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I
fatti e le idee nella rete globale
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Dialogo sull'urgenza di una riflessione critica sulle strategie del movimento |
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by FreeFind | |||
___________di
Luka Zanoni e Zenone Sovilla_______________________
ALFA: Sono sgomento, quasi senza parole, dopo tutto quello che è accaduto in questi giorni a Genova. La durissima repressione da parte delle forze dell'ordine, i pestaggi gratuiti. Mi angoscia pensare che qualcosa di importante sta veramente accadendo, ma temo che si disperda, che si trasformi agli occhi della gente comune in un qualcosa di segno opposto, temo che non venga recepito nella maniera adeguata. BETA:
La sensazione è che dopo la morte di Carlo Giuliani per mano di
un carabiniere, buona parte dei mass media si sia stretta attorno alle
forze dell'ordine e ne abbia con maggiore sistematicità accolto
le letture di quanto stava accadendo a Genova.
ALFA:
Cosa sia stato l'incontro-scontro di Genova è una domanda aperta.
Aldilà del bailamme mediatico di questi tre giorni, ancora ci si
chiede sgomenti e indignati - ma allo stesso tempo con quel sapore amaro
della anticipazione, del previsto, di ciò che non ci si poteva che
aspettare - cosa è stato Genova. Era veramente necessario vedere
tutto ciò? Era veramente necessario affrontare la sfida arrogante
del potere? Era necessario farlo in un faccia a faccia contro un apparato
potentissimo? Un faccia a faccia che, lo sappiamo, risulta essere fallimentare
e altamente pericoloso?
BETA: Altro che schifo, è qualcosa che fa impressione. Il potere è troppo forte per poterlo affrontare in piazza. Mi vengono in mente le dichiarazioni in tv del segretario nazionale del sindacato funzionari di polizia: avremmo potuto adottare tecniche antiguerriglia, ma non siamo stati autorizzati a farlo, è troppo pericoloso. Queste parole mi hanno impressionato notevolmente, è come dire questa volta vi è andata ancora bene, ma sappiamo fare ben altro... ALFA: Allora torniamo a chiederci che senso ha organizzare queste manifestazioni. Che senso ha farsi assegnare un ruolo predeterminato e pensare di non scontrarsi con l'enorme forza del potere che ti attira in una trappola per poterti poi fagocitare meglio? La gente che ancora ai problemi del neoliberismo globale non pensa più di tanto, quella che guarda la tv e recepisce il messaggio semplice e diretto che gli viene trasmesso, che cosa concluderà? Le tute nere, gli anarchici, quelli dei centri sociali, i manifestanti… sono loro quelli che fanno casino, quelli che distruggono i negozi. Appellativi poco meditati e inopportuni, ma che il popolo della tv assorbe come una spugna e ritrasmette al bar sottocasa, tra gli amici, di modo che un'opinione eterodiretta e semplificata possa sempre più prendere il posto di una sana e autentica riflessione critica costruita passo dopo passo. BETA:
Già, passo dopo passo. Nelle settimane che hanno preceduto il vertice
di Genova avevo consolidato dentro di me una ferma contrarietà alla
scelta del movimento di andare comunque a Genova. Mi sembrava si sottovalutassero
i rischi di vario genere connessi con quella decisione: il rischio di chiamare
le persone a farsi pestare dalla polizia; il rischio di una percezione
sociale quantomeno confusa e di un aumento della distanza fra noi
e il resto della collettività. Pensavo che un'alternativa ci fosse:
organizzare una grande marcia che attraversasse l'Europa con tutta una
serie di eventi durante il percorso che sarebbero stati l'occasione per
intrecciare il dialogo con la popolazione strada facendo, secondo la prassi
nonviolenta che punta all'inclusione e alla condivisione. Poi, le varie
carovane sarebbero arrivate in un luogo che non poteva essere Genova, per
dar vita a un grande happening nel quale comunicare i contenuti dell'analisi
e della proposta alternativa alle politiche che attualmente determinano
lo squilibrio mortale nel mondo.
