La
prima subalternità è nei confronti dei potenti: essi decidono
quando concedere sfogo alla protesta, essi decidono di fatto luoghi e forme.
Manifestare solo in occasione
dei meeting ufficiali in cui come è noto
solitamente si fa pressappoco
solo passerella, è poca cosa, seppur
necessaria; e rispetto a
certe forme della protesta già Günther Anders aveva
spiegato bene che recitare
la rivoluzione nei week-end è una mistificazione,
una ridicolaggine ed infine
una resa e una complicità, tanto più grave
quanto più ambigua
e ignara (si legga almeno il duro volumetto andersiano:
Stato di necessità
e legittima difesa).
La Banca Mondiale, il Fondo
Monetario Internazionale, l’Organizzazione
Mondiale del Commercio,
insomma la “trinità satanica” della globalizzazione
neoliberista (come l’ha
definita con linguaggio icastico Alessandro
Zanotelli concludendo la
stupenda marcia per la nonviolenza del 24
settembre), va contrastata
giorno dopo giorno, tutti i giorni, e non “semel
in anno” (una volta all’anno)
come fosse un carnevale.
Certo: anche le manifestazioni
a Seattle, a Praga, ed il prossimo anno a
Genova, servono: e servono
molto. Ma non ci si limiti a quelle come fossero
eventi taumaturgici.
· La seconda subalternità
La seconda subalternità
è nei confronti dei mass-media: troppo spesso si
calibrano le iniziative
in forme adatte ad essere masticate dalle
televisioni; si decidono
le forme espressive in ossequio alle stritolatrici
esigenze dei network tv;
non si dice né si fa ciò che pensiamo e come lo
pensiamo noi, ma quello
che i mass-media pretendono di sentirci dire e fare.
Ma anche i mass-media sono
parte del potere oppressivo, ed una parte
rilevantissima. Il potere
mediale su cui Enrico Chiavacci (nella sua
utilissima Teologia morale,
e particolarmente nei tomi 3/1 e 3/2, che tutto
il movimento farebbe bene
a leggere) ha scritto pagine decisive. Così come
Anders nel suo straordinario
L’uomo è antiquato.
· La terza subalternità
La terza subalternità
è nei confronti della violenza: che è sempre l’arma
dei ricchi, che è
sempre strumento di oppressione, che è sempre nemica della
dignità umana.
E’ necessario essere chiari:
se può talora suscitare ammirazione chi
sacrifica la propria vita,
proviamo solo orrore per chi sacrifica quella
altrui. Non è ammissibile
manifestare insieme a persone che da come agiscono
danno a vedere che si augurano
che accada l’incidente, che desiderano fare
“la battaglia”, che auspicano
che ci scappi il morto. Non è ammissibile
essere complici degli adoratori
della morte. Poi magari anni dopo i
sopravvissuti te li ritrovi
professori, scrittori, giornalisti,
parlamentari, capitani d’industria:
ed i morti restano morti. Io provo
orrore e disgusto di chi
marcia sui cadaveri. Come ebbe a dire all’incirca
Albert Camus: preferisco
essere sconfitto senza aver causato vittime, che
aver ragione su un cumulo
di cadaveri.
E quindi trovo inaccettabile
organizzare una manifestazione che preveda, per
usare il linguaggio orwelliano
e kafkiano della recente vicenda di Praga, la
presenza dei cosiddetti
“blu” (ovvero di manifestanti che programmaticamente
intendono provocare uno
scontro fisico): e trovo che da parte degli
organizzatori della protesta
aver accettato, cooptato e coordinato la
presenza dei cosiddetti
“blu” nel movimento che manifestava a Praga abbia
sporcato e reso correi di
una ambiguità inammissibile anche i cosiddetti
“gialli” e i cosiddetti
“rosa”. Sia chiaro: nulla giustifica le violenze militari e poliziesche,
nulla giustifica i pestaggi e le umiliazioni e le nefandezze fatte subire
ai giovani manifestanti picchiati, fermati, arrestati, gravemente maltrattati;
ma neanche le molotov e le sassaiole possono essere giustificate.
