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Nazionalismo.
Le tappe della disgregazione jugoslava
Svetlana Djuric:
"Mi ha stupito che i politici europei abbiano permesso tutto ciò..."
A cura di Michelangelo Severgnini e Dusko Djordjevic Inevitabilmente si impone una riflessione sull’ipotesi di cosa sarebbe successo se si fosse evitato che le cose andassero come sono andate negli ultimi dieci anni qui nella ex-Jugoslavia. Tutti noi che ricordiamo e che abbiamo avuto la fortuna e la soddisfazione di essere coinvolti in quello che è successo prima dello scoppio della guerra tra il ’90 e ’91, siamo profondamente convinti che si potevano fare molte cose per fronteggiare quell’ondata in quel momento, mi riferisco al periodo del governo di A. Markovic*. Erano già partite delle riforme come la trasformazione dei quadri legislativi che dovevano avvicinarsi agli standard europei o perlomeno somigliarli. In quel periodo si lavorava sugli emendamenti costituzionali con l’obiettivo di adattare il più possibile le risoluzioni costituzionali in alcuni campi ai vari documenti internazionali allora validi. Molti dei documenti dell’Unione europea ora messi in pratica esistevano già ai tempi. Credo che con questo ampio lavoro che stava svolgendo il governo Markovic si poteva fare molto, si poteva fare se ci fosse stata molta buona volontà in tutte le sei repubbliche jugoslave con due regioni autonome (Kosovo e Vojvodina ndr.), si poteva fare molto in quella Jugoslavia nonostante i limiti economici; poteva attraversare in modo meno traumatico quello che stavano attraversato poi altri paesi post comunisti in fase di transizione. La Jugoslavia poteva fare quello che ha fatto la Slovenia anche se con tempi meno rapidi ma comunque più velocemente, con mento traumi e sbalzi, di quelli che hanno passato Ungheria, Romania, Bulgaria ed in linea di massima la Polonia e Repubblica Ceca. Tutti noi che eravamo presenti e che lavoravamo per quel governo abbiamo la stessa vaga sensazione che a qualcuno questo desse fastidio. Forse la disgregazione della Jugoslavia era il risultato di intenzioni e voleri di qualcuno che capiva l’importanza di un paese molto diverso e atipico per quello che si intendeva per la Cortina di Ferro; si voleva impedire la svolta che si stava per verificare. Parlare di Slovenia, in base alle sue dimensioni e alla sua popolazione è ben diverso che parlare di un paese di 22 milioni di abitanti, un territorio molto più grande e dei vantaggi cooperativi dal punto di vista economico. Ai tempi, se le cose fossero andate diversamente, sicuramente la Jugoslavia si sarebbe imposta come paese guida di tutta quest’area; inoltre sono sicura che l’intero processo di transizione nell’Europa dell’est sarebbe andato molto diversamente se la Jugoslavia non avesse vissuto quel caos, quelle distruzioni, quel blocco dello sviluppo che ha coinvolto tutti i suoi territori con eccezione della Slovenia che ha vissuto meno traumi. Quindi in Croazia, Bosnia, Macedonia ma anche in Montenegro, questo andamento di cose ha avuto esiti tragici per la continuità dello sviluppo e in generale per la vita economica del paese. Quando parlo di Croazia ad esempio non mi riferisco solo alle zone colpite dalla guerra. Quel caos provocato dalla guerra ha permesso che si creasse un clima di delirio nazionalista in cui l’elite di Tudjman al potere si trovò a pennello perché era proprio il clima del pericolo per la nazione che permetteva a questi di fare ciò che volevano. Il processo di privatizzazioni selvagge che hanno realizzato le lobbies di Tudjman ha assunto a suo tempo dimensioni che hanno stupito gli economisti poiché non sembrava possibile che in così breve periodo un così grande numero di risorse di un paese venisse saccheggiato in quel modo. La Croazia su questo piano ha superato non solo i livelli di corruzione della ex Jugoslavia ma persino quelli del regime di Milosevic appunto per le dimensioni di questo saccheggio del patrimonio pubblico. La Bosnia invece ha
subito invece devastazioni più gravi all'inizio e subito dopo la
guerra si è aperto lo spazio per le manipolazioni, corruzione e
tutto quello che questo caos portava con sé.
