di
MAURILIO BAROZZI
Credo
quia absurdum
L’autonomia speciale ha cinquant’anni
(14) . Anzi qualcuno di più, dato che è stata sancita
già dal patto che nel 1946 il presidente del Consiglio (con de-lega
agli esteri) italiano Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco
Karl Gruber hanno sottoscritto a Parigi. Un documento che serviva per garan-tire
«agli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli
dei vicini comuni bilingui della Provincia di Trento [..] completa eguaglianza
di diritti ri-spetto agli abitanti di lingua
italiana» (15) . E il bilancio di questa autonomia, tutto
sommato, può essere giudicato positivamente. Grazie al fatto che
la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol (e, dal 1972, le due province
di Trento e Bolza-no) ha potuto legiferare su diversi terreni, l’economia
è cresciuta e il conflitto – sempre latente – tra gruppi linguistici
diversi è stato tamponato. Anche nel giugno del ‘61, quando i famosi
attentati separatisti hanno fatto crollare qua-rantasette tralicci dell’alta
tensione, in Alto Adige/Südtirol «non ci furono reali scontri
fisici tra i due gruppi linguistici – ricorda Romano Viola che lì
è stato assessore provinciale –. I carabinieri però dopo
aver identificato alcuni auto-ri, li arrestarono e li fecero parlare a
suon di legnate. Alcuni morirono per at-tacco cardiaco sotto la pressione
del pestaggio. Sarebbe bastato che duran-te i funerali il leader dell’Svp
Silvius Magnago avesse brandito slogan antita-liani per scatenare la guerra
civile. Se avesse detto: “Il sangue di questi te-deschi deve essere vendicato”
è facile immaginare a che conseguenze sa-remmo andati incontro:
ora ci spareremmo sulle montagne. Invece l’abilità politica di Magnago
prevalse. Qui oggi riteniamo cosa assolutamente norma-le poter girare di
notte disarmati indistintamente nei quartieri tedeschi o italia-ni, ma
in situazioni di convivenza ciò non è normale. Questo è
il frutto di una complessa e raffinata azione politica»
(16). Bene, dunque.
Peccato che il consistente impianto di poteri normativi e le numerose competenze
della Regione e delle due Province siano però finanziati – c-me
per tutte le regioni a Statuto speciale – attraverso un sistema di trasferi-menti
pubblici, direttamente legati al gettito locale dei tributierariali
(17) . E ciò ovviamente comporta dei costi «direttamente
proporzionali alle funzioni e-sercitate dalle unità amministrative
periferiche», dicono alcuni studiosi. Ma molti individuano in tali
costi una sproporzione. Chi ha sondato le cifre che ruotano sulle autonomie
speciali rispetto a quelle ordinarie ne ha tracciato un quadro riassunto
in un titolo da prima pagina del «Sole 24 ore»: «Con
lo Sta-tuto speciale le spese raddoppiano»
(18). Per le regioni a Statuto ordinario la spesa pro capite delle
regioni è – in media – di 2.636.947 lire (9,7% del Pil regionale),
mentre per le regioni a Statuto speciale si passa a 5.224.806 lire (il
23,8% del Pil della regione) (19)
.
Il
meccanismo diretto tra tasse pagate e i trasferimenti statali, poiché
in questi anni le entrate fiscali sono ancora aumentate, ha fatto sì
che cresces-se pure il bilancio al Trentino-Alto Adige/Südtirol. Ma
– nelle previsioni – la politica di spesa pubblica italiana dovrebbe cambiare
segno. Essere impostata prevalentemente sulla riduzione di spesa, anziché
sull’irrobustimento dei prelievi
(20) . Questo approccio, largamente condiviso dalle forze parlamen-tari,
non potrà non avere conseguenze sul finanziamento alle autonomie
speciali, assottigliandone i grassi flussi finanziari automatici.
Tuttavia il dibattito politico locale vegeta nell’ignavia. Non pare avere
an-cora registrato la portata di tali pericoli. Inebetito dalla retorica
autonomista, ha perduto il senso del limite. E pensare che nel 1969, quando
si trattò di approvare il secondo Statuto, l’assemblea della Volkspartei
– evidentemente ancora attratta dalla secessione – nicchiava: lo fece passare
per il rotto della cuffia, con il 52 % dei voti: una maggioranza stentatissima,
una personale vit-toria di Silvius Magnago. Nel periodo della guerra fredda,
il politico sudtirole-se «ha fatto capire al resto della Svp che
non sarebbe mai stato possibile vincere un’eventuale guerra di separazione
dall’Italia perché gli Usa non vo-levano assolutamente cambiare
il confine del Brennero e anche l’Austria non avrebbe certo potuto sostenere
questa scelta. Inoltre prospettò da subito il vantaggio della proporzionale:
ovvero la garanzia di una percentuale fissa di posti di lavoro destinati
al gruppo linguistico tedesco. Solo questo meccanismo, seppur in termini
molto rozzi, poteva effettivamente difendere questa gente»
(21) .
