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pensieri
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Balcani, ricominciamo
da zero. A casa nostra
Il fallimento dei tanti piani che non
hanno coinvolto le persone cui erano diretti
La necessità di ammettere che stiamo
sbagliando tutti e di ripartire. Dai diritti umani
E’ ormai passato più di un anno da quando la Nato decise di iniziare un azione militare a favore della popolazione albanese del Kosova, che tante conseguenze avrebbe avuto. Un anno, durante il quale molto è accaduto e nonostante questo molto rimane ancora da fare e da capire. Si deve ancora chiarire, ad esempio, perché la Nato decise quell’azione, e quale sia il futuro politico, istituzionale e civile della nazione "Kosova". Rispetto alle prima questione l’opinione pubblica si è presto divisa in due schieramenti: contrari e favorevoli. I primi sostenendo la tesi dell’aggressione da parte della Nato alla Sovranità di uno Stato: la Serbia; i secondi sostenendo quella soprannominata "dell’ingerenza umanitaria", ovvero la leggittimità ad adoperare la forza giustificata dallo stato di sofferenza della popolazione. Entrambi gli schieramenti concordano sulle considerazioni che riguardano l’istituto delle Nazioni Unite che ha dimostrato per l’ennesima volta, nel corso dell’ultimo decennio di avvenimenti, di essere assolutamente incapace di fronteggiare, prima ancora che prevenire, le crisi del pianeta; e quelle che riguardano la Nato, sempre più convinta nel proprio ruolo di polizia internazionale a disposizione delle esigenze della Casa Bianca. In quello che
fino ad ora sembra un quadro desolante bisogna saper cogliere gli aspetti
positivi e cioè la legittimità ad adoperare la "forza" in
nome di motivazioni umanitarie. Ricordo il 1995 quando "il verde", "il
pacifista", "il cattolico", "l’ecologista" Alexander Langer invocò
l’intervento militare per liberare Sarajevo dall’assedio. A quella dolorosa
invocazione arrivò dopo aver conosciuto gli orrori della guerra
in Bosnia, dopo aver visto ed essersi reso conto di persona, dopo aver
affrontato un doloroso e conflittuale scontro con se stesso.
Rimane da comprendere,
ancora una volta, il perché. Anche qui due tesi: quella che
vede in Milosevic’ un novello Hitler furbo e spietato più del suo
illustre epigono e quella che, invece, trova, nelle losche convenienze
politiche della Casa Bianca, un’accorta regia nel mantenere instabile quest’area
dalla quale sferrare, poi, l’attacco finale a Belgrado da posizione favorevole.
I più radicali ed estremi si spingono addirittura oltre indicando
in Mosca il reale obiettivo di tanta sofferenza. Ad ogni modo si concorda
prevedendo un nuovo ed imminente futuro di guerra e di disgrazia.
Come mai dopo nove anni di guerra nei Balcani non è stato ancora possibile trovare una soluzione ai tanti problemi che affliggono quella realtà e che tanto costano alla Comunità Internazionale? Credo che la risposta risieda nella semplicità del fatto che durante tutto questo arco di tempo abbiamo elaborato innumerevoli varianti ai possibili piani di pace e modelli di sviluppo e di ricostruzione, senza mai chiedere, nemmeno una volta a chi quei piani e modelli avrebbe dovuto far vivere se li riteneva possibili e praticabili. Sempre Alexander
Langer molto tempo fa scriveva: "la convivenza plurietnica può essere
percepita e vissuta come arricchimento ed opportunità in più
piuttosto che come condanna: non servono prediche contro razzismo, intolleranza
e xenofobia, ma esperienze e progetti positivi ed una cultura della convivenza."
Ed allora la domanda successiva è: può l’Europa o più
in generale, la Comunità Internazionale pensare di possedere nel
proprio cromosoma il gene della tolleranza, del rispetto "dell’altro",
della multiculturalità? Conosciamo, per caso, un luogo qualsiasi
tra le tante città europee dove esista un reale esempio di convivenza
democratica tra gruppi semplicemente differenti? O non è vero, piuttosto
l’inverso, che le nostre città sono stracariche di tensioni sociali
legate proprio alla difficoltà di convivenza tra gruppi etnici,
culturali, religiosi differenti? Ed allora perché questa Europa
si ritiene in grado di essere capace di integrare nella convivenza le "tribù"
degli slavi del sud e del nord?
Ma fare questo significa possedere la capacità, ahimè rara, di sapersi mettere in discussione di essere capaci anche di rinnegare se stessi in nome del rispetto e della coerenza verso quei principi, questi si sacri!, che ’50 anni fa ispirarano la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, fondamento costituzionale anche del nostro sistema democratico.
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o | Andrea
Chiereghin, giornalista indipendente bolzanino,
da più di 5 anni viaggia nei territori della ex Jugoslavia. L'ultima esperienza è iniziata il 20 aprile 1999 ed é terminata il 12 ottobre, fra Kuses (i campi profughi in Albania) e il Kosovo, a Gjakovë, come responsabile della missione umanitaria organizzata dalla Caritas Albania. |
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