ALFA: Sì credo che vadano ripensate le strategie di comunicazione, di coinvolgimento. Non basta avere una rete potente e ben informata se non si raggiunge lo strato sociale che a questa rete ancora non accede. In fondo la piazza non deve essere l'unico centro di sfogo di un movimento di dimensioni mondiali, come si vorrebbe che fosse, che vuole proporsi di cambiare le regole della società in cui viviamo. Qui il discorso diventa pienamente politico, non si tratta solo di semplice protesta contro le multinazionali, contro il capitalismo inglobante e annichilente della globalizzazione. BETA: Certo, ma bisogna capire che la divisione, la specializzazione, l'estrema individualizzazione che ogni giorno ci cattura tutti, è l'abito di quella globalizzazione dell'estremo profitto che ammanta la nostra quotidianità, alla quale è difficile sottrarsi se non la si pensa, se non la si vive in prima persona, se non si cerca infine di trasformarla. Giacché di trasformazione, di conduzione di un processo possiamo parlare. Dal momento che non è possibile tornare indietro, né tanto meno scattare in avanti verso l'annullamento. Ciò cui si è chiamati ora più che mai è la riflessione, il pensiero critico. Non si tratta di rifiutare il processo in corso, non si può fare, la storia non può essere cancellata. Si tratta piuttosto di assumere il fatto compiuto e la riflessione si sofferma su ciò. Affinché lo spirito critico sia immanente al movimento stesso e affinché il movimento riesca ad emendarsi dall'idea di facili vittorie, in favore di un pensiero che sia in grado di sopportare il peso della deriva, ma che al contempo sia in grado di creare una nuova etica e un nuovo progetto per abitare. Un'idea di domani dovrebbe accompagnare le prassi dell'oggi e forse catalizzarne anche la crescita qualitativa, la forza rinnovatrice, la capacità di dialogo e condivisione sociale, dal basso, dal cortile di casa, con fatica e determinazione tenendo sempre presente la necessità di valutare in profondità i risultati probabili di ogni nostra azione (e nel caso di Genova, secondo me, la valutazione è stata gravemente lacunosa o del tutto sbagliata) ALFA: Mi sembra sensato. Il movimento stesso deve far quadrato su se stesso. Capire dove si sta andando, cosa si vuole ottenere e in che modo. Sarà certo difficile mettere insieme e d'accordo tutte le anime differenti che lo compongono, ma è necessario provarci. Ho l'impressione che ciò che continuiamo a chiamare movimento sia qualcosa di non ancora ben definito, qualcosa che è nella sua fase embrionale, ma che ha enormi possibilità e potenzialità. Un amico mi faceva notare che vedeva una sorta di affinità con i gemiti del movimento socialista ottocentesco. BETA:
Sì, tuttavia oggi le cose procedono ad una velocità incredibile.
Non possiamo emettere gemiti per lungo tempo. Si tratta di organizzarsi
e anche piuttosto velocemente, ma farlo in modo adeguato sia alle prevedibili
reazioni del potere, sia alle esigenze di un quadro economico che cambia
pelle in continuazione per sfuggire ai tentativi di controllarne i meccanismi
più devastanti.
ALFA: Che cosa si può fare allora per sensibilizzare, per far prendere coscienza di ciò che ci aspetta e di ciò che vorremmo che accadesse? BETA: Le ricette pronte, come sempre, nessuno le tiene nel cassetto. Men che meno quando si tratta di qualcosa di nuovo, che ancora va capito e analizzato. Innanzitutto ci si dovrebbe sottrarre a facili strumentalizzazioni, sia da parte dei media che di altri manipolatori delle coscienze. Insisterei sul pensiero critico, ma esteso, allargato, dal basso. Finché un gruppuscolo di intellettuali si mette a criticare un'intera società, non credo ciò che possa far presa sulla gente comune. ALFA: Pensa alla guerra nella ex Jugoslavia per esempio. Quando ormai tutto il mondo demonizzava i serbi, quando ormai i massacri si stavano compiendo, un gruppo di intellettuali di Belgrado, il famoso Circolo di Belgrado, si strinse su di sé e cercò di opporsi alla degenerazione della cultura e della società che allora era in atto. Tuttavia i loro sforzi riuscirono a salvare una parte dell'intellighenzia serba, ma non la deriva sociale cui sono andati incontro. Sono state necessarie le proteste davanti al parlamento dell'autunno scorso, quasi dieci anni dopo quindi, per attuare una sorta di cambiamento. BETA:Stai quindi forse dicendo che la protesta a Genova era l'unica via possibile? Non era troppo evidente che si sarebbe trattato di un massacro? ALFA: Mah, vedi, ogni situazione va contestualizzata. Non siamo a Belgrado e non abbiamo le stesse condizioni che ci sono in Jugoslavia tuttora. E poi le proteste di Belgrado, hanno rovesciato Milosevic, ma non hanno per nulla cambiato la società patriarcale e il nazionalismo che ancora sono presenti in Serbia. Occorre tempo, i processi di cambiamento sociale non avvengono nell'arco di qualche mese e forse nemmeno dopo pochi anni. Tuttavia un fatto è che il tempo scarseggia e se non facciamo qualcosa subito, sarà troppo tardi. Ma prima di muoversi bisogna valutare bene le conseguenze: se fai una manifestazione è perché pensi che così la coscienza collettiva si potrà spostare di un millimetro nella direzione contraria al modello globale neoliberista; se c'è il rischio che invece la tua iniziativa non solo non ottenga quel risultato ma produca uno spostamento favorevole al sistema di dominio, devi ripensare a tutto e se serve tornare sui tuoi passi.
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24-7-2001 | ||||
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