Oggi
però, in un momento storico completamente mutato rispetto a quello
che caratterizzò l’introduzione del primo e del secondo Statuto,
anzi-ché individuare nuovi contenuti per giustificare l’autonomia
speciale, la corsa all’oro recluta altri concorrenti: ladini, cimbri, mocheni
(22) . Il disegno è chiaro. Il riconoscimento e la relativa
tutela delle minoranze linguistiche in provincia di Trento mette fine alla
polemica che dal 1946 assilla l’istituto regionale: perché l’autonomia
speciale (nata con lo scopo di proteggere la minoranza te-desca in Alto
Adige) è allargata anche al Trentino?
Con
il movimento federalista che si sta organizzando e sta trovando sempre
nuovi adepti e – dato per scontato che lo Stato non può (ancora?)
essere liquidato – dove si troveranno i soldi per garantire alle autonomie
speciali un tenore di vita come quello odierno? Dove si potranno rastrellare
i finanziamenti per mantenere un livello di disoccupazione del 4% scarso
grazie ad un colossale esercito di dipendenti pubblici
(23) , mentre in tutta Europa è del 10%? È un mistero
che solo la fede incondizionata nella specificità trenti-no-altoatesina
può giustificare e, secondo i simpatici epigoni di Tertulliano,
non dovrebbe essere considerato vergognoso proprio perché potrebbeesserlo.
La ragione impone altri percorsi.
Money
Matter - Questione di soldi
Uno
degli slogan più efficaci e più utilizzati dai feddayin dell’autonomia
speciale trentina è quello del «laboratorio politico».
Il Trentino Alto Adi-ge/Südtirol, grazie alla sua specifica collocazione
geografica, al fatto di es-sere abitato da diversi gruppi linguistici e
alle potenzialità offerte dallo Statu-to, dovrebbe rappresentare
la galleria del vento dell’ingegneria politica. Il luogo in cui si sperimentano
nuove forme di convivenza. Tanto è vero – ag-giungono i templari
di questa idolatria – che sono venuti a studiare questi modelli da ogni
parte del mondo, per apprenderne i segreti. «Ad esempio delegazioni
canadesi e israeliano-palestinesi», dicono. Certamente è vero.
Ma altrettanto certamente è vero che in Israele e Palestina, nonostante
le vi-site in Trentino-Alto Adige/Südtirol, la convivenza non decolla,
e in Canada ogni anno che passa, aumentano le percentuali degli abitanti
del Quebec che votano per il secessionista Parti Quebecois
(25). E ciò, nonostante questi osservatori illuminati abbiano
assaggiato il frutto dell’albero della conoscenza costituito dalla Regione
trentina sudtirolese. Ma una spiegazione logica c’è. Ed è
molto semplice: il problema, per loro, sta nel fatto che non esiste un’entità
che garantisca un tenore di vita da nababbi
(26) – come fa invece lo Stato italiano –, e una discrezionalità
politica che consenta di effettuare an-che le scelte più dissennate,
sapendo che comunque i costi degli errori non saranno pagati direttamente
da chi le ha prese, ma da uno dei tanti assestamenti assestamenti di bilancio
che consentono di riparare a qualsiasi calcolo rivelatosi non corretto
(27). Su questo punto, pure i più ferventi sostenitori del
benefico ruolo che gioca l’autonomia speciale trovano delle difficoltà
oggettive a giustificarne il percorso. Anche se – assolvono – quando il
secondo Statuto speciale è stato votato, alla fine degli anni Sessanta,
non si sapeva ancora quanti soldi sarebbero arrivati da Roma. Certo, «il
fiume di denaro ha reso tutto molto più facile, ma questo è
ovvio», ha ammesso Romano Viola, per anni assessore provinciale in
Alto Adige/Südtirol, e profondo conoscitore della realtà altoatesina.
Questo – nelle arringhe dei difensori dell’autonomia – sembra comunque
un discorso incidentale.
Tutti sono ormai così coinvolti in questa logica del trasferimento
statale, in Trentino e in Südtirol, che non si cerca più nemmeno
una foglia di fico per mascherarne le vergogne. Anzi. Il dibattito in seno
alla Prima commissione permanente del Consiglio provinciale trentino, per
l’approvazione di un disegno di legge di iniziativa popolare finalizzato
al riconoscimento dei ladini, i mocheni e i cimbri come minoranze linguistiche
locali, ha esaltato i retori au-tonomisti. Il rappresentante trentino della
Lega nord, nel votare il provvedimento, ha osservato che «le minoranze
rafforzano la specialità del Trentino e che il disegno di legge
è “un ulteriore paracadute per l’autonomia trentina” (in corsivo
nel testo del periodico “Consiglio provinciale”
(28) che ha divulgato la dichiarazione, N.d.A.) di qui l’importanza
di valorizzare al massimo le diversità, nella consapevolezza che
il progetto approvato forse serve più all’intera comunità
provinciale, perché, come hanno detto i proponenti, ne vengono maggiore
visibilità e giustificazione per l’autonomia della Provincia».
