadinanza, si passa a ricercare un privilegio per la propria specificità, che assai poco condivide con il merito e con il pensiero liberale. E che approfitta dei torti subiti dalla propria stirpe negli anni passati. Cos’ha a che fare, questo, con la democrazia?

E’ questa una delle principali critiche che tutto il mondo liberal muove al sistema delle quote. Tanto che negli Stati Uniti, precisamente in California(dove i sistemi di quota sono molto utilizzati, viste le numerose etnie presenti sul territorio), alcune forze trasversali stanno preparando delle iniziative referendarie finalizzate a bocciare i programmi di affirmative action. Che di fatto generano discriminazioni e tendono ad aumentare la separazione, la ghettizzazione. Anche se nel nome di un’identità rifugio, costituzionalmente garantita[7].

Il distacco tra gruppi etnici è immediatamente rilevabile in Alto Adige/Südtirol. Prendiamo i matrimoni misti (tra i due nuclei linguistici principali: italiano e tedesco), che costituiscono uno degli indicatori sociologici più usati per misurare il grado di inserimento. Essi sono decisamente pochi e – inoltre – osservano un trend di evidente decremento: nel 1981 tali matrimoni rappresentavano il 7% del totale; nel 1991 essi sono calati addirittura al 3,9%[8]. Dov’è l’integrazione?

Separati per stare assieme

Naturalmente, la situazione economica non si sottrae alle dinamiche separatiste dettate dalla lingua di riferimento. Anzi, in Alto Adige/Südtirol l’economia amplifica il cleavage, evidenziando quel particolare confine che il politico Alex Langerera solito citare: quello etnico. E il gruppo italiano resta legato al settore pubblico ed alla grande industria, tradizionalmente insediati nei centri, mentre quello tedesco – alimentato dall’agricoltura, il turismo, l’artigianato – sta prevalentemente in periferia. Basta poco per rendersene conto, solo un’occhiata alle percentuali. Secondo il censimento della popolazione del 1991, il 73% degli abitanti a Bolzano– il capoluogo – appartiene al gruppo linguistico italiano, mentre viceversa il 68% della popolazione globale della provincia altoatesina si dichiara germanofono.

La ragione la spiegano un giorno sì ed uno pure gli storici: l'industrializzazione e la contestuale italianizzazione fascista[9] hanno fatto sì che in Alto Adige/Südtirol giungessero amministratori pubblici e burocrati a flotte, preparati per sostenere il regime fascista. Oppure, anche in seguito – sfruttando la creazione di una zona industriale – operai. Il disegno era chiaro: immigrazione italiana per trasformare la società del luogo. E, per completare l’opera, anche la struttura architettonica dovette assecondare il piano fascista. Il gruppo tedesco, che con questa operazione – congiunta all’evacuazione studiata dall'accordo Hitler-Mussolinidel 1939 (le cosiddette opzioni[10]) – avrebbe dovuto essere eliminato, si ritirò nella periferia e s’insediò nella zona rurale.

Oggi si vive ancora quella divisione. Aggravata dal fatto che lo Statuto specialeci ha messo del suo per renderla ancora più grottesca e illiberale bilanciando i posti pubblici col meccanismo delle quote[11]. Inoltre il turismo e la piccola e media impresa (settori tradizionalmente legati al territorio) sono rimasti quasi esclusivamente feudo economico del gruppo tedesco e così, nel trapasso ad una società post industriale – caratterizzata in queste aree dallo sviluppo dell’artigianato, dall’emergere del turismo e dal riequilibrio dei posti di lavoro all’interno della pubblica amministrazione – le attività economiche di rilievo tendono ad uscire dalla sfera di controllo del gruppo italiano, che invece prima le deteneva saldamente (per effetto dell’artificiale italianizzazione).

L’ex ministro degli Affari regionali, Franco Frattini, ha scritto che la Provinciadi Bolzano«sostiene, con l’80% dei contributi (gran parte provenienti dallo Statoitaliano, N.d.A.), attività produttive in mano all’80% della popolazione di lingua tedesca»[12]. Insomma: gli italiani sono passati da una situazione sociale di ingiustificato vantaggio ad una di evidente disagio. La frustrazione che vivono deriva dal fatto di non essere più titolari dell’esclusiva dei posti pubblici (come lo erano – ingiustamente – nel periodo fascista). Ciò è aggravato dalla crisi dell’industria e gli italiani sono decisamente sottorappresentati nelle attività legate al territorio. Il confine economico è mobile ma inesorabile. In Alto Adige/Südtirol, man mano che si sposta spinge il gruppo italiano in una posizione sempre più marginale. Assottigliandolo.

