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___________di
Aleksandra - Sasa Sucur_______________________
Siamo
partiti da Milano sabato mattina, verso le 10,00, con
Luigi
e il suo figlio di 17 anni. La giornata era limpida e provavamo
un
immenso piacere nel vedere come quella luce penetrava nel
paesaggio
ligure. Daniele brontolava perché Luigi&Figlio hanno
entrambi
dimenticato la carta d'identità. Io stavo ascoltando
su
Radio Popolare i dettagli del percorso che dovevamo fare e
studiavo
la piantina di Genova. Scesi dall'autostrada a Genova-Est,
ci
siamo diretti in discesa verso il mare (Via Bobbio, Via Canevari)
finché
non siamo arrivati ai container di blocco in fondo al Viale
Filiberto.
Quei container non c'erano due giorni prima, li hanno
posizionati
solo nella notte tra giovedì e venerdì e non delimitavano
la
cd. "zona rossa". La loro funzione probabilmente era quella di
delimitare
il percorso del corteo da una parte (verso il centro e la
"zona
rossa") con immaginabili riflessi sulle sensazioni dei
manifestanti:
di tensione e di accerchiamento. Mi ricordai il ragazzo
ucciso
il giorno prima: secondo la piantina, la Via Tolemaide, che
costeggia
la ferrovia, era proprio dietro di noi. Lasciammo Luigi lì.
Lungo
il percorso abbiamo visto le macchine bruciate o con i vetri rotti
e
abbiamo deciso di risalire la città per trovare un posto più
sicuro per
lasciare
la macchina. L'abbiamo lasciata in Via Tortosa, subito dietro la
piazza
Ferraris dove avrebbe dovuto concludersi il corteo e tenersi
la
tribuna dei manifestanti.
Ridiscesi
a piedi, abbiamo preso l'autobus urbano 15 in Corso Buenos
Aires,
(in compagnia di alcune simpatiche signore, tutte sulla
sessantina,
di LegaAmbiente) che ci ha portati in Via Isonzo.
Da
lì, a piedi, giù verso il mare, fino a Sturla (dove, in Via
dei Mille
era
indetto l'inizio del percorso) e dove abbiamo ritrovato Luigi che,
avendo
visionato nel frattempo le bandiere del corteo, ci disse che,
più
avanti, aveva visto due assembramenti di Rifondazione comunista
(in
un corteo variopinto, stare all'interno di un gruppo organizzato come
quello
di un partito, con i compagni che conosci e con un solido servizio
d'ordine
che ti rende più tranquillo, mi hanno spiegato Luigi e Daniele,
i
quali,
a differenza di me, hanno più di vent'anni di esperienze nelle
dimostrazioni
di piazza) e che i comunisti milanesi erano probabilmente
in
uno dei due.
Non
sapevamo allora che il treno speciale che avrebbe dovuto
trasportarli,
partendo alle 7,00 da Milano era partito soltanto alle 10,00
(ora
credo che quel ritardo fosse apposta) e che hanno raggiunto Sturla solo
tra
le 14,30 e 15,00 (sono tuttora arrabbiata con me stessa per aver
dimenticato
la radiolina). Avanzammo più veloci del corteo. Erano le 12,15.
Il
primo gruppo di Rifondazione era di Palermo, il secondo di Roma. Andammo,
più
lentamente avanti: ragazzi, ma quanto era bello il corteo!Tanti giovani,
famiglie
con i bambini, anziani, frati francescani; potevi sentire tutte le
lingue
del mondo: quanti tedeschi, olandesi, spagnoli e che dire dei greci!
