nonluoghi
editoriali
copertina
percorsi
libri
inchieste
novità
i i
notiziario
la satira
racconti
archivio
editorali
calendario
interviste
musica
notizie
scrivici

Balcani, l'irrisolta questione albanese
La Macedonia scacchiere del nuovo ordine internazionale. Con molte zone d'ombra
 

di LUKA ZANONI

   Dopo quasi un mese di profonda crisi in Macedonia, in una situazione che quasi tutti gli organi di stampa hanno stentato a chiamare guerra, sembra che l'esercito macedone stia, seppur a fatica, assestando i colpi decisivi. 
   La dotazione militare delle forze macedoni, non è un segreto, era piuttosto scarsa, ma i paesi occidentali si sono prodigati per tutto questo tempo negli aiuti militari e logistici. Inoltre dai vari vertici e incontri ne è scaturita una sostaziale unanimità di intenti, che si può brevemente riassumere nella formula: tolleranza zero nei confronti dell'Esercito di liberazione operante in Macedonia (e che ha adottato il medesimo acronimo di quello kosovaro: Uck) e pieno appoggio, invece, al governo di Skopje. 

   Cosa stia veramente accadendo nella Macedonia nord occidentale, ai confini tra Kosovo e Serbia meridionale, non è cosa facile a dirsi. Possiamo però provare a tracciare alcune linee di analisi. 

   Premesso che la rivendicazione dei diritti civili debba essere condotta su un piano politico e dialogico, e non  quindi con azioni armate, si potrebbe sostenere che la questione forse più rilevante è proprio la rivendicazione da parte albanese di alcuni loro diritti: riforma statale, istruzione, lingua ecc. Nessuno credo sia in grado di rifiutare, sul piano politico, la richiesta di questi punti. Tuttavia occorre vedere se le rivendicazioni da parte albanese si muovono su questo terreno oppure riguardano piuttosto la creazione di una "grande Albania". 

   A far pensare questo non sono solo le affinità nominali tra i ribelli kosovari e macedoni, ma anche il fatto che, come riportano alcune agenzie, buona parte dei rifornimenti di armi provengono proprio dal Kosovo. Si ricorderà anche l'Ucpmb (Esercito di liberazione di Presevo, Medvedja e Bujanovac), l'intento del quale è  liberare la zona meridionale della Serbia, ai confini con il Kosovo. E' noto inoltre che buona parte dei finanziamenti che raggiungono gli eserciti di liberazione provengono dalla diaspora albanese. 

   Seguendo questa linea si potrebbe sostenere che la vera questione in gioco non è tanto la componente albanese della Macedonia, bensì la ben più corposa questione albanese nei Balcani. Gli albanesi sono, infatti,  una minoranza demograficamente significativa  in diversi paesi balcanici. Ed è probabile che una soluzione della situazione degli albanesi nei Balcani possa essere un forte elemento di stabilità nell'intera aerea. Non a caso i paesi occidentali (Solana, Ranieri) e la Russia (Ivanov) in quanto membro del Gruppo di contatto, stanno svolgendo diverse azioni diplomatiche direttamente in Albania.
   Lo stato albanese, nelle sue cariche istituzionali, ha infatti preso le distanze dalla guerriglia. Ma si potrebbe obiettare che anche alcuni leader kosovari, tra cui Thaci e Rugova, hanno espresso la loro contrarietà alla guerriglia. Si ritorna a chiedere da chi sono appoggiati allora i guerriglieri che combattono sulle colline di Tetovo. 
Ci si ricorderà, senza dubbio, della guerra del Kosovo e della guerra aerea che la Nato ha sferrato alla Jugoslavia (Kosovo compreso). Ci sono parecchie fonti che sostengono l'esistenza di  relazioni tra gli Usa e l'Uck, quanto meno dal punto di vista logistico-militare. Come mai, allora, in questo momento la Nato sta spiegando i suoi mezzi ai confini con la Macedonia nell'offerta di un consistente aiuto militare al suo governo? Cosa è cambiato rispetto a due anni fa nella strategia occidentale, per farsì che si combatta contro un esercito che poco prima si è in qulache modo appoggiato (o sfruttato)? 

   Guardiamo per un momento lo scenario che fa da sfondo alla crisi macedone. Esso riguarda, come abbiamo detto poco fa, l'intera aerea balcanica. Abbiamo, infatti, una democratica Croazia, che però purtroppo soffre delle forze nazionaliste e populiste ereditate dal passato regime. Una Bosnia ed Erzegovina che per la prima volta dagli accordi di Dayton riesce a dar vita ad un governo senza i partiti nazionalisti (o quasi), anche se non le mancano problemi riguardanti il ritorno dei profughi e del nazionalismo croato che intende ritagliare una terza entità nella BiH.  Una Federazione di Jugoslavia che, con mille difficoltà, inizia a riprendere lucidità e ad intrecciare legami internazionali. Le mille dificoltà riguardano le varie componenti della federazione, ovvero il Montenegro, sulla scia dell'indipendenza; il Kosovo che è invece sotto prottetorato internazionale ma che auspica l'indipendenza e la Vojvodina che chiede una maggiore autonomia; inoltre la difficile coesione tra i partiti politici della coalizione DOS. E  infine la Slovenia, il luogo dove è iniziata la guerra nella ex Jugoslavia, che è la prima probabile candidata, tra i paesi dell'area, all'ingresso nella Ue. 