Anche i partiti diventano etnici

Tale dinamica economica, unita al meccanismo giuridico introdotto dallo Statuto speciale, determina una cascata. Che travolge. Nessuno e niente ne resta escluso. E i partiti politici sono i primi a reagire. Non prescindono da questa frattura, anzi se ne fanno testimoni e interpreti disegnando uno scenariosui generis[13], che poco ha a che vedere con la democrazia competitiva liberale. Chi in Alto Adige/Südtirol sostiene una battaglia politica cercando di coagulare consensi sulla base dei problemi comuni, affrontati in maniera transetnica, non riesce a fare presa sull’elettorato e – conseguentemente – non incide sulle decisioni di rilievo.

La lingua, prima di tutto. Le esigenze etnico linguistiche hanno influenzato una politica che privilegia sempre più le forme di conflitto orientate all'azione dell'altro. La posta in gioco diviene così la stessa: le garanzie per i gruppi linguistici. E i contendenti (i partiti) non scelgono più di affrontarsi facendo leva su quelle che sono le proprie caratteristiche classiche (asse destra-sinistra), ma si sfidano sulle tematiche che nella zona si dimostrano vincenti, ed in particolare su quelle ad alto contenuto simbolico etnico.

Non è un caso che le questioni politiche che, negli ultimi anni, hanno maggiormente caratterizzato l’Alto Adige/Südtirol siano state quelle territoriali. Battaglie che all’esterno stentano ad essere comprese. Possibile che ci si possa scontrare sulla toponomastica (ogni zona deve essere etichettata con il suo nome tedesco e con il suo corrispettivo italiano, non solo con quello originario tedesco) o sulla necessità di salvaguardare il Monumento della Vittoria, costruito da Marcello Piacentini(architetto legato al regime fascista) nel 1928? – si chiedono in molti, appena fuori dai confini della provincia altoatesina.

Non solo è possibile; è proprio ciò che accade. Sui toponimi, la valenza simbolica della querelle è immediatamente percepibile. L'uso dei propri nomi per definire una zona contribuisce in modo sostanziale a stabilire un legame con la terra[14]. E i gruppi linguistici vogliono appropriarsene. Ogni volta che tale questione è stata affrontata a livello provinciale (che ha la competenza normativa su ciò che concerne il territorio) in momenti prossimi a scadenze elettorali, il gruppo italiano si è rifugiato in grande misura nel voto missino (oggi An). Un voto che offre sicurezza, protezione e controllo. Talvolta filibuster: qualche mese prima delle elezioni regionali del 1993, la Svpaveva manifestato l'intenzione di risolvere a breve (prima delle elezioni) la questione dei toponimi, eliminando la dizione italiana. L’allora Msiha presentato ben 5.000 emendamenti a tale proposta di legge, affossando così (a prescindere dal fatto che in seguito anche il Consiglio provinciale avrebbe deciso di rinviare il problema) l'operazione di germanizzazione toponomastica. Ecco perché An (figlia naturale dell’Msi) si autodichiara il partito difensore dell'italianità. E questa politica gli frutta un buon successo elettorale[15].

Poi c’è il Monumento della Vittoria, che rappresenta la memoria storica del fascismo. E che delimita – anche visivamente, marcando la differenza delle architetture – quello che può essere considerato il confine tra la Bolzanotedesca e quella italiana. I tedeschi vorrebbero abbatterlo, i post fascisti no. Ed è battaglia.

Altro che tolleranza. Inoltre – teorizza Arend Lijphart– in uno stato organizzato in modo che lui definisce «consociativo» (sulla base della condivisione rappresentativa del potere, in contrapposizione al sistema maggioritario) i gruppi etnici non combattono contro il potere costituito (che li garantisce), ma si sforzano in tutti i modi di acquistare il maggiore spazio possibile al suo interno[16], cercando di toglierlo così ai concorrenti. Nel lungo periodo lo schema però non può tenere: quando l’equilibrio si spezza evidenziando quelle che Stein Rokkanha definito le «incongruenze dei ruoli culturali, economici e politici»[17] si alimentano sensazioni di sconforto e di depressione nei segmenti più esposti di entrambi i gruppi. Spesso queste percezioni sono correlate con la crescita dei regionalismi estremi, quelli alla Günther Ammon[18], per intedersi: le regioni creino un’identità definita Heimat e risolvano i problemi pratici dei loro abitanti. Una regione per ogni etnia, dunque: omogeneitàüber alles.

