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percorsi
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Dalla
proporzionale all'apartheid
Le colpe dei padri non ricadano sui figli La
presenza del gruppo linguistico tedesco in Alto Adige/Südtirol
(praticamente nulla in Trentino)
è la chiave di volta della specialità statutaria. Ma il paradosso
è che la questione altoatesina sia stata risolta con un artifizio
sociale: la coabitazione pacifica italiani-tedeschi è garantita
dalla separazione[1].
Con l’approvazione dello Statuto di autonomia, la divisione dei due gruppi
linguistici assume una caratteristica formale, definibile, identificabile.
La salvaguardia del diritto individuale ad esprimersi e a comunicare, comporta
l’esigenza di garantire un interesse che da individuale si fa collettivo
(nel momento in cui ad utilizzare una stessa lingua è un gruppo)
e così la tutela della lingua si propone come un momento di mediazione
tra le libertà di ciascun individuo e gli interessi di una collettività
che ha come obiettivo quello di regolare le singole esigenze. Appare comunque
logico che, non appena un gruppo viene salvaguardato, esso dev’essere pure
discriminato, in positivo o in negativo, attraverso i suoi tratti caratteristici. L’esempio
dell’Alto Adige/Südtirol
è palmare. Lì, per qualsiasi espressione civile (iscrizione
a scuola, concorsi pubblici, candidatura a cariche politiche ...), ogni
cittadino è per Statuto tenuto a dichiarare a quale gruppo linguistico
appartenga[2].
Permettendo in questo modo la misurazione. La dichiarazione ha infatti
lo scopo di verificare la consistenza dei gruppi linguistici (spesso definiti
«etnici», per marcare con più forza le specificità
culturali in generale) presenti sul territorio e – su tale base – stabilire
le proporzioni da garantire, secondo i principi dell’azione positiva (affirmative
action)[3].
Così, la vita pubblica è quotidianamente scandita dal ritmo
battuto dal rapporto del numero degli appartenenti ai gruppi linguistici.
Prima di tutto le quote spettanti a ciascun gruppo linguistico. Poi si
provvede ai passi successivi.
Curioso:
per evitare le distinzioni di natura etnico-linguistica, lo Statuto di
autonomia introduce un criterio selettivo che separa e, nel contempo, determina
nei fatti un trattamento preferenziale a parità di condizioni: lo
stesso individuo – ad esempio partecipando ad una prova concorsuale – acquisisce
a priori un numero più o meno rilevante di chance
di assunzione, a seconda che appartenga a uno o ad un altro gruppo linguistico.
Il primo titolo che viene valutato è quello linguistico. Solo secondariamente
si stabilirà una graduatoria di merito. Un italiano che venisse
escluso dall’assunzione tramite concorso per l’appartenenza a questo gruppo
linguistico de
facto
sta espiando la colpa dei suoi antenati che sono emigrati da una qualsiasi
regione dell’Italiaper
abitare nella provincia dell’Alto Adige/Südtirol.
Vale ovviamente anche il contrario, per i cittadini del gruppo linguistico
tedesco che pagano le politiche fasciste di italianizzazione forzata, mirate
ad annichilire i loro diritti[4].
Non
ci vuole molto però a capire che tale situazione alla lunga non
può reggere, permeata com’è di ingiustizia
riparatoria.
Il colmo dell’autolesionismo da
quota
viene raggiunto nella scelta di personale altamente qualificato. Se deve
essere assunto il primario del reparto medico di neurochirurgia dell’ospedale
di Bolzano,
bisogna preliminarmente accertare se il posto spetti al gruppo tedesco
o a quello italiano. E se il dottore fosse muto? Il fatto che di neurochirurghi
idonei a svolgere questo ruolo ce ne possano essere solamente una decina
in tutta Italianon
costituisce (come invece dovrebbe) un problema. In questo caso, paradossale
ancorché per nulla ipotetico[5],
oltre a penalizzare il singolo partecipante al concorso, privandolo della
possibilità di essere valutato sulle sue effettive capacità
mediche, dal meccanismo viene certamente anche danneggiata l’intera struttura
ospedaliera che, per ottemperare alla proporzionale,
potrebbe essere costretta ad una soluzione di ripiego rispetto alla miglior
opzione professionale[6].