Una
volta scesi da Via Cavalotti su lungomare (Corso Italia), i tre gruppi
più
compatti (il più grande, partito comunista greco) erano i greci
che si
tenevano
per mano tutt'intorno, delimitando così il proprio gruppo e
impedendo
l'inserimento degli infiltrati. Mi si stringeva la gola
dall'emozione
mentre scandivano i loro slogan quasi incomprensibili e sentii
le
lacrime negli occhi quando vidi poco più avanti il gruppetto di
comunisti
turchi,
poi, uno più grosso, di russi, c'era persino quello tunisino del
Raid
(mi ricordai che un amico algerino m'aveva detto che i tunisini erano
la
gente più apolitica del mondo...). All'altezza dei greci abbiamo
perso
Luigi&Figlio,
ma non ci preoccupavamo più di tanto (anzi, l'unica mia
preoccupazione
era di non aver portato una crema antisolare - il sole
batteva
troppo forte per me). Passando accanto all'alto muro della Caserma
dei
Carabinieri in Corso Italia, un paio di persone cercavano di attaccarvi
uno
striscione nero con la scritta "assassini". In alto, c'erano schierati
i
carabinieri in divisa antisommossa e ci fotografavano.Le grida "assassini,
assassini"
venivano coperte dal rombo dell'elicottero che volava basso sopra
le
nostre teste. Avanti incontrammo un numeroso gruppo del PKK (partito dei
lavoratori
curdi), LegAmbiente, i comunisti cingalesi, i verdi ecc.,
sbucando,
in Piazza Kennedy, non intenzionalmente, in cima al corteo.
Sulla
piazza abbiamo visto che c'erano dei tendoni bianchi, sia sulla
sinistra
che al centro, vicino alla fontana, che sembravano posti da
ristoro.
Mentre ci avvicinavamo, abbiamo visto un centinaio di poliziotti
arretrare
con i loro mezzi blindati. Cinque, dieci ragazzi, sono corsi in
maniera
sparpagliata buttando qualche sasso nella loro direzione, ma i
poliziotti
erano già talmente distanti che non ci siamo preoccupati più
di
tanto.
Sì, trovavamo un po' strana la loro presenza, troppo ravvicinata
per
una
manifestazione del genere e dopo l'uccisione del giorno prima -
l'attribuivamo,
tuttavia, alla sfacciataggine e non ad un eventuale piano
d'attacco.
Piuttosto, era l'una - ora che Daniele mangiasse il suo panino
(io
avevo mangiato camminando), quindi, avvistando nel piccolo parco dietro
il
tendone a destra, alcune sedie, ci mettemmo lì, pensando di goderci
il
fresco
degli alberi e della fontana davanti a noi. Appena seduti, diedi uno
sguardo
verso i poliziotti: erano a più di 150 metri di distanza (una
diagonale
45° a destra) - sufficienti per vedere che proprio in quel
momento
stavano sparando - AD ALTEZZA D'UOMO - i lacrimogeni verso il corteo (diagonalmente
una trentina di metri a nostra sinistra). In una frazione di
secondo
hanno riempito la piazza di fumo. Uno cadde davanti alla fontana e
il
fumo si diresse verso di noi. Scattammo dalle sedie, Daniele, agitato,
mi
gridava di andare avanti a lui, che dovevo correre, che non dovevo cadere,
ed
io, con la stessa strana tranquillità che avevo sentito in me dieci
anni
fa
durante i bombardamennti di Sarajevo (un'altra conferma che il mio abituale
nervosismo
scompare completamente nelle situazioni di pericolo), gli dissi
di
piantarla, tirai il fazzoletto dalla tasca e me lo misi sul naso.
Arretrati
una ventina di metri, all'ombra del porticato di un edificio, sostai accanto
ad una ragazza che si era inginocchiata per allacciarsi un sandalo. Sentivo
il desiderio di tranquillizzarla mentre osservavo le sue mani tremanti,
ma non lo feci. Il corteo, avendo già svincolato in Corso Torino,
era lì,
davanti
a noi, e si dirigeva verso alto, lasciando il mare dietro le spalle.