L’Alto Adige/Südtirol – grazie ai meccanismi garantiti dallo Statuto speciale– sembra attagliarsi perfettamente al modello. La Svpoggi sta giocando al tira e molla sfruttando l’ambiente politico[19]. Da una parte manda avanti il suo panzer Franz Pahlche lancia ipotesi secessioniste ed euroregionaliste[20]. Dall’altra, con la sua punta di diamante Alois Durnwalder, presidente della giunta altoatesina, attua la politica del sorriso, muovendo – a differenza dei nuovi partiti nazionalisti di ceppo tedesco – verso un atteggiamento più moderato, anche nel linguaggio, nei confronti del governo. I dirigenti cercano di utilizzare la bandiera dell’autodeterminazionecome forma di ricatto politico per puntare al consolidamento dei diritti (o, a seconda dei punti di vista, dei privilegi) acquisiti. Anche se il loro capo carismatico, Silvius Magnago, ha spiegato in tutte le salse che vorrebbe ritornare con l’Austria: «Non abbiamo mai rinunciato all’autodeterminazione»[21]. Questo per sgombrare il campo dagli equivoci. E pensare che qualche politico di primo piano avrebbe voluto esportare questo modello nell’ex Yugoslavia. Ma se gli albanesi del Kosovo – anziché autonomia – rivendicassero con questa naturalezza l’indipendenza cosa succederebbe? Purtroppo la storia recente di quell’area lo ha già dimostrato.