Voglio dire, se la Germania dell’est si trovava in questa situazione allora era lecito che mi ponessi la domanda di cosa sarebbe potuto succedere con altri paesi dell’Europa dell’est, e cosa sarebbe successo con il mio paese, cioè con la Jugoslavia. Poiché dopo un paio d’anni dall’inizio della crisi la guerra si era diffusa su un enorme territorio della ex Jugoslavia mi è tornata dall’inconscio questa frase e ho pensato ovviamente …”è quello il punto!” Costava molto meno distruggere tutte le infrastrutture che fare fatica investendo capitali e sforzi per fare in modo che l’economia esistente fosse adattata in modo che divenisse accettabile per i capitali europei per poter ricavare i profitti secondo i loro standard ed avere i loro interessi. Quindi mi sembra del tutto naturale che qualcuno dal punto di vista dei grandi interessi, degli interessi politici che vengono mossi da grandi capitali, in quest’ottica abbia pensato che fosse meglio eliminare un’industria del genere che perderci del tempo. Bosnia: centro delle industrie belliche e guerra degli interessi Quando penso alla Bosnia e alle distruzioni avvenute in questa regione che sono state veramente terrificanti ed umilianti per l’umanità, tra queste la pulizia etnica, un termine che ha perso il suo significato per l’uso e abuso sproporzionato di cui si è fatto in questi dieci anni. Molto spesso in quest’area succedeva che la conquista di una piccola zona o di un paese in seguito alla decisione di qualcuno di occuparla comportava la “pulizia” di tutta la popolazione in base alla nazionalità dell'aggressore che poteva essere di nazionalità serba, croata o mussulmana. La pulizia etnica andava in tutte le sei direzioni. Arrivando al punto che cos’era quello che spingeva attori militari in questo gioco sanguinoso di conquistare un paesino in mezzo alle montagne, la risposta è che in Bosnia era concentrata l’industria bellica. La Bosnia nella Jugoslavia di Tito era il centro dell’industria bellica. La logica quadrava: la Bosnia è l’unica repubblica della ex Jugoslavia che non aveva i confini esteri (occupando esattamente il centro del paese); è ovvio che si trattava di una locazione strategica in quanto era più difficile accedervi nel caso di un attacco o invasione. Quello che mi ha aperto gli occhi era un esempio concreto; il generale Perisic, che oggi si trova di nuovo al governo e nel frattempo era passato all’opposizione, per noi che eravamo impegnati nell’antimilitarismo era l’incarnazione del male, era lui che ha ordinato il bombardamento di Mostar. Era una bella città. E’ stato lui il primo che ha inaugurato gli scontri armati a Mostar, era proprio lui, allora generale dell’esercito jugoslavo. Cinque anni dopo questi avvenimenti, ho avuto l’occasione di parlare con alcuni stranieri commentando il suo passaggio anzi la sua rimozione dalla struttura del governo. È stato dimesso da Milosevic nel ’98 a causa di alcune questioni in Kosovo. Alla mia opinione
che noi non possiamo pensare niente di positivo di un personaggio come
Perisic anche a causa di Mostar, un israeliano mi disse: “ma perché?
Lui doveva ordinare il bombardamento di Mostar… lì si trovava un’industria
di un gas per uso militare molto pericoloso che non doveva cadere nelle
mani degli arabi*, se Mostar fosse stata presa dai mussulmani, dal punto
di vista internazionale, questa tecnologia sarebbe caduta nelle mani di
Arabia Saudita, Iran o Irak…". Questo mi ha aperto gli occhi su alcune
cose: persino gli americani non avevano un atteggiamento negativo nei confronti
di Perisic, anche quando era il generale dell’esercito, i loro commenti
su di lui e sulle sue imprese sono sempre stati abbastanza positivi. Quindi
occorre rendersi conto di che cosa vuol dire proteggere Mostar fino a quando
non fosse distrutta questa industria militare che non doveva cadere nelle
mani di qualcuno.