Per il futuro chiedo: che
quando si manifesta, e manifestare è necessario,
si sia chiari dall’inizio
nel chiedere a tutti i partecipanti di attenersi rigorosamente alle regole
di condotta della lotta nonviolenta; chi non ci sta, se ne resti a casa
o manifesti un’altra volta per conto suo. Non intendo precludere a nessuno
il diritto di manifestare, ma a tutti va chiesto rispetto per la vita e
l’integrità fisica altrui. Ad iniziative ambigue e pericolose per
l’incolumità altrui credo che non si possa partecipare.
· L’urgenza di
una discussione onesta
Di tutto questo credo sia
urgente discutere onestamente tra le persone
impegnate nel movimento
che si batte contro la globalizzazione neoliberista
e per l’umanità.
Dobbiamo essere capaci di
illimpidire, e così fortificare il movimento,
uscire dalla subalternità
e dalle ambiguità, che non sono meno pericolose
dell’apatia e della rassegnazione.
· Contrastare la
violenza
Occorre contrastare la violenza,
quella cristallizzata come quella dispiegata, nel modo più rigoroso:
con la nonviolenza.
Occorre lottare contro la
violenza ed i suoi strumenti: le armi, esse sì,
sono sempre nostri nemici;
occorre lottare contro i poteri oppressivi avendo
a cuore le sorti del mondo;
occorre lottare agendo in modo che ogni nostra
azione possa essere fondativa
di socialità, possa essere esempio di azione
solidale, istitutiva di
convivenza, promotrice di giustizia e fraternità: solo la nonviolenza
garantisce questo.
Occorre lottare seguendo
il “principio responsabilità” (Hans Jonas): la
nonviolenza è l’unica
forma di lotta (strategia, tecnica, progetto, empatia)
che quel principio invera.
Occorre lottare in modo
coerente con i nostri scopi, che sono la liberazione
dell’umanità oppressa,
e la dignità di ogni essere umano: dunque occorre la
nonviolenza come unico metodo
coerente con questi obiettivi, unica scelta
che questi obiettivi realizza
nel corso stesso della lotta.
Alle menzogne dei potenti
occorre contrapporre la verità che è sempre
rivoluzionaria: dunque occorre
la nonmenzogna, che è un altro nome, ed una
decisiva specificazione,
della nonviolenza.
· Il diritto fondamentale
è il diritto a vivere
Dobbiamo essere chiari su
un punto: il diritto è sempre in ultima istanza il
diritto di persone. E se
ad una persona si toglie la vita, si estingue per sempre la possibilità
di riconoscerle qualsivoglia diritto.
La dittatura, il potere
oppressivo, è nella sua essenza uccidere l’altro (lo
ha spiegato definitivamente
Elias Canetti in Massa e potere). Alla
dittatura, al potere oppressivo
dobbiamo contrapporci nel modo più rigoroso,
mirando sempre a salvare
la vita dell’altro, di ogni altro; l’altro: il cui
muto volto sofferente ci
interroga e convoca alla responsabilità (Emmanuel
Lévinas).
Mi permetto una postilla
ad uso di chi ha una visione del mondo materialista
(come il sottoscritto, che
è un vecchio leopardiano): proprio perché si
ritiene che nulla vi sia
per il singolo, per ogni singolo essere umano,
oltre questa vita, ebbene,
a maggior ragione occorre difendere la sua vita,
la sua unica, fragile, addolorata
e meravigliosa vita. Il principio del “non
uccidere” vale a maggior
ragione per chi non aderisce a fedi religiose e non
ha speranze di vita oltremondana.
· La scelta della
nonviolenza
La scelta della nonviolenza
è quindi una necessità intellettuale e morale; è l’unica
strategia e metodologia di lotta coerente con la dignità umana e
la
liberazione degli oppressi;
è l’unica teoria-prassi di intervento solidale e di iniziativa rivoluzionaria
che realizzi nel suo stesso farsi democrazia, diritti umani, difesa della
biosfera.