Il principio sotteso è così semplice da risultare banale.
È quello dell’approvvigionamento delle risorse. Riconosciute le
minoranze, l’autonomia trova la sua giustificazione filosofica anche in
Trentino. E, così intesa, rappresenta la possibilità di dividere
tra pochi le potenzialità a disposizione. Su questa idea si fonda
la vulgata autonomista: a nessuno conviene restarne fuori.
Alfons Benedikter, ottantenne esponente altoatesino del partito seces-sionista
Union für Südtirol, durante la discussione in consiglio provinciale
a Bolzano del disegno di legge di riforma del settore dell’edilizia ne
ha criticato l’impianto perché si parlava di un «credito del
gruppo italiano in questo settore». E lo ha fatto con dovizia di
particolari: «Sebbene dal 1948 la Provincia abbia competenza legislativa
primaria in materia di edilizia abitativa agevolata, lo Stato ha continuato
per tanto tempo a gestire la relativa politica e in quel periodo sono stati
5.500 gli alloggi costruiti dallo Stato, di cui 3.500 a Bolzano e solo
il 5 per cento è stato assegnato al gruppo linguistico tedesco e
ne deriva pertanto un credito edilizio di 3.200 abitazioni a favore del
gruppo tedesco, credito che è stato peraltro confermato in una sentenza
della Corte costituzionale (29)»
.
Dall’altra
parte, Giorgio Holzmann, capogruppo di Alleanza nazionale in consiglio
provinciale, ha osservato che gli extracomunitari finiscono nelle graduatorie
riservate esclusivamente agli italiani, «quando invece dovrebbero
essere suddivise tra gruppi (30)»
. La preoccupazione politica maggiore è quella di garantire per
sé e per il proprio gruppo linguistico il massimo dei benefici e
dunque – come in tutti i giochi a somma zero – negarli all’altro. O agli
altri.
Ipotesi,
non già corollario
Resta
l’idea, non ancora assurta a corollario, dunque ogni giorno da di-mostrare.
Quella di approfittare delle risorse – anche umane e culturali (i di-versi
gruppi linguistici) – per effettuare delle sperimentazioni sul decentramento
che oggi, in un clima di lode acritica al federalismo, potrebbe comunque
giocare una parte importante: l’autonomia come capacità di autogover-no.
Ma i dati non confortano. Le politiche che negli ultimi anni avrebbero
do-vuto continuare a qualificare lo status di specialità, non decollano.
Gli statisti che dovevano raccogliere l’eredità del loro conterraneo
Alcide De Gasperi si incagliano nelle secche del privilegio che – controipotesi
– non fa progredire chi ne beneficia. È il paradosso usato da Carlo
Azeglio Ciampi, all’indomani dell’ammissione dell’Italia nel gruppo che
farà parte della moneta unica europea dalla prima tornata: non sono
smidollati solo gli utopisti o i rivoluzionari classici – ha spiegato il
ministro del Tesoro e del Bilancio –. Lo sono anche gli arrivati, i compiaciuti,
i disincantati che non conquistano né inventano più alcunché
di nuovo. Che in Regione non si inventi più nulla di nuovo, sembra
scontato. Finanche tautologico.
In provincia di Trento, le poche proposte di legge innovative presentate
negli ultimi anni, come quella per il decentramento delle funzioni amministrative
ai comuni, non hanno passato la prova del fuoco costituita dal voto del
Partito autonomista. E sono state cassate. Al modico prezzo di un rimpasto
di giunta. Una Provincia che rivendica quotidianamente autonomia, divinandone
le lodi fino a renderla una sorta di panacea che dovrebbe preservare da
tutti i mali, si mostra restia a concederla a sua volta nei confronti di
entità più piccole, i
comuni (31). Franco Frattini, ex ministro e oggi parlamentare di
Forza Italia, ha parlato di «esaltazione di neocentralismi regionali
e provinciali con la protezione degli Statuti: il mancato adeguamento alla
legge Bassanini sul decentramento amministrativo da parte della provincia
di Trento – che dovrebbe essere un laboratorio, all’avanguardia – ne è
un triste esempio (32)»
. Torna il paradosso che il professor Umberto Pototschnig denunciava già
dieci anni fa, nel 1988: «Non mi sembra coerente – affermava il giurista
– che la Provincia rivendichi per sé dallo Stato il massimo riconoscimento
della sua autonomia, e sottoponga invece i Comuni della propria circoscrizione
a un regime di assoluta soggezione, facendone in buona sostanza degli enti
dipendenti». Ciò vale anche per altre istituzioni, ad esempio
quelle culturali, che rivendicano autonomia dalla giunta provinciale ma
non la ottengono (33) .
