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Kurdi e turchi, la libertà
di stampa violata
Le opinioni represse a Istanbul: le voci
della comunità kurda e il caso di Nadire Mater
di CHIARA VERGANO "E' stato distrutto dai militari" racconta rosa ridente. "Avevo 13 anni quando sono arrivati. Si sono portati via mio padre, l'hanno tenuto per un anno in prigione, picchiandolo e torturandolo. Poi l'hanno liberato, lui è tornato a casa. Un mese dopo è morto". Sengul morde un pezzetto dal quadratino di zucchero, ingoia un sorso di the scuro ("Come si usa in Kurdistan") e continua il ripescaggio nella memoria. "Io, mia madre e le mie due sorelle abbiamo deciso di andarcene. Cosa potevamo fare lassù, sole tra le montagne? Così siamo venute a Istanbul". Sengul abita
in periferia. Ogni giorno macina due ore di bus per andare a lavorare.
Appena può viene al Centro di cultura mesopotamica, accorciato
familiarmente in Mkm. Il nome non deve ingannare: sui muri nessuna cartina
racconta le terre dove Tigri ed Eufrate danno acqua, mentre gli Assiri
guerrieri e i Babilonesi astrofili sono un reperto del tempo che fu. Al
Mkm ci si ritrova a bere un the, un caffè, a fare due chiacchiere
tra amici, mentre la filodiffusione trasmette i Koma Amed, il gruppo musicale
curdo più famoso. Spas (grazie) al posto del turco sagol: il Mkm
è forse l'unico posto a Istanbul dove la lingua indoeuropea, nella
variante dei suoi quattro,
"A Qurze l'elettricità non arrivava" racconta Sengul. "Qui a Istanbul ci sono tante comodità. Non so se sarei capace a vivere di nuovo laggiù, dopo tanti anni. Poi penso a quando giocavo tutto il giorno con la mia sorella gemella, su per i boschi, con le nostre pecore. Allora mi dico che ho avuto due vite. E che la prima era migliore". Si dice che la situazione, a Istanbul, in fatto di tolleranza verso i curdi, sia migliorata rispetto a qualche anno fa. Ma di solito le origini vengono nascoste, custodite come un segreto. E rivelate a fatica, solo dopo un po' di tempo che ci si conosce. Come il cameriere della pizzeria vicino al capolinea di Sultanahmed, la città vecchia, che ha taciuto al proprietario del locale la sua curdità per paura di non essere assunto. Esiste anche una lista di nomi "vietati", perché rigorosamente curdi. Non lascerebbero dubbi sulla provenienza della persona, come nei Balcani un Goran, indiscutibilmente serbo, o un croatissimo Ivo, o un musulmano Jasmin. Il quotidiano curdo c'è e non c'è. Chiuso dalla polizia, ricompare dopo qualche tempo con un altro nome. Il vecchio Ozgur Bakish è stato sostituito da Yeni Gundem 2000. Ma la sostanza è immutata, come il suo direttore, Ragip Zarakolu. La stanza "buona" della redazione, quella di rappresentanza, è una galleria in bianco e nero di colleghi che non ci sono più. Nessuno è morto nel letto di casa. A contarli tutti si rischia di perdere il filo. Ragip commenta l'apertura del giorno, il bombardamento di un villaggio del Kurdistan iracheno, avvenuto a metà agosto. Sono morte una quarantina di civili, quasi tutti pastori. Le foto sono arrivate due settimane dopo. Yeni Gundem
2000 si trova con facilità a Istanbul. Nel Sud Est del paese,
Non è
solo il quotidiano curdo a fare le spese di una libertà di stampa
ancora troppo spesso violata. Oral Çalislar, redattore dell'autorevole
quotidiano Chumuriet, ha avuto problemi con la legge per una serie di articoli
scritti sul caso Ocalan. Ma il caso più noto in quest'ultimo anno
è forse quello di Nadire Mater, giornalista turca dell'Interpress
e membro dei Reporters sans frontiers. All'inizio del '99 Nadire pubblica
"Il libro di Mehmet", raccolta di 42 interviste a ex soldati dell'esercito
turco, mandati a combattere tra i monti del Sud Est dal 1984 al 1998.
Gli anni della
Il libro,
il primo scritto da Nadire, va letteralmente a ruba, tanto che ne fanno
alcune ristampe. Poi, il 23 giugno dello stesso anno, il Comando militare
per la sicurezza lo mette al bando. Nadire Mater e il suo editore, Semih
Sokmen, finiscono sotto processo. L'accusa è di "insulto e vilipendio
alle forze militari", entrambi rischiano dai sei ai dodici anni di prigione.
Per la sesta volta, il 24 agosto scorso, giornalista ed editore si sono
presentati alla Seconda corte criminale di Istanbul. Hanno letto la loro
autodifesa, dopo il discorso dell'accusa e dell'avvocato difensore. A sostenere
Nadire c'erano i colleghi della stampa turca. C'era molta stampa straniera,
più una firma prestigiosa, Peter Arnett della Cnn. C'erano anche
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o | Questa
è una versione aggiornata di un articolo uscito già sul mensile
Sempre, dell'Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini.
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