[1] Sebastiano Vassalliha ricordato recentemente («Corriere della Sera», 20 novembre 1998) come nei primi anni ’80 l’assessore provinciale altoatesino alla Cultura Anton Zegler(della Volkspartei) sosteneva testualmente che tra tedeschi e italiani «più ci dividiamo, meglio ci comprendiamo».
[2] Cfr., a titolo di esempio, l’articolo 89 dello Statuto specialedi autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol: «[..]I posti dei ruoli [..] considerati per amministrazione e per carriera, sono riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione[..]».
[3] Su questi temi si veda Paolo Flores D’Arcais, Etica senza fede, Einaudi, Torino, 1992, pp.182-213.
[4] Per una sommaria idea di questo processo rimando a Paolo Berlanda, Il fascismo in Sudtirolo, una storia di soprusi, in «l’Adige», 10 luglio 1998.
[5] Il caso specifico si è presentato qualche anno fa a Bolzanoe si ripresenta oggi: il dottor Renato Scienza, neurochirurgo di fama internazionale con 3mila operazioni all’attivo, rischia di non essere ammesso al concorso che assegna l’incarico di primario di neurochirurgia all’ospedale di Bolzano per non essere stato in grado di conseguire il patentino di bilinguismo. Insomma: non sa bene il tedesco. Eppure possiede requisiti professionali eccellenti. Cfr. Agenzia giornalistica «Ansa», 12 maggio 1998.
[6] In Sudafricauna sentenza dell’Alta corte di Pretoriaha accolto il ricorso di trenta avvocati maschi e bianchi che – pur meritevoli sul piano dei titoli professionali – erano stati scavalcati in una graduatoria di promozioni da altrettanti colleghi che avevano meno i titoli professionali ma ne possedevano altri di carattere genetico: erano donne o neri. Cfr. Sentenza in Sudafrica: l’uomo bianco è discriminato, in «l’Unità», 6 marzo 1997.
[7] Il dibattito statunitense, sotto questo profilo, sembra approdato ad un punto più interessante rispetto a quello del laboratorio altoatesino: si punta sulla ricerca del cosiddetto bilinguismo totale (contrapposto al separatismo linguistico altoatesino). In Californiaun referendum ha cancellato le norme di azione positiva rivolte alla minoranza nera e alle donne. Cfr. C’era una volta l’integrazione, in «l’Espresso», 10 maggio 1996. Per un approfondimento dei concetti rimando a Alessandro Pizzorusso, Minoranze e maggioranze, Einaudi, Torino, 1993. Per la discussione internazionale sulle vicende linguistiche si possono leggere, ad esempio, gli articoli Federal bullying hinders responsible reform, in «Usa Today», 1 luglio 1998; Talking in Tongues, in «Far Eastern Economic Review», 17 ottobre 1996.
[8] Secondo i dati dell’Università di Trento, raccolti dal professore Riccardo Scartezzini.
[9] Si tenga presente che nel 1919, quando l’Alto Adige/Südtirol è stato assegnato all’Italiaper effetto del Trattato di St. Germain-en-Laye, la percentuale degli “italiani” che abitavano la zona era irrilevante.
[10] Il 22 giugno 1939 Hitlere Mussolinicostrinsero i sudtirolesi ad “optare” per rimanere cittadini italiani oppure trasferirsi in territori germanofoni.
[11] Del resto il principio è esemplificato con estrema chiarezza dal leader altoatesino Silvius Magnago: «Dividere i gruppi ed evitare l’integrazione è una necessità. Io posso tutelare i gruppi linguistici finché li distinguo. La distinzione deve rimanere e ha un suo valore agli effetti della difesa. Noi amministratori dobbiamo creare le premesse perché ogni gruppo possa conservare la propria identità, se lo vuole. Se però un gruppo rinuncia e decide di autoeliminarsi, io non posso impedirglielo». In S. Vassalli, Sangue e suolo, Torino, Einaudi, 1985. p. 88.
[12] Cfr. Franco Frattini, Integrazione e bilinguismo in Alto Adige, in «la Repubblica», 5 maggio 1996.
[13] Ho provato ad analizzare questi specifici temi nell’articolo, L’Alto Adigetra voto ‘nero’ e voto ‘etnico’, in «liMes» 4/94, A che serve l’Italia, pp. 133-140, e nella sua versione francese: Le Haut-Adige: postfascisme ou ethnies, in M. Korinman, L. Caracciolo, A quoi sert l’Italie? Ed. La Découverte/Limes, 1995, pp. 91-99.
[14]Alcuni indicatori fanno ritenere che già oggi le radici territoriali siano sentite debolmente da parte del gruppo italiano in Alto Adige/Südtirol: l'efficientissimo e numericamente consistente corpo dei Vigili del Fuoco (volontario) è costituito quasi esclusivamente da abitanti di lingua tedesca; la coltivazione della terra (attività economica rilevante in Alto Adige/Südtirol, soprattutto oggi che viene associata al cosiddetto turismo rurale) è appannaggio di contadini germanofoni ed anche l'abitazione delle zone di periferia vede in netta prevalenza il gruppo linguistico tedesco.
[15] Alle recenti elezioni regionali (22 novembre 1998) pur in leggero calo (9,65% contro l’11,65% del ’93), Alleanza nazionalerimane il secondo partito altoatesino, dietro l’irraggiungibile partito di raccolta dei cittadini di lingua tedesca Südtiroler Volkspartei (56,6%).
[16] Cfr. A. Lijphart, The politics of Accomodation. Pluralism and Democracy in Netherlands, University of CaliforniaPress, Berkeley, 1968.
[17] Cfr. S. Rokkane D. W. Urwin(cur.), The Politics of Territorial Identity, Sage, London, 1982
[18] Vedi: Günther Ammon, L’Europe des Régions, Economica, Paris, 1996.
[19] Cfr. l’articolo di Anton Pelinka, Volkspartei, il partito del conflitto controllato, cit.
[20] Per un esempio sintomatico: Franz Pahl, Tiroler Einheit ietz! (Unità del Tiroloadesso!), Arnd, Kiel, 1991.
[21] Cfr. “Il mio Sudtirolo”, in «liMes» 4/93, L’Europasenza l’Europa; anche: «Il Brenneroper me resta una ferita», in «Corriere della Sera», 4 maggio 1998.
 
o Trentino: autonomia speciale, 
la democrazia dall'alto

Capitolo III

«Un legame di affetto riuniva gli oppressi agli oppressori e la natura,di avvicinarli, rendeva più evidente ancora lo spazio immenso
i pregiudizi e 
le leggi avevano messo tra loro».
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America
 
 

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CAPITOLO II
CAPITOLO III
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