A livello regionale le cose non vanno meglio. La legge elettorale – pro-porzionale
puro con la possibilità per l’elettore di esprimere quattro preferenze
– ha stentato fino all’ultimo a trovare una sostituzione politica, ingessata
nello Statuto speciale (34).
E infine, quando l’ha individuata in un sistema che era il meno peggio
rispetto al maggioritario votato per referendum – soglia del 5% nella provincia
di Trento e del “quoziente naturale” (circa 2,8%) in provincia di Bolzano
– è intervenuta la Corte costituzionale. Niente da fare: lo Statuto
speciale «non tollera la introduzione di elementi che escludano,
o rendano più difficoltosa, la rappresentanza dei gruppi linguistici,
considerati dallo stesso statuto, che intendano proporsi nella competizione
elettorale in quanto tali (35)»
. Altro che maggioritario! Questo principio, ha sottolineato il poli-tologo
Sergio Fabbrini, «finisce per imporre anche al Trentino (oltreché
all’Alto Adige, N.d.A.) la logica della divisione etnica. Ma, va da sé,
si tratta di una logica illogica: non solo per le limitatissime dimensioni
delle nostre minoranze linguistiche, ma anche per la loro indefinitezza
quantitativa (non esistendo, e per nostra fortuna, un qualsivoglia censimentoetnico
(36)» .
Ma c’è di più. Fino a quando la giustificazione dell’autonomia
speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol sarà basata esclusivamente
sulla presenza di minoranze linguistiche, essa continuerà ad essere
percepita all’esterno come un ingiustificato privilegio. I ladini, per
fare un esempio, sono una co-munità molto più consistente
in provincia di Belluno (in Veneto, circa 30mila presenze, secondo il dossier:
Viaggio nel Paese dai mille popoli, pubblicato dal «Sole 24 Ore»
il 12 agosto 1996) piuttosto che in Trentino (7.597
) (37) e in Alto Adige/Südtirol (19mila, secondo il
censimento 1991). E, sempre in Ve-neto, sono state censite comunità
di carinziani (a Sappada, provincia di Bel-luno), di armeni (San Lazzaro,
vicino a Venezia), di ebrei (a Venezia) che par-lano tra l’altro un particolare
dialetto giudeo-veneziano studiato negli anni ’70 dai linguisti Umberto
Fortis e Paolo Zolli. Non sono solo le regioni confinarie a vantare la
presenza di minoranze. In Abruzzo, per citare un altro caso, c’è
una comunità albanese (arbrësc) che secondo lo studioso Massimo
Olmi fino a non molti anni fa, con centomila esponenti, costituiva una
delle più consistenti minoranze etnico-linguistiche d’Italia
(38).
Risulta così evidente che in Italia la presenza sul territorio delle
mino-ranze – giusto o sbagliato che sia – non implica una condizione sufficiente
per ottenere uno status di specialità. Piuttosto, la Regione trentino-altoatesina
– per merito dei suoi rappresentanti – ha approfittato di essere sulla
rotta degli interessi geopolitici delle quattro potenze vincitrici del
secondo conflitto mondiale (39)
ed ha così ottenuto – già cinquant’anni fa – questa prerogativa.
E conseguentemente uno Statuto speciale. Ma la massima che «meglio
essere invidiati che compatiti» non basta più. Per giustificare
l’autonomia, nel Duemila serve un progetto. Parafrasando Ernst
Renan (40) si potrebbe dire che essa «è un plebiscito
di tutti i giorni». È un mezzo per raggiungere un fine politico,
quel bonum comune così seducente ma indubbiamente altrettanto generico.
Per
intanto il senso delle rivendicazioni di autonomia viene riassunto in slogan,
tanto rozzi quanto efficaci, che evidenziano l’opzione contro, anziché
il pro. I Padani dicono via da Roma ladrona; i sudtirolesi germanofoni
hanno detto los von Trient e, visto che la strategia paga, tale detto è
stato rispolverato anche dai ladini del Trentino. Gino Fontana, sindaco
di Vigo di Fassa – uno dei sette comuni ladini della provincia di Trento
– ha concluso il suo in-tervento alla assemblea dell’Union ladina minacciando
la secessione da Trento: «È meglio che tutti pensino seriamente
ad andare con Bolzano, dove saremmo più tutelati», ha
detto (41). E così ha chiarito il senso e aumentato il peso
delle proposte di legge costituzionale che dovrebbero modificare lo Statuto
di autonomia conferendo maggior importanza al suo gruppo linguisti-co con
una presenza garantita nel consiglio provinciale di
Trento (42) .
La Lega Nord ha poi trovato il coraggio di proporre in consiglio regionale
quanto di meglio fosse possibile: nei comuni trentini si dovrebbe poter
esse-re assunti solamente se si dimostra di conoscere il dialetto locale.
