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Bosnia Erzegovina, l'avanzata
nazionalista
Spettri di un passato inquietante nei
Balcani ritornano dopo le elezioni
di LUKA ZANONI
Mentre al vertice di Zagreb le grandi democrazie occidentali siglano nuovi accordi e promettono aiuti economici, nei Balcani lo spirito della democrazia stenta ad imporsi. Il riferimento obbligato va alle recenti elezioni in Bosnia Erzegovina (BiH), dove i partiti nazionalisti rinforzano il loro potere politico e vincono le elezioni. Così dopo cinque anni dagli accordi di Dayton, la BiH precipita in un clima politico e sociale che ricorda da vicino quello dei primi anni novanta, dettato appunto dall’«avventurismo politico e biologico» come afferma Slavo Kukic, il quale riconosce «con rincrescimento che la via verso esso è già sin da ora tracciata, se non completamente almeno in buona parte» (S. Kukic, Vlast po mjeri naroda, in «Oslobodjenje» 14 novembre 2000). Se la Slovenia, che non ama definirsi balcanica, la Croazia e, recentemente, la Serbia sembrano ormai orientarsi, agli occhi della comunità internazionale, verso un assetto democratico, resta da chiedersi come mai il cuore dei Balcani rimane "malato". Un malessere, quello che affligge la Bosnia-Erzegovina, di vecchia data, che si manifesta nella omogeneizzazione etnica ad opera dei localismi nazionalistici. Una grande responsabilità va senz’altro attribuita alle istanze religiose che, lungi dall'essere neutrali, hanno invece spinto i cittadini verso l’omogeneizzazione nazionalistica. Gli espliciti inviti della chiesa cattolica al fine di promuovere una maggiore partecipazione al referendum croato e alle elezioni, vanno letti in quest’ottica. Basterebbe leggere la raccomandazione che il monsignor Pavlovic rivolge a tutti i fedeli, sottolineando che un buon credente «non voterà per coloro che ritengono più importanti gli oscuri fini della comunità internazionale, anziché la vera ed evidente aspirazione del popolo croato, il quale vuole essere se stesso sul proprio territorio con ogni diritto, libertà e dovere. Voterà invece per quelli che si impegnano per il bene generale del proprio popolo croato, e rispettano tutte le altre persone e tutti gli altri popoli» (S. Kurtovic, Katolicka Crkva i referendum u hrvata, in «Oslobodjenje», 23 novembre 2000). Ma forse non
stupisce nemmeno sapere che il neo presidente della RFJ è stato,
durante la guerra di Bosnia, allineato alle posizioni di Radovan
Karadzic (cfr. M. Roux, Se ne è andato Milosevic è arrivato
Karadzic, Limes, 5, 2000). Può essere una coincidenza fortuita quella
che vede il partito di Karadzic, l’SDS, vincere le elezioni nella Republika
Srpska? Oppure si continua a pensare con la mentalità miope, tipica
del nazionalismo? Ed infine, qual è il ruolo effettivo dell’amministrazione
internazionale in tutto questo? Ciò che sicuramente alla Bosnia
non serve è un ritorno ad un passato infelice, unito alla allettante
prospettiva di potere presto far parte di quel mercato globale, che le
democrazie occidentali sanno così bene offrire.
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