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L’utopia
concreta, ossimoro nonviolento...
Lotte di liberazione: l'urgenza di uno
scarto culturale. Con lo sguardo su Palestina e Chiapas
di MICHELE NARDELLI
Mentre
una folla colorata e festante accoglieva l’arrivo della carovana zapatista
nello Zocalo di Città del Messico, in Palestina si riaccendeva la
guerra che da mezzo secolo almeno insanguina quella terra.
Questo
accostamento è di quelli spericolati e dunque mi scuso fin d’ora
se andrò a disturbare suscettibilità, consapevole che si
tratta di realtà e storie molto diverse. Eppure… Un regime, quello
messicano, figlio seppure lontano della prima rivoluzione moderna del secolo
passato. Uno stato, quello israeliano, che pure affonda qualche sua lontana
radice nell’idea del kibbutz, ambito comunitario che da tempo ormai ha
lasciato il posto ad uno stato etico e religioso.
Non si tratta solo di considerare l’ennesima eterogenesi dei fini che la storia ci consegna quando si pensa di costruire la pace con l’uso della violenza. Quanto piuttosto di saper guardare con la necessaria criticità al secolo scorso e alle sue tragedie, e nel contempo di avere la consapevolezza di un presente globalizzato che ha cambiato gli orizzonti del reale ma non sempre del nostro pensare e del nostro agire. Con gli anni ’90 le rivendicazioni nazionali hanno assunto una natura ben diversa dallo spirito anticoloniale che segnò i grandi movimenti degli anni ’50 e ’60 del secolo appena trascorso. Ed è proprio la “questione nazionale”, nel tempo dell’omologazione e dell’appiattimento al pensiero mercantile paladino del diritto naturale, a divenire la parte più esposta, il filo scoperto che segna una frontiera fra il secolo che se ne è andato e quello a venire, il secolo degli stati nazione e quello della civiltà planetaria. Accade anche in questo caso che opportunità ed insidie si rincorrano, come nella globalizzazione dove accanto al “grande fratello” si fanno largo nuove e diffuse relazioni e consapevolezze. Qui non sono in discussione le identità nazionali, che pure andrebbero considerate nella maniera dinamica che le ha originate, bensì la loro trasfigurazione in entità statuali, la qual cosa determinerebbe la nascita di migliaia di nuove frontiere corrispondenti ad altrettante piccole patrie. Attardarsi oggi nel rivendicare pur legittime autodeterminazioni, laddove il problema è semmai quello di accentuare regole di autogoverno locale in un quadro di diritti sovranazionali ed universali, anch’essi ripensati in virtù della fine del bipolarismo e dell’imprescindibilità dell’interdipendenza globale, rischia di diventare “un falso movimento”, un procedere a ritroso. Ecco
perché Palestina e Chiapas rappresentano bene quel difficile oltrepassamento
del novecento di cui ci ha parlato Marco Revelli nel suo ultimo saggio.
In
Palestina sembra che il tempo si sia fermato. E la dimostrazione sta nel
fatto che anche le pur minime rivendicazioni territoriali palestinesi recepite
negli accordi di Oslo diventano carta straccia: non si tratta dunque di
un problema di quantità, né tanto meno di rapporti di forza,
visto che nemmeno un esercito fra i più agguerriti del mondo nulla
può contro la collera di un intero popolo. Così come sono
impostate le cose, non ci sono vie d’uscita ed ogni qualvolta ci
si avvicinerà ad un accordo basterà l’azione tutt’altro
che casuale di un “pazzo” per riaccendere il conflitto.
Serve un approccio nonviolento, capace davvero di farsi carico delle ragioni dell’altro anche quando l’altro è l’oppressore, serve una scelta di disarmo unilaterale che sappia ridisegnare oltre le identità nazionali, etniche e religiose gli schieramenti in campo, serve un altro gruppo dirigente capace di prendere atto del fallimento delle vecchie strategie e che l’uso delle armi non può che prefigurare uno stato autoritario e violento. Nel
Chiapas questa contraddizione era presente nell’insurrezione, ma la contraddizione
ha saputo evolvere nella rinuncia unilaterale all’uso della forza militare
fino alla marcia nonviolenta che ha invaso Città del Messico. Di
qui il richiamo all’ossimoro come vero e proprio programma di azione degli
zapatisti.
L’utopia
concreta, il nostro ossimoro.
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