Dunque – effetto domino – tale congegno non può che nuocere a tutti
gli utenti. Nonostante
siano solo
i posti pubblici a sottostare alla ghigliottina delle quote, è ovvio
che una situazione di questo tipo non può che alimentare le rivendicazioni
dei singoli gruppi linguistici, elevando tale discriminante sopra ogni
altra caratteristica. Queste appartenenze (assolutamente ascritte), poiché
anteposte a tutti i criteri distintivi facenti riferimento ai meriti (achievement),
si traducono in una sorta di privilegio di discendenza, di sangue che le élite
rappresentative possono cercare di estendere il più possibile. Dall’esercizio
di un diritto da garantire a tutti i cittadini, quello di poter liberamente
manifestare la propria differenza all’interno di una comune cittadinanza,
si passa a ricercare un privilegio per la propria specificità, che
assai poco condivide con il merito e con il pensiero liberale. E che approfitta
dei torti subiti dalla propria stirpe negli anni passati. Cos’ha a che
fare, questo, con la democrazia? E’
questa una delle principali critiche che tutto il mondo liberal
muove al sistema delle quote. Tanto che negli Stati Uniti, precisamente
in California(dove
i sistemi di quota sono molto utilizzati, viste le numerose etnie presenti
sul territorio), alcune forze trasversali stanno preparando delle iniziative
referendarie finalizzate a bocciare i programmi di affirmative
action.
Che di fatto generano discriminazioni e tendono ad aumentare la separazione,
la ghettizzazione.
Anche se nel nome di un’identità rifugio, costituzionalmente garantita[7]. Il
distacco tra gruppi etnici è immediatamente rilevabile in Alto Adige/Südtirol.
Prendiamo i matrimoni misti (tra i due nuclei linguistici principali: italiano
e tedesco), che costituiscono uno degli indicatori sociologici più
usati per misurare il grado di inserimento. Essi sono decisamente pochi
e – inoltre – osservano un trend di evidente decremento: nel 1981 tali
matrimoni rappresentavano il 7% del totale; nel 1991 essi sono calati addirittura
al 3,9%[8].
Dov’è l’integrazione?
Separati
per stare assiemeNaturalmente,
la situazione economica non si sottrae alle dinamiche separatiste dettate
dalla lingua di riferimento. Anzi, in Alto Adige/Südtirol
l’economia amplifica il cleavage,
evidenziando quel particolare confine che il politico Alex Langerera
solito citare: quello etnico. E il gruppo italiano resta legato al settore
pubblico ed alla grande industria, tradizionalmente insediati nei centri,
mentre quello tedesco – alimentato dall’agricoltura, il turismo, l’artigianato
– sta prevalentemente in periferia. Basta poco per rendersene conto, solo
un’occhiata alle percentuali. Secondo il censimento della popolazione del
1991, il 73% degli abitanti a Bolzano–
il capoluogo – appartiene al gruppo linguistico italiano, mentre viceversa
il 68% della popolazione globale della provincia altoatesina si dichiara
germanofono.
La
ragione la spiegano un giorno sì ed uno pure gli storici: l'industrializzazione
e la contestuale italianizzazione fascista[9]
hanno fatto sì che in Alto Adige/Südtirol
giungessero amministratori pubblici e burocrati a flotte, preparati per
sostenere il regime fascista. Oppure, anche in seguito – sfruttando la
creazione di una zona industriale – operai. Il disegno era chiaro: immigrazione
italiana per trasformare la società del luogo. E, per completare
l’opera, anche la struttura architettonica dovette assecondare il piano
fascista. Il gruppo tedesco, che con questa operazione – congiunta all’evacuazione
studiata dall'accordo Hitler-Mussolinidel
1939 (le cosiddette opzioni[10])
– avrebbe dovuto essere eliminato, si ritirò nella periferia e s’insediò
nella zona rurale. Oggi
si vive ancora quella divisione. Aggravata dal fatto che lo Statuto specialeci
ha messo del suo per renderla ancora più grottesca e illiberale
bilanciando i posti pubblici col meccanismo delle quote[11].
Inoltre il turismo e la piccola e media impresa (settori tradizionalmente
legati al territorio) sono rimasti quasi esclusivamente feudo economico
del gruppo tedesco e così, nel trapasso ad una società post
industriale – caratterizzata in queste aree dallo sviluppo dell’artigianato,
dall’emergere del turismo e dal riequilibrio dei posti di lavoro all’interno
della pubblica amministrazione – le attività economiche di rilievo
tendono ad uscire dalla sfera di controllo del gruppo italiano, che invece
prima le deteneva saldamente (per effetto dell’artificiale italianizzazione). L’ex
ministro degli Affari regionali, Franco Frattini,
ha scritto che la Provinciadi
Bolzano«sostiene,
con l’80% dei contributi (gran parte provenienti dallo Statoitaliano,
N.d.A.), attività produttive in mano all’80% della popolazione di
lingua tedesca»[12].