Sergio Divina, il capogruppo, ha spiegato in due battute la ratio dell’emendamento
alla legge 185 (il recepimento della Legge Bassanini): «Allo sportello
è giusto che ci sia un dipendente in grado di parlare in dialetto
anche con l’anziano che non usa l’italiano». Ma poi si spinge ancora
più in là chiarendo il vero senso dell’emendamento proposto
L’obiettivo è quello di privilegiare i trentini nell’assegnazione
dei posti pubblici: «Non possiamo scrivere che al concorso si danno
più punti a chi risiede in Trentino da tot anni – spiega candidamente
Divina – perché ci direbbero subito che è incostituzionale.
E allora, cerchiamo di arrivare allo stesso obiettivo per altre vie».
Viva la since-rità. Magari condita da quel pizzico di demagogia
che, a pochi mesi dalle e-lezioni di novembre, avrebbe potuto sortire qualche
effetto. Tanto più che già a marzo il segretario politico
della Lega Nord della provincia di Trento, Alessandro Savoi, aveva spiegato
il programma del partito: «Un Trentino – ha detto – per i trentini.
Con una scuola che apra le porte, nelle assunzioni, agli insegnanti e al
personale ausiliario residente in provincia da almeno 5 anni. Ma non solo:
Una scuola che inserisca fra le materie di studio la storia, gli usi, la
geografia locale. Compreso il
dialetto (43)» . Probabilmente aveva in mente – già
in anticipo – questi sviluppi l’antropologo Carlo Tullio Altan, quando
parlava di «fiorire del populismo nella versione localistica, con
tendenze separatiste e decisamente antistatuali, e risvolti tanto di “sinistra”
quanto reazionari, che ha caratterizzato gli ultimi anni
(44)» . Ma un lessico così bislacco non nasconde soltanto
il populismo. Esso maschera pure mancanza di idee per dare un senso non
egoistico alle autonomie. Eccezion fatta per gli scontati quanto ormai
fuori registro richiami storici. Come direbbe l’economista britannico Jeffrey
Weingarten: qui si guida a duecento all’ora guardando nello specchietto
retrovisore.
Autonomia
o autonomismo?
L’attuale dibattito sull’autonomia ha due caratteristiche particolari:
è au-tonomo e autonomistico. Magnifica il solipsismo trentino. Non
si apre a con-tributi di intellettuali esterni, evidentemente giudicati
incompetenti sul tema, per il solo fatto di non essere trentini. Tanto
è vero che nella retorica autonomistica sempre più frequenti
sono le espressioni che escludono dalla discussione i non-trentini
(45) .
Pro
e contra dell’autonomia sono sempre analizzati nell’ottica regionale trentino
altoatesina (13 mila kilometri quadrati, 890 mila abitanti: un microbo)
e solo poche eccezioni cercano di aprire il confronto e di allargarlo alle
pro-spettive nazionali o europee. Purtroppo, chi prova a farlo inficia
poi tutto utilizzando spesso elementi fideisti e concetti inventati, finalizzati
all’esaltazione di tratti illiberali. È il caso dell’Europa delle
regioni, tanto sventolata dai maître à penser autonomisti
ed etnofederalisti quanto politicamente inconsistente.
In
questo provincialismo si evidenzia una contraddizione di fondo: il pro-tezionismo
autonomista non si sposa con il processo economico impostato dal Trattato
di Maastricht. Pensare di entrare in Europa come soggetti di pri-mo piano
portandosi dietro il fardello dei regionalismi particolaristi e dei pro-tezionismi
economici sembra puerile. Come pare immaturo - da parte di diversi politici
locali – predicare la necessità per la classe economica e im-prenditoriale
di attrezzarsi per affrontare la globalizzazione dei mercati e poi – al
contrario – garantirne la sopravvivenza a suon di contributi pubblici,
co-me potrebbe fare l’ultimo baluardo statalista rimasto al mondo. Tanto
più che spesso tali sovvenzioni elargite in Trentino Alto Adige/Südtirol
sono state giudicate non regolamentari dalla Commissione europea. Gli esempi
non mancano: il più noto è forse quello che ha fatto sfumare
un aiuto di 173 miliardi che – grazie alla legge provinciale trentina 4/’81
– doveva arrivare alle Cartiere del Garda
(46). Si può anche aggiungere che la Commissione Ue
ha recentemente avviato una procedura di esame della richiesta avanzata
dalla Provincia di Bolzano di accordare all’impresa siderurgica «Acciaierie
di Bol-zano» aiuti pubblici per 12,4 miliardi di lire
(47).
Nonostante
ciò, chiunque dall’esterno abbia cercato di affrontare il tema dell’autonomia
speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol e dei problemi ad essa connessi
(quello etnico e linguistico in primis) in un’ottica critica è stato
tacciato di incompetenza.