Ci
unimmo a quelle persone sconvolte: una buona parte guardava indietro
aspettando
gli altri e, facendo qualche passo in su, capii la ragione: a
sinistra,
si apriva una traversa di Corso Torino facendo bella mostra di
quei
lugubri container messi parallelamente al nostro percorso. Guardai
Daniele
che, masticando il suo panino, si guardava attorno e sorrisi (devo
essere
proprio matta: volevo chiedergli come era il panino al lacrimogeno,
ma
non osai pronunciare la battuta). Man, mano che salivamo lungo quel bel
vialone
alberato, saliva anche la mia fame e, dopo aver trovato una panchina
libera,
ci sedemmo per mangiare un altro panino. Daniele andò a telefonare
a
Luigi
da una cabina telefonica. Stavo per finire il mio panino, quando la
gente
fece uno scatto di spavento, al ché la signora arrivata da Pescara,
che
mi stava raccontando tutte le avventure del loro viaggio notturno in
treno,
scappò verso i palazzi a destra, udii un elicottero vicino e il
rumoreggiare
della gente che si passava la parola per capire che diavolo
stesse
succedendo. Giù, in piazza Kennedy, la polizia aveva spezzato il
corteo.
Alle 14,30 partì l'ordine: sedersi per terra finché il corteo
non
sarà
ricomposto. Io ero già seduta sulla panchina (anzi, avevo deciso
di non
sedermi
mai più durante la manifestazione perché ogni volta che mi
sedevo,
succedeva
qualche casino). Cantavamo e scandivamo slogan contro Berlusconi.
Daniele
tornò e aspettammo fermi tre quarti d'ora. Quando ci dissero che
il
corteo
si era riunito e lo tradussi alla ragazza tedesca dietro di me, ci
incamminammo
di nuovo. Corso Torino finisce all'incrocio con Via Tolemaide,
dove
imbocca una galleria sotto la ferrovia, dopo la quale diventa Via
Sardegna.
Arrivati all'incrocio, ecco un'altra sorpresa destra: cinque
camionette
a 150 m di distanza con i poliziotti schierati (valutai che non
dovevano
essere vicinissimi alla piazza dove il giorno prima i carabinieri
hanno
ammazzato quel ragazzo). Il corteo esitava a procedere, qualcuno gli
ha
urlato "assassini", "vergogna" e simili. I comunisti di Livorno si
consultavano
con qualcuno sui cellulari. Formarono un muro con le mani
incrociate
(una fila sola, troppo sottile per impedire che qualcuno non
lanciasse
qualcosa verso quegli assassini che ci guardavano con l'aria di
sfida:
avevamo l'impressione che lì sarebbe bastato che volasse una cicca
per
caricarci).
Ma non accadde nulla: al contrario, fecero per imboccare con
le
camionette la via parallela alla nostra, ma era una finta e si fermarono
lì
all'angolo. Anche la polizia (tre mezzi blindati e una macchina) che
intravedevamo
dall'altra parte della galleria era salita un po' più su,
lasciando
spazio per avanzare. La gente esitava ad entrarci - non piaceva
l'idea
di stiparci la dentro, con possibilità che ti buttassero i
lacrimogeni
dentro, attaccando da entrambi i lati. Camminando più
velocemente
che potevamo, attraversammo il tunnel. Mi girai e vidi due
poliziotti
su, sulla ferrovia, che si allontanavano rapidamente. Solo a
quel
punto compresi quanto era provocatorio il loro atteggiamento, quanto
erano
studiate le loro possibilità per attaccare. Daniele mi espresse
il
suo
dubbio riguardo alla capacità degli organizzatori del Genova social
forum
di avvertire tutto il pericolo: non dovevano accettare quel percorso
nelle
condizioni in cui oggettivamente non potevano controllare il corteo
composto
da 250.000 persone.
Cercammo
di ricordare le persone che ci sono sembrate sospette lungo il percorso.
Sì, qualche "cane randagio" che poteva agire individualmente mettendo
in pericolo i manifestanti l'abbiamo visto, ma non si trattava di gruppi.
Mi ricordai persino che, sul lungomare, avevovisto due tipi che stavano
fermi vestiti di magliette nere e con in mano maschere nere antigas della
polizia. Come cazzo hanno fatto due così a procurarsi quelle maschere
che mi sono sembrate nuove di zecca? Gli altri che potevano rappresentare
il pericolo per il corteo perché sfuggibili al controllo erano i
giovani di 16, 17 anni, che giravano sciolti, ma nessuno ha detto ai più
anziani di controllarli, anzi, è stato detto di
espellere
dal proprio gruppo chiunque non si conoscesse. Più tardi, le
visioni
e le analisi dei filmati dimostrano che le dinamiche delle cariche
di
polizia andavano così: alcune persone strane, infiltrati o "cani
sciolti"
(ai quali si è dato il nome "black block" e noi l'abbiamo ri-
battezzato
in Flick&Flock) aspettano che arrivi il corteo dei manifestanti
pacifici,
lanciano qualche sasso e la polizia si scaglia contro il corteo.
