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___________di
Michelangelo Severgnini_______________________
Annientati.
Del Genoa Social Forum, di questa coraggiosa e ingenua esperienza ricorderò:
una straordinaria manifestazione pacifica di 50mila persone giovedì
19 luglio, dedicata ai milioni di persone migranti costrette ad abbandonare
le loro terre d’origine in cerca di occupazione; incessanti incontri con
delegazioni provenienti da tutto il mondo rappresentanti un universo variegato
e pacifico partecipanti di un controvertice articolato, determinato, fornito
di argomenti validi e legittimi, come l’abolizione del debito estero per
i Paesi più poveri, la ratifica ed il rispetto degli accordi di
Kyoto da parte di tutte le grandi potenze, l’allestimento di fondi speciali
per combattere le epidemie nel terzo mondo, l’obiezione fiscale alle spese
militari e la nonviolenza ecc....; un imponente e sterminato corteo pacifico
sabato 21 luglio lungo corso Sardegna di oltre 200mila manifestanti. Nient’altro.
Non solo, ma quanto è passato e rimasto di queste cose nella mente
delle persone che hanno seguito i giorni del G8 dalla televisione? Niente.
Una disfatta totale. Annientati. Hanno vinto loro questa volta. Sul campo:
1 morto, oltre 200 arresti, centinaia di feriti, migliaia di contusi. Sull’opinione
pubblica: scredito sui manifestanti, attenzione spostata dalle legittime
questioni del GSF (Genoa Social Forum) ai vandali spaccatutto, cortei pacifici
e sterminati perfettamente ignorati dalla tv, fratture tra le componenti
del controvertice, sostegno e piena solidarietà agli agenti nonostante
gli sfracelli compiuti armati fino ai denti. Sul piano logistico: una rete
di infiltrati e spie degna del KGB, incursioni senza preavviso, sequestro
non autorizzato (quindi furto) delle liste di testimoni e contatti raccolti
dagli avvocati del GSF, migliaia di segnalati, cortei ridicolizzati e sbaragliati
da una strategia militare ed una gestione della piazza perfetta.
BLITZ
ALLA SCUOLA DIAZ
Sabato
21 luglio, serata: dopo il secondo giorni di folli scontri che hanno devastato
Genova ritorno in via Cesare Battisti alla sede del GSF, sconsolato, consegno
le immagini video raccolte nelle ore precedenti. Una marea pacifica di
manifestanti lungo tutto corso Sardegna, qualcosa di mai visto, nemmeno
durante il periodo di proteste contro i bombardamenti sulla Jugoslavia
nella primavera del ‘99, delegazioni da tutto il mondo, slogan e striscioni
in mille lingue. Poi, da tutt’altra parte, nelle stesse zone della giornata
precedente, i soliti scontri, le solite cariche, le solite macchine bruciate,
le solite vetrine rotte. E’ tutto finito, la gente si prepara a smobilitarsi.
Ma si respira qualcosa di strano, la frenesia si impossessa degli attivisti,
tutti si affrettano a smontare l’attrezzatura, i computer, le sale stampa.
Riviste alternative, radio indipendenti, siti internet di movimento: tutti
respirano nell’aria qualcosa di strano, tutti hanno paura. Verso mezzanotte
la scuola media “;Giovanni Pascoli”, ala mediatica del GSF, è deserta
rispetto a quanto visto nelle giornate precedenti. Io sono nell’aula dove
ho lavorato, ormai non c’è più nulla, tutti sono ripartiti
per Milano con i computer. E’ rimasto solo un apparecchio telefonico ancora
attaccato, mi attardo facendo le ultime chiamate prima di tornare al camper
dove alloggio. Ad un certo punto un urlo: “;La polizia!”. Mi affaccio alla
finestra del secondo piano, decine di poliziotti stanno facendo irruzione
nel cortile, qualcuno tira un cassonetto posacenere dalla finestra per
ostacolare il loro intervento. I poliziotti gridano, sembrano furie impazzite,
sono urla di guerra, brandiscono manganelli, indossano il casco, qualcuno
ha scudi e armi in mano. “;E’ un incubo, non posso crederci: che si fa?”.
Sono solo nell’aula. Non ho nulla da nascondere, ma so per certo che questo
non basterà ad arrestare la loro furia. Esco nel corridoio. Per
fortuna c’è altra gente rimasta sul mio piano. Siamo una trentina
scarsa. Raduniamo tutte le cattedre e i banchi contro la porta vetrata
del piano per cercare di barricarci: servirà a poco, ma ci dà
il tempo di organizzarci. La radio dei manifestanti del GSF, radio GAP,
non ha smobilitato e continua a lavorare da questo piano. E’ l’unico media
insieme a “;Carta” del Manifesto e a Indymedia (al piano superiore) ad
essere rimasto attivo. Non solo, la radio sta trasmettendo ancora in diretta.