È il caso di Sebastiano Vassalli, uno dei più noti scrittori
italiani, che quando ha pubblicato per Einaudi il libro-inchiesta sull’Alto
Adige/Südtirol intitolato Sangue e suolo, si è tirato addosso
l’ira dei sacerdoti dell’autonomia. Non parliamo degli esponenti del mondo
politico, poi. Rispondendo indirettamente ad un’intervista del ministro
degli Affari re-gionali Katia Belillo («sarà necessario studiare
come far rientrare l’attuale or-dinamento finanziario delle regioni a Statuto
speciale nell’ambito delle esigenze solidaristiche
(48)») , i politici trentini sono stati – praticamente senza
ec-cezioni – compatti. Carlo Andreotti (Patt): «Evidentemente a Roma
non co-noscono bene Statuto e Norme di attuazione. Abbiamo un sistema consoli-dato
che non può essere smantellato con i soliti luoghi comuni».
Stessa lun-ghezza d’onda per l’onorevole trentino dei Ds Luigi Olivieri:
«Invitiamo in Trentino Alto Adige il ministro Belillo in modo che
possa rendersi conto della nostra realtà». E Michele di Puppo,
esponente dei popolari, già vicepresi-dente della giunta provinciale
di Bolzano: «Quello del ministro mi sembra un approccio al problema
privo di apporfondimento. Gli consiglio di avere una conoscenza più
personale della nostra realtà
(49)» . Si arriva pure alle lezioni di storia. Lidia Menapace
– che è stata «oltreché consigliera e assessora qui
da noi (in Alto Adige/Südtirol nelle file della Dc negli anni ‘60,
N.d.A.), anche consigliera regionale del Lazio» – spiega alla Belillo
che «dimostra di non sapere che il federalismo fu sconfitto nel Risorgimento
italiano; invece che su modelli dedotti dal pensiero di Ferrari, Cattaneo
e Gioberti, lo Stato fu costruito secondo i voleri dei Savoia e il pensiero
e l’azione politica di Cavour, Garibaldi e Mazzini, i quali erano unitaristi
fino al centralismo (50)»
. Unendo in un medesimo catino politico Mazzini (Dio, Patria, Umanità
Fede, Azione, Dovere re, Ideale, Missione) con Cavour (connubio)
(51) e dimostrando di non cogliere appieno il senso della contingenza
storica.
Eppure
tutti coloro che – a diverso titolo – hanno avuto a che fare con i rappresentanti
autonomisti ne hanno ricavato un’impressione di difensori acritici di privilegi
chiamati in altro modo. «Ho fatto per un anno il ministro delle riforme
istituzionali proprio nella fase della chiusura del Pacchetto – ha spie-gato
in un’intervista Mino Martinazzoli (52),
l’ultimo segretario della Dc e oggi sindaco di Brescia -. Nella mia esperienza
posso dire che i trentini sono mol-to patriottici a Roma, un po’ meno a
Trento e molto solidali, quasi conniventi con l’Alto Adige, quando si tratta
di strappare dei soldi al Governo». E infatti l’ex ministro pensa
«che si debba esplorare criticamente il passato, rivedere le ragioni
storiche dell’autonomia e misurarle sul nuovo orizzonte europeo».
Il professor Gian Enrico Rusconi è convinto che i trentini non debbano
pensare «di cavarsela con qualche ritocco marginale mentre si rivoluziona
il si-stema Italia». Dunque «alla lunga i nodi verranno al
pettine e anche il Trenti-no Alto Adige dovrà chiedersi se è
sensato mantenere il modello attuale di autonomia». Soprattutto perché
la paura di perdere lo status quo «finisce per bloccare ogni dialogo:
e così chi ha una storia e una cultura regionalistiche – come il
Trentino Alto Adige – non le comunica alla Bicamerale dominata dai centralisti
(53)» .
Su questo timore anche il lessico delle vestali autonomiste si adegua.
E si fa ogni giorno più intriso di catastrofismi, che tendono ad
allontanare la riflessione laica. «Prendo atto che proprio oggi tornano
a levarsi voci che vorrebbero la fine della Regione nel riaffacciarsi di
forme di ingegneria istituzio-nale confuse e contraddittorie. È
una strada sbagliata che potrebbe portare lontano e causare danni gravissimi
alle nostre istituzioni (54)»
, ha affermato Franco Tretter, vicepresidente del consiglio regionale e
capo carismatico del Patt, per commentare un’intervista di Lorenzo Dellai
– allora sindaco di Tren-to – nella quale si parlava in modo disincantato
dell’istituto regionale. Dob-biamo registrare, aveva detto Dellai al settimanale
altoatesino di lingua tede-sca «FF», l’esistenza di due realtà
diverse: il Trentino e l’Alto Adige/Südtirol. E la cosa non poteva
essere vista senza diffidenza (né paura) da un leader, quello autonomista,
che qualche tempo prima era riuscito ad individuare il ca-rattere specifico
della trentinità soltanto nel «sereno buon senso della gente
di montagna (55)» . Basta,
questo, per ottenere dello Stato un’autonomia speciale che gli altri non
hanno?