Insomma: gli italiani sono passati da una situazione sociale di ingiustificato
vantaggio ad una di evidente disagio. La frustrazione che vivono deriva
dal fatto di non essere più titolari dell’esclusiva dei posti pubblici
(come lo erano – ingiustamente – nel periodo fascista). Ciò è
aggravato dalla crisi dell’industria e gli italiani sono decisamente sottorappresentati
nelle attività legate al territorio. Il confine economico è
mobile ma inesorabile. In Alto Adige/Südtirol,
man mano che si sposta spinge il gruppo italiano in una posizione sempre
più marginale. Assottigliandolo.
Anche
i partiti diventano etniciTale
dinamica economica, unita al meccanismo giuridico introdotto dallo Statuto
speciale,
determina una cascata. Che travolge. Nessuno e niente ne resta escluso.
E i partiti politici sono i primi a reagire. Non prescindono da questa
frattura, anzi se ne fanno testimoni e interpreti disegnando uno scenariosui
generis[13],
che poco ha a che vedere con la democrazia competitiva liberale. Chi in
Alto Adige/Südtirol
sostiene una battaglia politica cercando di coagulare consensi sulla base
dei problemi comuni, affrontati in maniera transetnica, non riesce a fare
presa sull’elettorato e – conseguentemente – non incide sulle decisioni
di rilievo.
La
lingua, prima di tutto. Le esigenze etnico linguistiche hanno influenzato
una politica che privilegia sempre più le forme di conflitto orientate all'azione
dell'altro. La posta in gioco diviene così la stessa: le garanzie
per i gruppi linguistici. E i contendenti (i partiti) non scelgono più
di affrontarsi facendo leva su quelle che sono le proprie caratteristiche
classiche (asse destra-sinistra),
ma si sfidano sulle tematiche che nella zona si dimostrano vincenti, ed
in particolare su quelle ad alto contenuto simbolico etnico. Non
è un caso che le questioni politiche che, negli ultimi anni, hanno
maggiormente caratterizzato l’Alto Adige/Südtirol
siano state quelle territoriali. Battaglie che all’esterno stentano ad
essere comprese. Possibile che ci si possa scontrare sulla toponomastica
(ogni zona deve essere etichettata con il suo nome tedesco e con il suo
corrispettivo italiano, non solo con quello originario tedesco) o sulla
necessità di salvaguardare il Monumento della Vittoria,
costruito da Marcello Piacentini(architetto
legato al regime fascista) nel 1928? – si chiedono in molti, appena fuori
dai confini della provincia altoatesina. Non
solo è
possibile;
è proprio ciò che accade. Sui toponimi, la valenza simbolica
della querelle è immediatamente percepibile. L'uso dei propri nomi
per definire una zona contribuisce in modo sostanziale a stabilire un legame
con la terra[14].
E i gruppi linguistici vogliono appropriarsene. Ogni volta che tale questione
è stata affrontata a livello provinciale (che ha la competenza normativa
su ciò che concerne il territorio) in momenti prossimi a scadenze
elettorali, il gruppo italiano si è rifugiato in grande misura nel
voto missino (oggi An).
Un voto che offre sicurezza, protezione e controllo. Talvolta filibuster:
qualche mese prima delle elezioni regionali del 1993, la Svpaveva
manifestato l'intenzione di risolvere a breve (prima delle elezioni) la
questione dei toponimi, eliminando la dizione italiana. L’allora Msiha
presentato ben 5.000 emendamenti a tale proposta di legge, affossando così
(a prescindere dal fatto che in seguito anche il Consiglio provinciale
avrebbe deciso di rinviare il problema) l'operazione di germanizzazione
toponomastica. Ecco perché An (figlia naturale dell’Msi) si autodichiara il
partito difensore dell'italianità.
E questa politica gli frutta un buon successo elettorale[15]. Poi
c’è il Monumento della Vittoria,
che rappresenta la memoria storica del fascismo. E che delimita – anche
visivamente, marcando la differenza delle architetture – quello che può
essere considerato il confine tra la Bolzanotedesca
e quella italiana.