“;Tutti negli studi della radio!”. Ci rifugiamo lì. L’età
dei presenti è bassa, tutti sotto i trent’anni. Alcune ragazze piangono
per la paura e per lo shock. Aspettiamo solo l’ingresso dei poliziotti,
è questione di attimi. Nessuno ha nulla da nascondere, la radio
prosegue la diretta, gli ascoltatori vengono informati in tempo reale di
quel che sta accadendo, questo ci infonde speranza. Do uno sguardo dalla
finestra dell’aula dove sono stati allestiti gli studi di radio GAP, dà
su via Cesare Battisti, una via lunga 200 metri, stretta, a senso unico.
Sono tantissimi, 300 poliziotti forse di più. Un blindato sfonda
il cancello della scuola di fronte, la scuola elementare Armando Diaz,
utilizzata come dormitorio da alcune decine di ragazzi soprattutto stranieri
giunti a Genova per manifestare. I poliziotti fanno incursione nella scuola.
Si odono grida, urli, botte, vetri rotti, un ragazzo viene raggiunto prima
che riesca a rifugiarsi nell’edificio, viene sommerso di botte da una decina
di poliziotti, urliamo “;basta” ma continuano nella loro cieca violenza.
La scuola “;Diaz” è proprio di fronte alla nostra, riusciamo a vedere
cosa sta avvenendo ai piani superiori, è un macello, una carneficina,
vetri rotti, manganelli che si accaniscono verso il basso e scompaiono
dietro ai davanzali, colpendo ragazzi presumibilmente accucciati ed indifesi.
“E’ ciò che succederà molto presto a noi?”, si chiedono in
molti nello studio della radio.
INCUBO
SUDAMERICANO
Eccoli,
entrano, stanno per alzare i manganelli, sono già in 5 dentro l’aula.
Si fermano, vedono la radio: “;E’ una diretta, quello che ci farete sarà
raccontato a migliaia di ascoltatori in diretta che sanno già tutto
di quello che state facendo”. Si bloccano: “;Non vi faremo niente, stiamo
solo controllando. Dateci i vostri documenti”. La nostra risposta è
decisa, niente documenti, niente schedati, niente segnalazioni. “;Qual
è il vostro mandato, questo è un luogo pubblico, regolarmente
concesso dal Comune di Genova al GSF, non abbiamo nulla da nascondere”.
Si incunea nell’aula una troupe televisiva di France 3, ormai siamo salvi,
lo sappiamo. La nostra attenzione precipita quindi ancora fuori, alla finestra,
affacciati per osservare quel che sta succedendo per strada e nella scuola
di fronte. E’ un incubo. Ma dove siamo? La scena, militari in azione, pestaggi
gratuiti, forse dovrei definirli linciaggi veri e propri, tutto mi rimanda
al film “;Missing”, questo è il Cile anno 1972, dittatura Pinochet,
è un film, non può essere vero. Intanto sento distintamente
le urla disperate dei ragazzi selvaggiamente inseguiti, assaliti fino allo
scempio, provenire dalla scuola “;Diaz”, sento vetri infranti, rumori violenti
ed indistinti. Sento le urla dei militari che si incoraggiano e si eccitano
durante l’impresa: decine di ragazzi armati che pestano altrettanti ragazzi
indifesi e disarmati, molti dei quali nel sonno. Nel loro caso non esiste
la “;legittima difesa”, perché solo chi è armato di pistola
può difendersi legittimamente e ammazzare qualcun altro. E’ questo
che ci vogliono dimostrare? Arrivano le prime ambulanze, portano via i
primi ragazzi stesi, con la testa sanguinante, il volto coperto di sangue,
i vestiti macchiati di rosso, la testa fasciata. Alla fine sono più
di 50 i ragazzi che vedrò dalla finestra essere trasportati stesi
fuori dalla scuola. Intanto i militari formano un cordone di scudi davanti
all’ingresso della scuola, non fanno entrare nessuno. Sono passati 15 minuti,
non si sentono più rumori, ormai il massacro è avvenuto.
Ad un certo punto escono infermieri che tengono una coperta, dentro c’è
qualcosa di molto pesante. E’ un ragazzo. Il panico si diffonde: “E’ morto!”.