Note al testo
14)
Il primo Statuto di autonomia della Regione Trentino Alto Adige fu approvato
dall’Assemblea costituente il 31 gennaio 1948. torna al
testo
15)
Art. 1 del Trattato De Gasperi-Gruber, Parigi 5 settembre 1946. torna
al testo
16) Colloquio
con Romano Viola, Bolzano, gennaio 1994. torna al testo
17) Vedi
gli articoli da 69 a 86 dello Statuto speciale trentino. torna
al testo
18) Dossier:
L’Italia delle autonomie, «Il sole 24 ore», 9 settembre 1996.
torna
al testo
19
) Vedi: Pasquale Coppola, Geografia politica delle
regioni italiane, Einaudi, Torino, 1997, pp. 345-351. torna
al testo
20) Cfr.
Gianfranco Cerea nell’intervista: Il Trentino, una goccia nell’oceano dell’Euro,
in «l’Adige», 27 marzo 1998. An-che: Walter Veltroni, «Voglio
un grande Ulivo», in «l’Adige», 19 novembre 1998. torna
al testo
21) Romano
Viola, colloquio cit. Anche: Spiegazione della cartina sulla Euroregione
Tirolo, allegato in «liMes» 4/93, L’Europa senza l’Europa.
torna
al testo
22) Minoranze
linguistiche presenti sul territorio trentino-altoatesino. torna
al testo
23) «La
sola Pubblica Amministrazione offre più posti di lavoro, all’economia
locale, di quanto possano fare industria e co-struzioni messe insieme».
Cfr. Enzo Rullani, La realtà locale nello scenario economico del
Paese e del Nordest, cit, p. 81. torna al testo
24) Secondo
la logica di Tertulliano, esplicitata nella sua opera più illustre:
De carne Christi. torna al testo
25) E
proprio in Québec un pubblicitario di nome Howard Galganov ha formato
un partito che rivendica la tutela degli an-glofoni (in contrapposizione
ai francofoni, molti raccolti nel partito indipendentista Quebecois): «Non
dobbiamo fare concessioni – dice il leader –. Non si può essere
concilianti con chi ti vuole privare dei tuoi diritti». E sulla scorta
di que-ste dichiarazioni riesce a fare proseliti, anzi: ancora nel settembre
1996 in un pezzo apparso sul giornale canadese «Globe and Mail»,
l’articolista Tu Thanh Ha lo definiva «l’idolo della comunità
anglofona». torna al testo
26) Nella
citata intervista al «Corriere della sera», lo scrittore Sebastiano
Vassalli – parlando della possibilità di esportare il modello sudtirolese
al Kosovo – spiega: «Il modello sudtirolese ha costi elevatissimi.
L’economia dell’Alto Adige, infatti è molto ricca perché
molto assistita [..]. Milosevic non se lo sogna neppure di coprire d’oro
gli albanesi del Kosovo. Per ora li copre solo di piombo».
torna
al testo
27)
Un esempio è il caso della metropolitana in superficie di Trento:
il progetto – mai realizzato – è costato 3.306 milioni, una valanga
di soldi in più di quanto preventivato, ma non esiste alcuna responsabilità.
Cfr. Gian Antonio Stella, Lo spre-co, Baldini & Castoldi, Milano, 1998,
pp. 301-302. torna al testo
28) Vedi:
Ladini, mocheni e cimbri riconosciuti minoranze linguistiche locali, in
«Consiglio provinciale», n. 6, marzo 1998. torna
al testo
29) Agenzia
giornalistica «Ansa», 2 aprile 1998. torna
al testo
30) Ibidem.
torna
al testo
31) Cfr.
Ilvo Diamanti (cur.), Il Nordest come processo e come progetto, Fondazione
Giovanni Agnelli, Torino, 1997 (boz-za): «Un dirigente di associazione
di impresa [dice]: “Le lamentele qui vengono rivolte alla Provincia che,
accentrando tutte le competenze, esautora i Comuni. A parte i fondi per
la gestione corrente, i mezzi finanziari dei Comuni vengono stabiliti dalla
Provincia”», p. 62. torna al testo
32) Franco
Frattini ha pronunciato queste parole in occasione del convegno «Oltre
il Duemila», Trento, 18 settembre 1998. Per una sommaria trattazione
delle problematiche legate alla riforma della pubblica amministrazione
in Italia si veda: Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi,
Torino, 1998, pp.405-426. torna al testo
33) Si
valuti l’esempio del museo del Buonconsiglio di Trento. Cfr. Franco Marzatico,
Buonconsiglio, l’autonomia negata al museo, in «l’Adige», 4
agosto 1998. torna al testo
34) Scrive
il giurista Roberto Toniatti: «Il perdurare in vigore di [..] limiti
statutari condiziona pesantemente la portata so-stanziale delle riforme
possibili, anche di quelle riguardanti il solo Trentino (per Bolzano la
questione è a sua volta più in-tricata)». Cfr. Il prezzo
delle riforme possibili, in «l’Adige», 24 dicembre 1996.