Che
tattica brillante per fare di tutta erba un fascio! Sul percorso di
Via
Sardegna non abbiamo avuto problemi, abbiamo persino ritrovato Luigi
&Figlio.
C'era tanta gente sulle finestre e i balconi che ci applaudiva e
scandiva
assieme a noi: "Genova, libera!" Su un balcone c'era la bandiera
dell'ARCI
e lo striscione: "Welcome to Genoa, citiziens of the world".
Arrivati
in Piazza Ferraris, i mezzi della PS che avevamo davanti hanno
girato
lentamente in una via laterale perdendosi di vista. Pensate che
delusione
vedere la Giò Squillo che ci salutava dalla tribuna allestita
in
Piazza Ferraris. La piazza si riempiva per una mezz'oretta, sul palco
salivano
i personaggi come Jose Bové, mentre la Squillo cantava un brano
dei
Beatles e noi la fischiavamo. Io volevo andarmene subito, Daniele invece
stava
parlando con le signore di LegAmbiente che gli hanno detto che prima si
erano
trovate nella parte del corteo spezzato, che la polizia li aveva spinti
fino
al muretto del lungomare, da dove si saltava giù sulla spiaggia
da un'
altezza
di 3-4 metri: molti si erano fatti male durante il salto, il ché
era
sempre
meglio che farsi fratturare il braccio o la testa dai manganelli
della
polizia e della guardia di finanza. Picchiavano duro, raccontavano, la
gente
con i bambini in braccio, le suore, i giornalisti... Il corteo si
è
ricomposto solo grazie al fatto che la polizia si era ritirata dopo l'arrivo
delle
ambulanze ...
La
macchina era lì vicina (pensate che sollievo vederla interamentre
passavamo
accanto ad un cordone di polizia). Per una decina di minuti abbiamo
girovagato
intorno per capire come imboccare l'autostrada perché tutto era
bloccato,
finché, tornando verso la piazza non ci siamo accorti che quel
cordone
di polizia era svanito nel nulla e abbiamo utilizzato quella strada.
Erano
passate le 16,30 e nessuno dal palco aveva detto che in quel momento
la
coda del corteo era ancora su quel fatidico Piazzale Kennedy, dove la
polizia
aveva inscenato la più feroce carica della giornata e che molti,
tra
cui
anche la Rifondazione milanese, non avrebbe mai più risalito il
Corso
Torino,
e che, umiliati e malmenati, sarebbero stati costretti a tornare
sui
propri passi verso Sturla, con mille peripezie e problemi
(inizialmente
gli hanno impedito di entrare nella stazione ferroviaria,
ma
più tardi avrebbero anticipato i treni perché avevano un
altro piano
di
riserva...).
Accesa
la radio in macchina, sentivamo i discorsi dal palco. Ci venne
l'idea
di farci un bagno a Recco e proprio mentre stavamo per perdere il
segnale
di Radio Popolare (già all'uscita di Genova-Nervi) sentimmo che
qualcosa
stava succedendo ma non capivamo che cosa... Tornando da Recco,
(abbiamo
trovato una bellissima spiaggia e non avendo costumi - il bagno
l'abbiamo
fatto nudi) tonificati e allegri, vedemmo le macchine della
polizia
andare nel senso opposto, verso Genova. Ci chiedevamo a cosa
servivano
altri poliziotti (oltre a quei 15.000 già presenti) adesso:
il
G-8 era finito, la manifestazione era finita. Dalla radio sentivamo
stupiti
che i treni speciali per il trasporto dei manifestanti erano
anticipati
di ben 4-5 ore (esempio, quelli che dovevano partire a mezzanotte,
erano
partiti alle 19,00). La risposta ci arrivò mentre noi non solo eravamo
già
a casa (alle 20,30), ma abbiamo cenato, portato Luigi a casa e ci preparavamo
per andare a nanna... Verso l'una dopo mezzanotte sentimmo su Radio Popolare
dell'irruzione nella sede del Genova social forum e vedemmo (verso 1,30
su RaiTre) come da lì, facevano uscire le persone con le teste fracassate.