Nazionalismo e istituzioni ecclesiastiche: strumento di destabilizzazione Se pensiamo
in che modo la Jugoslavia poteva essere scossa, destabilizzata e infine
completamente disgregata, vediamo che già all’inizio degli anni
ottanta era diventato abbastanza palese che si stesse investendo nella
diffusione del nazionalismo, e questo non lo dico senza ragion veduta.
In quel periodo, a partire dall’81, ero direttamente coinvolta nel lavoro
analitico indirizzato proprio su questo processo: l’obiettivo era quello
di capire quale era il ruolo del nazionalismo e individuare le forme di
unione dei nazionalisti su tutti i territori della ex Jugoslavia, quindi
valutare qual era il potenziale destabilizzante dei circuiti nazionalisti.
Probabilmente anche per questo i fatti che sono successi dalla primavera
del ’91 per me erano molto più dolorosi, sia umanamente sia professionalmente.
A partire dai primi anni ottanta, con i miei colleghi di Zagabria, Sarajevo,
Skoplje arrivammo a queste conclusioni basate su analisi e ricerche; questi
erano dei documenti molto ampi che io purtroppo non ho, non potevano essere
consultati se non all’interno dell’istituzione poiché erano protetti
e io ho rispettato il mio status professionale. Era visibile che in tutte
le repubbliche della ex-Jugoslavia gli ambiti dei cosiddetti intellettuali,
lo dico apposta poiché non ritengo intellettuali tutti quelli che
si dichiarano come tali, erano promotori di questo fenomeno. In particolare
coloro i quali con le proprie posizioni e attività hanno messo in
crisi l’integrità del proprio status nella società.
La chiesa ha cominciato ad avere i propri media: i giornali, settimanali, monografie, riviste; già nell’84 il fenomeno era avviato, forse la comunità religiosa mussulmana era meno agguerrita anche se al suo interno c’erano divergenze e conflitti tra la corrente di Teheran (shiita ndr.) e quella Egiziana (sunnita ndr.); quest’ultima è sempre stata più moderata, non si era mai messa con i fondamentalisti. I loro crudi contenuti nazionalisti e sciovinisti sono stati fatali, in cinque o sei anni sono riusciti ad avvelenare soprattutto la parte di popolazione più esposta a queste influenze, si tratta spesso di popolazione rurale che credeva ciecamente all'imam o al parroco locale, non leggeva altri giornali se non quelli vicino alla chiesa quindi non seguiva nessun altro mezzo informativo se non il giornale gratuito che gli veniva dato nella chiesa. Questa tendenza aumentava sempre di più: già nel ’90 il terreno era preparato per tutto quello che sarebbe successo. Dall’altro lato anche nelle strutture partitiche della lega dei comunisti jugoslavi succedeva qualcosa di sconcertante: a partire dall’84 c’è stato un brusco cambio di orientamento: al posto della persecuzione dei nazionalisti che caratterizzava il periodo precedente, come ad esempio le misure prese contro Dobrica Cosic e altri nel periodo in cui si preparava il cambiamento costituzionale del 1974, questi nazionalisti o la chiesa non solo non venivano criticati dal Partito ma questo diventò anche loro sponsor. Quindi verso la metà degli anni ottanta la politica cambiò inspiegabilmente e senza nessun preavviso. Le strutture politiche, in particolare in Serbia, cominciarono a finanziare, sostenere e incentivare le attività della chiesa, che si guadagnava sempre più seguaci e consenso. Non per questo ho qualcosa contro chi vuole praticare una religione in base alle proprie scelte o sentimento di appartenenza, diciamo che sono d’accordo con quello che sta scritto nelle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo ma qui si trattava di qualcos’altro. Si trattava di una manifestazione del potere nazionalista. Si è cominciato con le manifestazioni di alcune centinaia di credenti da una parte e in risposta subito anche gli altri facevano la