I tedeschi vorrebbero abbatterlo, i post fascisti no. Ed è battaglia. Altro
che tolleranza. Inoltre – teorizza Arend Lijphart–
in uno stato organizzato in modo che lui definisce «consociativo»
(sulla base della condivisione rappresentativa del potere, in contrapposizione
al sistema maggioritario) i gruppi etnici non combattono contro il potere
costituito (che li garantisce), ma si sforzano in tutti i modi di acquistare
il maggiore spazio possibile al suo interno[16],
cercando di toglierlo così ai concorrenti. Nel lungo periodo lo
schema però non può tenere: quando l’equilibrio si spezza
evidenziando quelle che Stein Rokkanha
definito le «incongruenze dei ruoli culturali, economici e politici»[17]
si alimentano sensazioni di sconforto e di depressione nei segmenti più
esposti di entrambi i gruppi. Spesso queste percezioni sono correlate con
la crescita dei regionalismi estremi, quelli alla Günther Ammon[18],
per intedersi: le regioni creino un’identità definita Heimat e
risolvano i problemi pratici dei loro abitanti. Una regione per ogni etnia,
dunque: omogeneitàüber
alles. L’Alto
Adige/Südtirol
– grazie ai meccanismi garantiti dallo Statuto speciale–
sembra attagliarsi perfettamente al modello. La Svpoggi
sta giocando al tira e molla sfruttando l’ambiente politico[19].
Da una parte manda avanti il suo panzer Franz Pahlche
lancia ipotesi secessioniste ed euroregionaliste[20].
Dall’altra, con la sua punta di diamante Alois Durnwalder,
presidente della giunta altoatesina, attua la politica
del sorriso,
muovendo – a differenza dei nuovi partiti nazionalisti di ceppo tedesco
– verso un atteggiamento più moderato, anche nel linguaggio, nei
confronti del governo. I dirigenti cercano di utilizzare la bandiera dell’autodeterminazionecome
forma di ricatto politico per puntare al consolidamento dei diritti (o,
a seconda dei punti di vista, dei privilegi) acquisiti. Anche se il loro
capo carismatico, Silvius Magnago, ha spiegato in tutte le salse che vorrebbe
ritornare con l’Austria:
«Non abbiamo mai rinunciato all’autodeterminazione»[21].
Questo per sgombrare il campo dagli equivoci. E pensare che qualche politico
di primo piano avrebbe voluto esportare questo modello nell’ex Yugoslavia.
Ma se gli albanesi del Kosovo – anziché autonomia – rivendicassero
con questa naturalezza l’indipendenza cosa succederebbe? Purtroppo la storia
recente di quell’area lo ha già dimostrato. [1]
Sebastiano Vassalliha
ricordato recentemente («Corriere della Sera», 20 novembre
1998) come nei primi anni ’80 l’assessore provinciale altoatesino alla
Cultura Anton Zegler(della
Volkspartei) sosteneva testualmente che tra tedeschi e italiani «più
ci dividiamo, meglio ci comprendiamo».
[2]
Cfr., a titolo di esempio, l’articolo 89 dello Statuto specialedi
autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol:
«[..]I posti dei ruoli [..] considerati per amministrazione e per
carriera, sono riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi
linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta
dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della
popolazione[..]».
[3]
Su questi temi si veda Paolo Flores D’Arcais, Etica senza fede,
Einaudi, Torino, 1992, pp.182-213.
[4]
Per una sommaria idea di questo processo rimando a Paolo Berlanda,
Il
fascismo in Sudtirolo, una storia di soprusi, in «l’Adige»,
10 luglio 1998.
[5]
Il caso specifico si è presentato qualche anno fa a Bolzanoe
si ripresenta oggi: il dottor Renato Scienza,
neurochirurgo di fama internazionale con 3mila operazioni all’attivo, rischia
di non essere ammesso al concorso che assegna l’incarico di primario di
neurochirurgia all’ospedale di Bolzano per non essere stato in grado di
conseguire il patentino di bilinguismo. Insomma: non sa bene il tedesco.
Eppure possiede requisiti professionali eccellenti. Cfr. Agenzia giornalistica
«Ansa», 12 maggio 1998.
[6]
In Sudafricauna
sentenza dell’Alta corte di Pretoriaha
accolto il ricorso di trenta avvocati maschi e bianchi che – pur meritevoli
sul piano dei titoli professionali – erano stati scavalcati in una graduatoria
di promozioni da altrettanti colleghi che avevano meno i titoli professionali
ma ne possedevano altri di carattere genetico: erano donne o neri. Cfr.
Sentenza
in Sudafrica: l’uomo bianco è discriminato, in «l’Unità»,
6 marzo 1997.