· Tutto ciò
andava pur detto
Tutto ciò andava pur
detto, e non avendolo fin qui dichiarato persone più
note ed autorevoli di me,
ho infine sentito di doverlo dire io.
Spero che a queste considerazioni
altri vogliano rispondere, e che possa
aprirsi una riflessione
ed una discussione ampia e profonda, anche aspra
perché urgente e
concreta, condivisa in quanto polifonica.
· Analisi concreta
della situazione concreta
Chiedo solo che mi si risparmino
le solite inquietanti scempiaggini in nome
di un Marx teologizzato
e mistificato sulla “violenza levatrice della
storia” e simili arcaismi
(di prima di Auschwitz, di prima dell’età
atomica), arcaismi che sarebbero
amenità se non producessero orrori: Marx
avrebbe riso di cuore, omericamente,
se qualcuno invece di analizzare la
situazione reale attuale
avesse bloccato il proprio cervello ad analisi
riferite ad un contesto
di centocinquant’anni prima. Si usi di Marx quel che
di Marx resta straordinariamente
valido e fecondo, l’unico marxismo onesto è
quello concreto e creativo.
· La nonviolenza
è lotta
Analogamente mi si risparmi
la solita serqua di stupidaggini secondo cui chi
propugna la nonviolenza
è uno squallido quietista, un losco attendista e
dunque un complice degli
oppressori: mi permetto di preventivamente
controreplicare che Mohandas
Gandhi, Martin Luther King, Marianella García,
e come loro tanti altri
lottatori nonviolenti sono stati assassinati; che la
nonviolenza non solo non
rimuove, ma anzi suscita e organizza il conflitto
contro la violenza, l’ingiustizia,
la menzogna.
Come amici della
nonviolenza esortiamo alla lotta, esortiamo alla
rivoluzione: ma una lotta
coerente ed intransigente, di autentica resistenza
e autentica liberazione,
la lotta nonviolenta; ma una rivoluzione che non
rinvii la dignità
umana in un futuro che mai arriva, bensì inveri la dignità
umana nel suo stesso farsi: la rivoluzione nonviolenta.
Di tutto il
resto, discutiamo.
Peppe Sini
responsabile del Centro
di ricerca per la pace di Viterbo
Viterbo, 4 ottobre 2000
(che per avventura è
il giorno in cui si ricorda un
grande rivoluzionario egualitario
e nonviolento
di diversi secoli fa: Francesco
d’Assisi)
|
o |
Ospitiamo
un intervento di Peppe Sini, in forma di lettera aperta ai compagni di
strada, nel dibattito accennato in seno al movimento antiliberista dopo
gli eventi di Praga.
Si
assiste a una spaccatura tra le varie anime del movimento sulla questione
dell'uso o meno della
forza
in atti di contestazione (come è avvenuto, appunto, a Praga, dove
qualche piccolo gruppo ha infranto vetrine Di McDonald's e dintorni e ha
tirato sassi e molotov contro la polizia
in
tenuta antisommossa che poi ha ferito e arrestato molti manifestanti).
Di
là dalla ovvia condanna della violenza usata
dalla
polizia ceca
(che
poi è continuata nei commissariati
e
nelle celle), la questione riguarda gli strumenti di lotta adottati dal
movimento globale: che senso e utilità (o dannosità) abbia
- in fondo - colpire i simboli del Mercato mortale e quanto l'uso da parte
di alcuni di mezzi violenti crei una distanza fra il movimento globale
e la maggioranza silenziosa (che si vorrebbe invece coinvolgere nella lotta),
e sia
un
momento di spaccatura e dunque di indebolimento del fronte antiliberista.
E'
immaginabile costruire un'alternativa a
un
sistema globale e locale di ingiustizia
e
morte, se non si esce a priori, in modo unilaterale
e
completamente dal paradigma della violenza umana?
Su
questo tema Nonluoghi, che
si
ispira a teorie, prassi
e
prospettive
nonviolente
e
(dunque...) libertarie,
ospiterà
volentieri
altri
interventi.
Uso
della forza
La
posizione
delle
"tute
bianche" |