stessa cosa per dimostrare di essere più numerosi e così via. Era diventata una gara tra le religioni (cattolica, ortodossa e mussulmana) per dimostrare in massa l’appartenenza su base nazionale. Tutto questo è stato concesso dagli organi statali e dal governo. Era evidente che a qualcuno facesse molto comodo cavalcare quest’onda. Magari non è corretto nominarlo ora visto che è stato rapito ed è a tuttora ritenuto scomparso, ma Stambolic era uno di questi che quando era al governo ha contribuito molto a preparare il terreno a queste correnti nazionaliste. Lui è solo un esempio, ma la stragrande maggioranza della classe politica al governo allora ne è responsabile. Comparsa di Milosevic sulla scena politica jugoslava Milosevic compare sulla scena politica tra l’86 e l'87; inizialmente era un politico belgradese a livello comunale poi in seguito è salito di grado. Il terreno per i nazionalisti era già preparato e questo Milosevic non doveva inventare niente. Il nazionalismo aveva già preso forma, si stava diffondendo e aveva i suoi canali di azione ed influenza. Milosevic non ha fatto che una cosa logica, è salito su quest’onda arrivando dove sappiamo tutti nel ’90. Lui non aveva bisogno di inventare questo nazionalismo, quindi è sbagliato attribuire a lui il merito dell’autore poiché esisteva già. La mia opinione su Milosevic è che a lui non interessa nessuna ideologia tanto meno il nazionalismo, sono cose che non lo toccano minimamente, sono solo degli strumenti che lui utilizzava a modo suo. Per lui era un fenomeno utile. Sono sicura che sarebbe stato capace di usare allo stesso modo qualunque altra ideologia che gli sarebbe stata fornita e questo non gli avrebbe dato alcun fastidio. Agirebbe così sotto qualunque bandiera che sia rossa, nera o gialla… Era molto interessante osservare attraverso tutto questo fermento nazionalista la quantità dei capitali che sono cominciati ad affluire. Non erano delle somme astronomiche ma era molto più di quello che la gente comune poteva immaginare. Pensate che una pubblicazione uscita dai circuiti ecclesiastici contenente anche alcuni testi di Vuk Draskovic o altri personaggi del genere, quindi degli ultranazionalisti che diffondevano sciovinismo e intolleranza, secondo l’articolo 133/a potevano essere processati per questo. Le riviste del genere erano fatte molto meglio, con la carta di qualità, le copertine a colori e non si potevano paragonare con questo tipo di pubblicazioni secondo quanto avveniva precedentemente. La prima domanda è: chi li ha finanziati? Era sicuramente qualcuno dall’estero, senza nominare adesso altri paesi stranieri. Ha contribuito tantissimo la diaspora, in particolare quelli che avevano abbandonato il paese (per motivi politici, ndt.) dopo la seconda guerra mondiale. Quindi così comincia la gara tra i vari nazionalismi a chi per primo avrebbe avuto il consenso totale, questo diventava sempre più visibile. Se qualcuno da fuori stesse riflettendo su come distruggere la Jugoslavia utilizzando le circostanze, la situazione e le strutture esistenti, credo che avrebbe scelto come mezzo più idoneo il nazionalismo. I primi risultati
delle nostre analisi all’inizio degli anni ottanta davano proprio questi
risultati, lo avevamo nero su bianco. Sapevamo che il potenziale di questo
nazionalismo era notevole già allora. Se qualcuno aveva degli interessi
poteva benissimo investire nel nazionalismo; anche se io non sono una che
crede nelle teorie del complotto. Questo fenomeno aveva una sua funzione
anche negli stati neo-costituiti, come in Croazia, Bosnia o Serbia. Non
c’è da sorprendersi se le forze e i partiti nazionalisti avevano
sostegno di questo tipo. Nonostante questo nazionalismo emerga anche grazie
all'aiuto della nomenclatura comunista, molto presto tra il ’90 e il ’91
questo si dichiara anticomunista.