   Quindi la Macedonia, paese che finora era stato preservato dalla guerra, si inserisce come elemento esplosivo nell'esile equilibrio delle ex repubbliche jugoslave. 

   Il vaso di Pandora albanese sembra essere quell'elemento di disturbo non solo nel complicato assestamento delle repubbliche, ma anche di ciò che a questo è strettamento correlato, ovvero gli interessi occidentali nei Balcani. 

   Fermiamoci un altro istante a riflettere. Credo si possa tranquillamente affermare che una crisi in Macedonia  la si aspettasse da tempo. Chiunque abbia seguito in questi anni le vicende della ex Jugoslavia,  credo si sia chiesto a quando la Macedonia. E di certo non per malignità o pessimismo, ma proprio per conoscenza  della sua fragile e complessa situazione interna. E' allora possibile che la destabilizzante situazione macedone non fosse prevedibile anche solo due anni fa? Oppure l'aiuto militare ancora una volta è stato l'unico fattore ritenuto rilevante nel promuovere un assetto democratico del paese? (Quale? visto che siamo di nuovo in guerra). Si capirà che le cose sono piuttosto intricate e complesse. 
   Pertanto non è facile stabilire se ha ragione chi cerca di rivendicare i "propri diritti" e lo fa armandosi, oppure chi intende difendere "l'integrità territoriale" e lo fa impiegando l'esercito, un esercito parzialmente comandato e quasi interamente rifornito dai paesi occidentali. L'aiuto internazionale militare viene motivato con la scarsa possibilità di soluzione del conflitto da parte delle forze macedoni. Eppure occorrebe fare qualche conto: la Macedonia dispone, infatti,  di un numero di militari decisamente superiore, anche se male equipaggiato, rispetto a quello dei guerriglieri albanesi. Come si spiega allora una reazione così drastica da parte delle forze macedoni, ampiamente appoggiate sia a livello internazionale che locale (balcanico)? Cosa teme il governo macedone in realtà? 

  Ritorna  forse a comparire la questione albanese, ovvero di quella minoranza che è maggioritaria nella fascia nordoccidentale della Macedonia (Gostivar, Tetovo, Kumanovo)? Tuttavia è  inoltre probabile che una divisione territoriale della Macedonia (ossia due entità: una macedone e l'altra albanese) non faccia che ripetere l'esperimento della Bosnia ed Erzegovina, la quale a distanza di oltre cinque anni dall'accordo di Dayton non ha ancora raggiunto  la dignità di uno stato unito. 

   Resta infine da vedere qual è il ruolo internazionale in tutta  questa faccenda. Abbiamo accennato agli aiuti militari, ma sappiamo anche che in gioco c'è la capacità di soluzione della crisi da parte della Ue e degli Usa, della Nato e del Gruppo di contatto  che se pur sulle medesime opinioni, operano con propri fini. Inoltre si tratta di verificare sul terreno la solidità del Patto di stabilità per l'Europa sudorientale (al quale aderiscono buona parte dei paesi balcanici). Quello che sembra venire fuori è piuttosto il tentativo di dimostrare una buona capacità di gestione della crisi e la sua soluzione (manu militari). Entrano pertanto in gioco sia la diplomazia europea, con il suo Alto rappresentate per la politica estera, Javier Solana, che la necessità di una presenza militare nei Balcani capace di intrecciare le forze locali con quelle internazionali. Un'altro punto riguarderebbe poi la composizione di una difesa tutta europea. 
   Sembra insomma che ancora una volta i tristi e osteggiati Balcani siano il terreno di gioco o il banco di prova della costruzione di un nuovo sistema internazionale. 

   Putroppo però una guerra non è per nulla un semplice gioco su di una scacchiera. La sofferenza e l'odio che produce, il male che scatena non sono paragonabili  a nient'altro. Si tratta di ferite profonde che rimarginano difficilmente, si tratta, soprattutto, dell'affossamento della società civile e della società della convivenza, la quale impiegherà anni prima di riaversi. 



 
 
o Altri articoli

Protettorati e veti: da dove viene la guerra
in Macedonia
Andrea Ferrario

Le tensioni etniche in
Kosovo: parla
Lush Gjergji, prete 
del dialogo

La spirale
del conflitto 
in Macedonia

E quattro anni dopo la stampa scopre l'affare Telekom Serbia

Belgrado, vecchie ferite e nuove speranze
Diario di viaggio

Le voci di
Radio Politika
di Luka Zanoni

"Ci siamo liberati da un potere mafioso"
di Svetlana Djuric

Quel 5 ottobre
a Belgrado...
di Sasa Rakezic

Belgrado, dietro la rivoluzione
di Luka Zanoni
e Ivana Telebak

La voce degli anarchici: "Ora
si può parlare..."
Ratibor T. Trivunac-Rata

Intervista con 
gli studenti 
di Otpor!

Il dossier Kosovo
di Nonluoghi

Retaggi occidentali
di Luka Zanoni

Primavera serba?

Milosevic e una certa sinistra amica in Italia...
di Giovanni Scotto
 

Approfondimenti
sui Balcani
in Notizie Est
 

(27 marzo  2001)

Le news
e i commenti
nel notiziario
di Nonluoghi
 
 

 

Ricerca nel sito                 powered by FreeFind
copertina
percorsi
libri
inchieste
novità
notiziario
la satira
racconti
archivio
editorali
calendario
interviste
musica
notizie
scrivici