Le grida di sgomento echeggiano per la via. Non è morto, lo portano
via dentro una coperta perché si suppone una frattura alle vertebre
o al torace: “;Ma come li hanno picchiati quei bastradi?”. Poco dopo un’altra
identica scena, molti di loro sono privi di sensi. Nel frattempo arrivano
le telecamere di tutte le televisioni, la stampa solo ora è presente
in maniera massiccia. Arrivano i parlamentari avvisati per telefono, Agnoletto
discute con il capo della Polizia, rilascia le prime dichiarazioni alla
stampa. I poliziotti ora sono fuori dalla scuola, il loro “;lavoro” l’hanno
compiuto, indisturbati, impuniti. Ora cercano di mantenere l’ordine. Ma
la tensione non si placa. Sorgono diversi parapiglia. In uno di questi
riesco a distinguere il volto di un poliziotto con lo zoom. A fatica riesce
a controllarsi, è isterico, digrigna i denti, sembra "fatto", in
preda ad una crisi di nervi. Per ogni ragazzo portato fuori, i più
stesi e moribondi, gli altri sulle proprie gambe ed in manette, è
un coro contro di loro lanciato da noi altri e dagli altri manifestanti
nel frattempo accorsi: “;Assassini!”, “;Pagherete caro, pagherete tutto”,
“Vergogna”. I compagni stranieri ce ne suggeriscomo alcuni in inglese:
“No justice no peace, fuck the police”.
UNO
SPETTACOLO ORRIBILE
Alla
fine se ne vanno. Sono passate quasi due ore dalla loro irruzione. Intanto
sono sceso per strada anche io. La prima cosa che faccio istintivamente
è entrare nella scuola, ormai deserta. Sono tra i primi ad entrare.
Lo spettacolo è orribile: devastazione ovunque, macchie di sangue,
copiose, fresche, in molteplici punti. Sono sconvolto. Sui muri le impronte
delle mani insanguinate, probabilmente sono stati perquisiti contro il
muro nonostante perdessero sangue e fossero feriti. Per le scale in un
angolo ci sono macchie di sangue sul muro all’altezza di 50 cm da terra.
La scena mi si compone nella mente: il ragazzo accucciato, con la testa
tra le mani in mezzo alle ginocchia, le spalle nell’angolo, colpito a ripetizione
dai manganelli, usati a rovescio dalla parte del manico, poi colpito a
gionocchiate, a colpi di scarponi sul torace, più poliziotti che
infieriscono su di lui finché lo lasciano in una pozza di sangue.
“Bastardi!” Su un muro della scalinata c’è una strisciata di sangue
lunga 4 metri, ad un’altezza dagli scalini di circa 2m-2m e ½. Significa
che qualcuno è stato sbattuto e strisciato contro un muro e infine
scaraventato per le scale: uno scempio. Fotografi e cameramen riprendono
ciò che trovano, siamo tutti sconvolti, qualche ragazzo piange sconsolato
e disperato, qui dentro aveva amici. Alle 4 del mattino raggiungo l’ospedale
San Martino di Genova dove sono stati trasportati molti dei ragazzi che
dormivano nella scuola “Armando Diaz”, ho il pass di giornalista accreditato
per il G8, non devo aver paura. Davanti al Pronto Soccorso mi ferma una
collega: “Non entrare, ieri tutti i giornalisti che c’hanno provato sono
finiti appesi ad un muro. E poi, vista l’aria che tira, non ci mettono
niente a farti sparire”. I primari dell’ospedale sono praticamente sequestrati,
nessuno rilascia dichiarazioni, il personale medico ausiliare è
omertoso, ma più che altro ha una fifa bestiale. Si discute quindi
davanti all’ospedale con i colleghi. C’è un avvocato del GSF. Così
mi racconta: “Sono entrati nella nostra aula. C’erano 6 computer. In uno
solo di questi c’erano schedati i numeri di telefono ed i nomi delle persone
che si erano dette disponibili a testimoniare contro la polizia per i fatti
avvenuti in questi giorni. Solo quel computer è stato toccato. E’
stata staccato il disco rigido con tutte le informazioni. Questo vuol dire
che dentro il GSF c’erano presumibilmente decine di infiltrati e spie.
Noi stessi avvocati ora ci sentiamo in pericolo ed abbiamo paura”. C’è
anche Ricky Tognazzi, le sue impressioni sono le stesse che abbiamo avuto
tutti assistendo a quanto avvenuto in via Cesare Battisti: “E’ roba da
Stato sudamericano. Il classico colpo di coda: dopo tre giorni in cui hanno
favorito di fatto gli incidenti, e dopo che il G8 di fatto è stato
oscurato, hanno voluto dare una lezione a modo loro. Sono esterrefatto,
sconvolto, molto preoccupato”. Ad un certo punto un ragazzo viene portato
fuori dall’ospedale scortato dalla polizia, sembra giovanissimo, forse
ha meno di vent’anni. E’ biondo, ha il viso tumefatto ed un braccio ingessato,
è straniero. Viene caricato su una macchina della polizia e portato
via. Per lui si aprono ora le porte del carcere.