[7]
Il dibattito statunitense, sotto questo profilo, sembra approdato ad un
punto più interessante rispetto a quello del laboratorio
altoatesino: si punta sulla ricerca del cosiddetto bilinguismo totale
(contrapposto al separatismo linguistico altoatesino). In Californiaun
referendum ha cancellato le norme di azione positiva rivolte alla minoranza
nera e alle donne. Cfr. C’era una volta l’integrazione, in «l’Espresso»,
10 maggio 1996. Per un approfondimento dei concetti rimando a Alessandro
Pizzorusso,
Minoranze
e maggioranze, Einaudi, Torino, 1993. Per la discussione internazionale
sulle vicende linguistiche si possono leggere, ad esempio, gli articoli
Federal bullying hinders responsible reform, in «Usa Today»,
1 luglio 1998; Talking in Tongues, in «Far Eastern Economic
Review», 17 ottobre 1996.
[8]
Secondo i dati dell’Università di Trento,
raccolti dal professore Riccardo Scartezzini.
[9]
Si tenga presente che nel 1919, quando l’Alto Adige/Südtirol
è stato assegnato all’Italiaper
effetto del Trattato di St. Germain-en-Laye, la percentuale degli “italiani”
che abitavano la zona era irrilevante.
[10]
Il 22 giugno 1939 Hitlere
Mussolinicostrinsero
i sudtirolesi ad “optare” per rimanere cittadini italiani oppure trasferirsi
in territori germanofoni.
[11]
Del resto il principio è esemplificato con estrema chiarezza dal
leader altoatesino Silvius Magnago: «Dividere i gruppi ed evitare
l’integrazione è una necessità. Io posso tutelare i gruppi
linguistici finché li distinguo. La distinzione deve rimanere e
ha un suo valore agli effetti della difesa. Noi amministratori dobbiamo
creare le premesse perché ogni gruppo possa conservare la propria
identità, se lo vuole. Se però un gruppo rinuncia e decide
di autoeliminarsi, io non posso impedirglielo». In S. Vassalli,
Sangue
e suolo, Torino, Einaudi, 1985. p. 88.
[12]
Cfr. Franco Frattini,
Integrazione
e bilinguismo in Alto Adige,
in «la Repubblica», 5 maggio 1996.
[13]
Ho provato ad analizzare questi specifici temi nell’articolo,
L’Alto
Adigetra
voto ‘nero’ e voto ‘etnico’, in «liMes» 4/94, A che
serve l’Italia,
pp. 133-140, e nella sua versione francese: Le Haut-Adige: postfascisme
ou ethnies, in M. Korinman,
L. Caracciolo,
A
quoi sert l’Italie? Ed. La Découverte/Limes, 1995, pp. 91-99.
[14]Alcuni
indicatori fanno ritenere che già oggi le radici territoriali siano
sentite debolmente da parte del gruppo italiano in Alto Adige/Südtirol:
l'efficientissimo e numericamente consistente corpo dei Vigili del Fuoco
(volontario) è costituito quasi esclusivamente da abitanti di lingua
tedesca;
la coltivazione della terra (attività economica rilevante in Alto
Adige/Südtirol, soprattutto oggi che viene associata al cosiddetto
turismo rurale) è appannaggio di contadini germanofoni ed anche
l'abitazione delle zone di periferia vede in netta prevalenza il gruppo
linguistico tedesco.
[15]
Alle recenti elezioni regionali (22 novembre 1998) pur in leggero calo
(9,65% contro l’11,65% del ’93), Alleanza nazionalerimane
il secondo partito altoatesino, dietro l’irraggiungibile partito di raccolta
dei cittadini di lingua tedesca Südtiroler Volkspartei (56,6%).
[16]
Cfr. A. Lijphart,
The
politics of Accomodation. Pluralism and Democracy in Netherlands, University
of CaliforniaPress,
Berkeley, 1968.
[17]
Cfr. S. Rokkane
D. W. Urwin(cur.),
The
Politics of Territorial Identity, Sage, London, 1982
[18]
Vedi: Günther Ammon,
L’Europe
des Régions, Economica, Paris, 1996.
[19]
Cfr. l’articolo di Anton Pelinka,
Volkspartei,
il partito del conflitto controllato, cit.
[20]
Per un esempio sintomatico: Franz Pahl,
Tiroler
Einheit ietz! (Unità del Tiroloadesso!),
Arnd, Kiel, 1991.
[21]
Cfr. “Il mio Sudtirolo”, in «liMes» 4/93, L’Europasenza
l’Europa; anche: «Il Brenneroper
me resta una ferita», in «Corriere della Sera», 4
maggio 1998.
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o | Trentino:
autonomia speciale,
la democrazia dall'alto Capitolo III «Un
legame di affetto riuniva gli oppressi agli oppressori e la natura,di avvicinarli,
rendeva più evidente ancora lo spazio immenso
PREMESSA
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