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"Belgrado, una lunga lista di leggi da rifare"
Il professor Stevan Lilic esamina la fase di transizione in Serbia
 

di Michelangelo Severgnini e Dusko Djordjevic

   Con la salita al potere della nuova classe politica, quale situazione si è venuta a creare nell'universo istituzionale e legislativo jugoslavo?

   I cambiamenti avvenuti in Jugoslavia, con le elezioni lo scorso 24 settembre e poi con la manifestazione di popolo del 5 ottobre, rappresentano una grande speranza per il nostro paese. A loro volta importanti sono state le ultime elezioni per il parlamento serbo avvenute lo scorso 23 dicembre. Nel nostro gergo abbiamo chiamato il successo avvenuto lo scorso ottobre come fase "0", mentre con la recente vittoria al parlamento serbo siamo passati alla fase "+1". Attualmente il paese è a tutti gli effetti entrato in una fase di transizione, e quindi si trova a dover far fronte ad anomalie, incongruenze, discrepanze. 
  Mi riferisco quindi anche a tutto il sistema legislativo e di giustizia. In questo momento è ancora in vigore un grandissimo numero di leggi che si caratterizzano per la loro natura tirannica e che sono servite come strumenti al regime di Milosevic. D'altra parte però ogni stato che si vuole definire democratico deve trovare la propria legittimità attraverso il rispetto delle leggi esistenti e vigenti. Il primo compito quindi è restituire credibilità alle istituzioni, ma sempre attraverso il rispetto delle procedure legislative. Questo vale per il governo, per il parlamento e per i tribunali. All'ordine del giorno del parlamento federale e tra pochi giorni in occasione della prima seduta del parlamento serbo verrà presentata la lista delle leggi che vanno stralciate per far sì che il nostro ordinamento politico ritrovi legittimità democratica. 

   Riportiamo un esempio concreto. Esiste una sentenza emanata lo scorso 21 settembre con la quale il Tribunale di Belgrado ha condannato a 20 anni di detenzione 14 tra capi di stato e diplomatici dei paesi della Alleanza Atlantica per i crimini commessi con i bombardamenti nella primavera del 1999. Circa un mese dopo l'emanazione della sentenza, uno dei condannati (Hubert Vedrine, ministro francese) si è recato personalmente a Belgrado ospite della nuovo presidente Kostunica. Come deve essere considerato questo fatto?

   Questo è uno dei punti fondamentali del dilemma di questa transizione. Ad esempio è in corso il processo alla Commissione elettorale per la truffa che ha tentato di costruire a discapito del volere della maggioranza dei cittadini jugoslavi. Prossimamente saranno sottoposti a processo lo stesso Milosevic e suoi collaboratori per essersi concessi numerosi privilegi ingiustificati mentre erano al potere, tra i quali quello di svendere a se stessi a costi irrisori parti della proprietà pubblica dello stato. D'altro canto la sentenza che tu citavi ha valore, anche se io sono convinto che a spingere quei magistrati ad istituire quel processo siano stati più motivi di propaganda elettorale che reale senso di giustizia. Non è un caso che la sentenza sia arrivata solo a pochi giorni dalla scadenza elettorale del 24 settembre scorso. Nonostante questo però, quella sentenza si fonda su alcuni fatti e capi di accusa che realmente sussistono. 
   Dal mio punto di vista quindi, io sarei per una revisione di quel processo, in quanto in questo momento le alternative sono o quella di annullarlo o di renderlo valido e quindi di applicarne le sentenze. In ogni caso non reputo questa una delle priorità alle quali dobbiamo far fronte. L'attuale governo è contrario alle vendette, ma occorrono vie legali per risolvere queste situazioni. Quindi, una volta rimesso in sesto il corretto funzionamento democratico dello stato, verrà anche il tempo per occuparsi di quelle che sono state le responsabilità della NATO con i bombardamenti e quindi di sottoporle a giudizio. Mi ripeto quindi, anche se Milosevic è stato spinto da motivi di propaganda ad istituire quel processo, esistono gli estremi per processare la NATO. Penso ad esempio all'utilizzo di armi bandite dai trattati internazionali, quali i proiettili all'uranio impoverito e le cluster bombs, bombe a frammentazione. Queste armi hanno finito per compromettere gli equilibri naturali, contaminando il terreno, ma anche le acque dei fiumi e dell'Adriatico, per non parlare delle numerose morti provocate tra i civili.