TEMPI
DURISSIMI
Sto
leggendo i giornali: alcune bottiglie molotov, spranghe e coltelli. Questo
quanto ritrovato nella scuola A. Diaz dalle Forze dell’ordine durante l’irruzione
alla mezzanotte di sabato 21 luglio. Solo ora riflettendo, richiamando
alla mente alcune situazioni, cercando di ricordare i volti in quella grande
confusione e viavai che erano le stanze del GSF nei giorni scorsi, mi accorgo
che sì, gli infiltrati potevano essere davvero tanti. Qualcuno se
lo rivedessi potrei anche riconoscerlo, alcuni sospetti li avevo. E allora,
di fronte a questa che è una certezza, perché stupirsi di
quanto ritrovato in quella scuola. Non hanno voluto esagerare: potevano
anche dire di aver ritrovato un bazuka, chi avrebbe potuto dimostare il
contrario? Durante il bliz nessuno media era presente, e con tutti gli
infiltrati che giravano potevano aver introdotto in quella scuola di tutto.
Le bottigliemolotov sono davvero una stupidata in uno scenario simile.
Le spranghe? Ma c’era un cantiere edile aperto in quella scuola, lo sanno
i media o no? Lo sa la polizia o no? Sulle impalcature ci si accedeva direttamente
dai corridoi. Di bastoni, pezzi di legno e quant’altro ce n’erano quantità,
ma da qui a dimostrare che fossero stai presi ed impiegati durante i cortei......
I coltelli? Ma lì si viveva in una situazione da campeggio estremo,
si mangiava con approvvigionamenti di fortuna, con scatolette, chiunque
aveva un coltellino... C’era disordine, parecchio, sacchi a pelo, zaini,
spazzatura. D’accordo..... Ma ho visto un rifornitore automatico di caffè
e dolciumi intatto. Vi rendete conto? In tutta quella bolgia, se ci fosse
stato un violento, od anche solo un semplice punkabbestia o uno spaccavetrine
lo avrebbe immediatamente rotto e avrebbe mangiato ciò che stava
dentro, tanto nessuno lo avrebbe potuto riprendere. Nonostante la fame,
nessuno in una settimana intera l’ha fatto. Dopo l’irruzione io l’ho visto:
tutto il resto era distrutto, ma quel rifornitore era intatto. I ragazzi
che dormivano in quella scuola, per lo più stranieri, erano giovanissimi,
intorno ai vent’anni, ragazzi normali, pacifici, giunti a Genova dopo centinaia
di chilometri di viaggio per dimostare per i propri ideali di giustizia,
contro un G8 che non ha saputo osservare nemmeno un minuto di silenzio
per il povero Carlo, ucciso da una “legittima” pistola. La capacità
logistica del Ministero degli Interni italiano di ribaltare sistematicamente
gli obiettivi del GSF e del controvertice è stata impressionante
e spaventosa. Durante gli scontri di venerdì 20 luglio, ad un certo
punto ho incontrato un noto e stimato collega fotoreporter, Livio Senigalliesi,
tante volte incontrato in Jugoslavia durante i miei viaggi come corrispondente.
Con la sua ormai lunga e provata esperienza mi ha confessato: “Ci stanno
facendo un culo così! Ci sono un sacco di personaggi oscuri quest’oggi
in piazza. Non mi piace”. Poco dopo Carlo Giuliani veniva assassinato.
Assassinato da un coetaneo in divisa, colpevolmente dotato di arma da fuoco,
in una situazione di pericolo pubblico elevatissimo, esasperata, dove il
morto era la cosa più scontata che potesse accadere. Qualcuno l’ha
cercato, qualcuno l’ha trovato quel morto. La prima violenta carica l'ho
filmata e vista partire da distanza ravvicinata venerdì 20 luglio,
verso le 14 del pomeriggio. E' stata una carica gratuita e violenta verso
un corteo dei Cobas: pazzesco. Tranquille persone di 50-60 anni che dimostravano
pacificamente sventolando bandiere. Contemporaneamente poco più
distante venivano caricati i "pacifisti nonviolenti" della rete di Lilliput
e le associazioni cattoliche, mentre erano sdraiati per terra e accompagnavano
manifestanti in carrozzina.... Le immagini di teppisti che confabulavano
con le forze dell’ordine in quelle ore di scontri sono numerose e davanti
agli occhi di tutti, le testimonianze che noi abbiamo raccolto ancora di
più. Il Governo fascista di Berlusconi e Fini a Genova ha vinto:
ha annientato la protesta di un movimento, ha ucciso, picchiato selvaggiamente,
arrestato indiscriminatamente, ha inventato situazioni, ha dirottato gli
eventi, ha distorto l’informazione ostacolando il diritto di cronaca e
manipolando le informazioni, si è creato di fronte all’opinione
pubblica il pretesto per rinforzare le Forze dell’ordine e trasformare
ancora di più questo Paese in uno stato poliziesco contro il “solito
presunto pericolo rosso”.
I
tempi che si prospettano davanti sono duri, compagni, anzi: durissimi.
Michelangelo
Severgnini, progetto Makaja
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