Ci chiedevamo fino all’estate scorsa perché questo Vuk Draskovic, una figura insignificante e ormai inutilizzabile politicamente, avesse questo tipo di sostegno e perché questo suo sbadato bazzicare nella politica, questo suo svolgere un lavoro sporco negli interessi di Milosevic impedivano ogni tentativo di far qualcosa per uscire da quella situazione. Non riuscivo a capire come mai Draskovic continuasse ad avere il consenso. C’erano delle forti tendenze che continuavano a mantenere e coltivare questa corrente. Pensavo spesso se anche la SRS* di Seselj avesse mai ricevuto questo tipo di sostegno. Non era visibile ma sta di fatto: ricordo quando una giovane americana qui a Belgrado esperta di campagne pre-elettorali in un occasione mi disse che aveva analizzato seriamente le uscite pubbliche di Seselj e in base a questo si era convinta che per lo stile che utilizzava lui doveva avere un agente per le relazioni pubbliche americano. Lo stato americano lo sa benissimo cosa fanno i suoi cittadini di quel profilo all’estero, lo sanno per chi e per quale motivo lavorano questi esperti. In linea di massima a Belgrado chi lavora in questi ambiti o in contatto con essi aveva presente che Milosevic era una sorta di paradigma di tutto questo male nazionalista, introdotto sulla scena politica grazie al sostegno dell’ambasciata americana. Ai tempi l’ambasciatore era Lawrence Hilerberger e da quel che so, lui è ancora un funzionario del dipartimento di stato; non mi convincerà nessuno che l’introduzione di Milosevic sulla scena politica belgradese è il passato ormai superato della politica americana. Secondo me quando
gli attori di una politica sono ancora in gioco vuol dire che essa stessa
persiste ancora, fino a quando non viene dichiarato esplicitamente. E’
difficile trovare delle conclusioni da tutto questo, ma a noi europei qui
è difficile accettare la spiegazione secondo la quale quel che è
successo è successo, e non esiste più, l’importante è
l’oggi e il domani. Credo che l’Europa non si possa rassegnare con questo.
Ma purtroppo sempre di più tra le strutture governative viene tacitamente
accettato questo modello di pensiero americano.
Europa masochista Perché
l’Europa si comporta in questo modo è un enigma per me: è
possibile che un così grande numero di politici europei sia corrotto?
Perché altrimenti far scoppiare la guerra in Jugoslavia nel '90/'91 proprio nel momento in cui questa Europa ha cominciato a fare i primi passi concreti verso l’Unione. Probabilmente a loro inquietava l'UE. L’Europa con i suoi potenziali umani inquietava, può darsi. Anche se la cultura americana lo ignora, l'Europa grazie alle sue tradizioni ha dei grandi potenziali. In una proiezione questo è un vantaggio. L’Europa non dovrebbe avere paura, se non sprecherà i suoi potenziali e se non comincerà a comportarsi come l’altra grande federazione.
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o | Pubblichiamo
la sintesi di un colloquio con con Svetlana Djuric, avvenuto a Belgrado per il programma radiofonico "Ostavka!". Si tratta di una riflessione sulla disgregazione della ex Jugoslavia. Inizio della transizione, la crescita delle forze nazionaliste e smantellamento dell’economia socialista e delle sue strutture "Ostavka!" va in onda tutti i venerdì dalle 18.20 alle 19.20 sulle frequenze di radio Onda d'Urto (Milano 98.00 - Brescia 106.5). Presto le interviste saranno incluse in un video documentario che dovrebbe intitolarsi "Prvo Sloba, sada globa" (Prima Slobo, ora il globo). A cura di Michelangelo Severgnini (autore del volume appena pubblicato "Good morning Pristina!" ed. Prospettiva) e Dusko Djordjevic. ostavka@virgilio.it - Altri
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