   Durante il nostro ultimo soggiorno a Belgrado abbiamo avuto modo di leggere un interessante libro scritto dal professore intitolato "Prigovor savesti" ("Obiezione di coscienza"). A che punto si trova il disegno di legge sull'introduzione del servizio civile in Jugoslavia? Ci pare comunque che, perché la legge venga approvata, sia necessaria anche una maggioranza al parlamento federale, cosa che attualmente non esiste in attesa delle prossime elezioni federali in programma tra qualche mese….

   La nostra organizzazione chiamata "Comitato Jugoslavo per i Diritti Umani" (YUCOM) sta conducendo due battaglie, una per la concessione dell'amnistia ai disertori, l'altra per l'introduzione dell'obiezione di coscienza. Esistono due gruppi di persone per le quali noi proponiamo l'amnistia: il primo è definito "politico", ossia per tutti i prigionieri politici rinchiusi in carcere, la maggioranza dei quali albanesi del Kosovo; l'altro è definito "militare", ossia sono tutti coloro che non hanno risposto alla chiamata alle armi oppure si sono dati alla fuga durante le operazioni militari e questi sono ora considerati disertori. Per quanto riguarda l'introduzione del servizio civile abbiamo istituito un campagna chiamata "Iniziativa cittadina per l'obiezione di coscienza". Si tratta di una petizione che si prefigge di raccogliere 30mila firme con le quali si ha il diritto di pretendere che tale disegno di legge venga preso in considerazione dal parlamento. 
   Parallelamente ci battiamo anche perché il servizio di leva venga ridotto dagli attuali 12 mesi a soli 7 mesi, in conformità con le tendenze europee. In seguito alle ultime elezioni del 23 dicembre ho ottenuto anche la possibilità di difendere e promuovere queste iniziative direttamente in sede parlamentare, in quanto eletto membro del parlamento serbo. Considero questo anche un requisito indispensabile per poter fare richiesta di ingresso nel Consiglio d'Europa un domani, ma al di là di questo i benefici per tutta la società saranno incontestabili. Tant'è vero che queste idee attualmente incontrano lo scetticismo ancora della maggioranza della popolazione serba a causa di una tradizione militarista molto radicata nel costume delle persone soprattutto nelle zone rurali, per le quali spesso il fatto che un ragazzo non presti servizio militare corrisponde a motivo di biasimo. C'è bisogno quindi di un enorme sforzo di sensibilizzazione per la diffusione di una mentalità pacifista.

   In conclusione, vorremmo che ci aiutassi a chiarire un dubbio. Qualora, come si va dicendo, il Montenegro arrivasse ad indire il referendum per l'indipendenza il prossimo marzo e qualora prevalessero i voti a favore di questa,  cosa ne sarà della carica attualmente rivestita da Kostunica di presidente federale?

   Questa è una domanda legittima e l'ipotesi è plausibile. D'altro canto anche la risposta è scontata: senza una federazione, niente presidente federale. In ogni caso posso testimoniare che gli sforzi perché il Montenegro rimanga all'interno della Federazione Jugoslava sono notevoli ed io mi auguro che possa essere trovata una soluzione accettabile per entrambe le parti.
 


o Pubblichiamo un'intervista realizzata lo scorso venerdì 29 dicembre 2000 all'interno di "Ostavka!" sulle frequenze di radio "Onda d'Urto" (in onda tutti i venerdì dalle 18.20 alle 19.20 - Brescia 106.5, Milano 98.00) con il professore Stevan Lilic, docente di diritto presso l'Università di legge di Belgrado e membro dell'organizzazione non governativa YUCOM. Di recente Lilic è stato eletto al parlamento serbo all'interno del partito denominato Centro Democratico 
e facente parte della coalizione DOS (Opposizione democratica 
della Serbia). 
A cura di Michelangelo Severgnini 
e Dusko Djordjevic.
ostavka@virgilio.it

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