Con
le lacrime agli occhi, vedevamo le scene da America Latina anni '70:
la
gente in ginocchio con le mani dietro la testa, i poliziotti con i fucili
puntati
sulle loro teste, i poliziotti che impediscono ai medici, avvocati
e
parlamentari di entrare in quella scuola, sede del GSF, i ragazzi che
uscivano
in barelle, tutti insanguinati, avvolti dai loro sacchi a pelo,
perché
stavano dormendo al momento dell'irruzione. Li hanno picchiati nel
sonno!
Bel bottino di "armi improprie" ha fatto vedere la polizia il
giorno
successivo per giustificarsi: fazzoletti, assorbenti, termos,
spranghe
e un piccone che era lì (nella scuola c'erano lavori in corso),
coltellini
svizzeri... ma hanno dimenticato come sembrano le chiavi
inglesi,
le bottiglie molotov e le spranghe vere? Forse è il caso di
rinfrescargli
la memoria, che Dio gli mandi un termos in testa, che con
il
Tampax mestruato possa trafiggere i loro cuori!
Scajola
viene attaccato dalla stampa di tutto il mondo: un morto,
tre
in coma, 500 feriti in ospedale, 460 dispersi - sono i nuovi
"desaparecidos"?
E'
questo il modello di democrazia del governo Berlusconi
per
"l'Italia che ha in mente" (titolo del suo libro), ci chiediamo.
Il
modello dello stato di polizia? Niente, Scajola al parlamento risponde
sfacciatamente
che il GSF copriva gli "ultras", "black block", frangia
nera...
ma sarà la sua compagnia: Fini, La Russa, Selva e altri fascisti
al
governo la vera frangia nera di questo paese! E l'accusa che il GSF è
"il
covo dei sovversivi"? Si stanno facendo le beffe di tutto il paese
(manipolando
i media) e di tutto il mondo! Qui mi leggono anche gli amici
jugoslavi
possono ricordarci qualcosa in proposito, come sicuramente
ricorderanno
anche che Milosevic non avrebbe mai lasciato il
potere
se non ci fosse stata un'organizzazione determinata a convincerlo
(ad
esempio, solo da Cacak, il sindaco Ilic aveva portato un centinaio
di
professionisti che marciava verso Belgrado anche con mezzi pesanti:
ruspe
e trattori con i quali stritolavano le macchine della polizia).
Non
dico che dobbiamo fare altrettanto, ma, ora che sappiamo con chi abbiamo
a
che fare, come primo obiettivo, dobbiamo prefissarci un minimo di
organizzazione
e determinazione. Il GSF è fallito dal punto di vista
organizzativo.
Questa
non è roba per un movimento senza una protezione
propria,
qui devono intervenire partiti e sindacati e al livello
internazionale,
perché i contenuti che il GSF porta avanti (cibo sano,
ambiente,
lotta contro la povertà, lotta contro l'AIDS, contro il lavoro
minorile
nelle piantagioni, miniere e fabbriche delle multinazionali,
per
la prevenzione dei conflitti armati, come le prove che i modelli
liberali
e di libero mercato non sono in grado di dare soluzioni a
nessuno
di questi problemi) e le soluzioni che propongono - sono
contenuti
che ci riguardano tutti.
P.S.
Berlusconi ha sottoscritto un accordo con Bush di appoggiare
il
suo progetto di "scudo stellare", indipendentemente dall'opposizione
dell'Unione
Europea. Si tratta, forse, di un segnale che - qualora non
riuscisse
a "calmarci" con le sue forze, chiamerà, come hanno
fatto
a loro volta le dittature sudamericane, - chiamerà gli Americani
ad
aiutarlo?
|
|
Riceviamo e pubblichiamo
questa testimonianza (della quale esiste anche una versione anche in lingua
serbo-croata) sulle manifestazioni al G8 di Genova.
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