torna
al testo
35) Sentenza
della Corte costituzionale del 14 ottobre 1998, pubblicata dall’«Adige»
il 22 ottobre 1998. torna al testo
36)
Sergio Fabbrini, La Corte indica la via «etnica». E sbaglia,
«l’Adige», 1 novembre 1998. torna al testo
37)
Censimento della popolazione della lingua ladina, in «Comunicazioni»
della Provincia autonoma di Trento, novem-bre 1996. torna
al testo
38)
Dossier: Viaggio nel Paese dai mille popoli, in «Il Sole 24 Ore»,
12 agosto 1996. torna al testo
39) Per
una trattazione più ampia della questione geopolitica, mi permetto
di rimandare al mio: Trentino-Alto Adige: re-quiem per una regione?, in
«liMes» 2/97, Euro o non euro, pp. 97-107. torna
al testo
40)
Ernst Renan, Qu’est-ce qu’une nation, Calmann Lévy, Paris, 1882,
p. 27. torna al testo
41)
Vedi: «Via da Trento, meglio Bolzano», in «l ’Adige»,
17 dicembre 1996. torna al testo
42) Cfr.
Proposta di legge costituzionale alla Camera dei deputati n. 1787 del 4
luglio 1996, sottoscritta da una gruppo tra-sversale di onorevoli dal ladino-ulivista
Giuseppe Detomas a Marco Boato fino a Franco Frattini di Forza Italia e
Giuliano Pisapia di Rifondazione comunista. torna al testo
43) Vedi:
La Lega: «Un Trentino più trentino», in «l’Adige»,
16 marzo 1998. torna al testo
44)
Carlo Tullio-Altan, Populismo e trasformismo, Feltrinelli, Milano, 1989,
p. 330. torna al testo
45)
Le affermazioni di Ilvo Diamanti e di Massimo Cacciari, critiche nei confronti
della specialità trentina sono tacciate come «tipicamente
venete». Cfr. Giorgio Grigolli, Bravi gli industriali ma governare
spetta ad altri, in «l’Adige», 23 settembre 1998. torna
al testo
46)
Cfr. L’elenco dei casi per i quali la Commissione europea ha avviato la
procedura ex art. 93, paragrafo 2 del Trattato Ce (soppressione o modifica
dell’aiuto), pubblicato in allegato alla XXIV Relazione della commissione
europea sulla politica di concorrenza del 1994, p. 669. torna
al testo
47)
Cfr. Agenzia giornalistica «Ansa», 1 luglio 1998. La richiesta
andrebbe a sostenere un investimento ambientale di 49,5 miliardi di lire
e uno in ricerca e sviluppo di 7,8 miliardi destinati alla ricerca e sviluppo.
torna
al testo
48)
«Meno soldi alle autonomie speciali», «l’Adige»,
13 dicembre 1998. torna al testo
49)
Cfr. «Opinioni personali del Ministro», «l’Adige»,
14 dicembre 1998. torna al testo
50)
Cfr. Lida Menapace, Se la ministra delle Regioni straparla di federalismo,
«L’Adige», 15 dicembre 1998. torna al testo
51)
«La nuova Italia, ben lungi dal sorgere – come voleva l’agiografia
tradizionale – dall’azione conbcomitante dei suoi quattro “eroici” capi,
Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi e Mazzini, in marcia sotto braccio
verso la meta preordinata dell’Italia unita, nacque dal conflitto di fondo
tra le forze patriottiche e dallo stesso antagonismo personale dei loro
capi». Stuart J. Woolf, La storia politica e sociale, in «Storia
d’Italia Einaudi», p. 381. torna al testo
52) «Non
bastano i miliardi e l’Euregio è un bluff», in «l’Adige»,
24 settembre 1997. torna al testo
53)
«Il Senato delle Regioni disinnesca la Padania», in «l’Adige»,
28 settembre 1997. torna al testo
54)
Agenzia giornalistica «Ansa», 18 settembre 1997. torna
al testo
55)
Franco Tretter, «Il grande centro è la nostra gente»,
«l’Adige», 23 aprile 1995. torna al testo
|
o |
Trentino:
autonomia
speciale, la democrazia
dall'alto
Capitolo
I
«Oggi
si conosce il prezzo di tutte le cose e il valore di nessuna».
Oscar
Wilde, Aforismi
PREMESSA
INTRODUZIONE
CAPITOLO
I
CAPITOLO
II
CAPITOLO
III
CAPITOLO
IV
|