copertina notizie percorsi interviste libri musica inchieste calendario novità scrivici
percorsi

Le esperienze dell'azione nonviolenta come antagonismo sociale
Il significato comune delle pratiche di solidarietà contro i poteri criminali della globalizzazione
 


    Intervenendo nel dibattito il responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo in primo luogo ha dato notizia della marcia da Perugia ad Assisi per la nonviolenza che si svolgerà il 24 settembre, invitando le persone e le organizzazioni presenti all'incontro di Celleno ad aderire e partecipare.
   Peppe Sini ha sottolineato l'importanza di questa marcia specifica per la nonviolenza e non genericamente per la pace: sia per recuperare l'eredità profonda di Aldo Capitini ed il senso originario della marcia da Perugia ad Assisi, sia come momento di illimpidimento e verifica rispetto alle ambiguità ed alla bancarotta politica e morale del pacifismo parastatale e del pacifismo urlatore verificatasi lo scorso anno quando la gran parte del movimento pacifista italiano proprio perché non limpido e non persuaso (le ambiguità sulla violenza, le collusioni con il governo) non riuscì ad opporsi efficacemente alla partecipazione italiana alla guerra illegale e
stragista nei Balcani. Solo con la nonviolenza si costruisce concretamente la pace, solo con la nonviolenza si difendono integralmente i diritti umani.

    Le zone franche, i campi di concentramento, la barbarie

   In secondo luogo Sini ha evidenziato l'importanza cruciale della campagna di informazione e di solidarietà con i lavoratori brutalmente sfruttati nelle "zone franche", sottilineando come le "zone franche" siano luoghi di sfruttamento della forza-lavoro caratterizzati dalla sistematica violazione dei diritti umani dei lavoratori e dalla cancellazione delle fondamentali garanzie giuridiche connesse alla persona laddove vige lo stato di diritto.
   Le "zone franche" non sono aree marginali, sacche residuali di schiavitù, ma il vettore del modello di sviluppo della globalizzazione neoliberista, il paradigma produttivo e sociale che esso propugna ed impone ai lavoratori manuali dipendenti ed alle economie della periferia.
   Tale caratteristica, che rende le "zone franche" un istituto esemplare del portato e delle tendenze della cosiddetta globalizzazione, presenta secondo Sini una forte ed inquietante analogia con quelle altre aree, ed istituzioni, di sospensione dei diritti umani e delle guarentigie giuridiche, che sono gli ancor più ripugnanti campi di concentramento per gli immigrati, in cui degli esseri umani vengono detenuti senza aver commesso reati, senza processo, in via meramente amministrativa, in una
condizione di denegazione totale della loro dignità, della loro stessa esistenza in quanto persone; vengono - come è stato efficacemente scritto - ridotti alla condizione di "non-persone".

   L'esistenza anche in Italia di tali campi di concentramento, introdotti con la legge 40/98 (le cui parti relative al respingimento, all'espulsione ed alle strutture segregative citate -nella neolingua orwelliana del legislatore: "centri di permanenza temporanea"-, costituiscono altrettante flagranti violazioni oltre che dei diritti umani, della stessa legalità costituzionale, dello stesso fondamento giuridico dell'ordinamento istituzionale ed amministrativo del paese), è un abominio che è compito di tutti gli uomini di volontà buona impegnarsi affinché cessi.

 Opporsi all'ambiguità

   In terzo luogo il responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha manifestato la necessità di opporsi all'ambiguità per cui mentre agli enti locali si dà la possibilità di fare una peraltro scarsa cooperazione decentrata ed alle ONG si concedono sparsi e non sempre innocui finanziamenti, frattanto il governo nazionale, e la "grande politica", promuove guerre, infrange la Costituzione, viola i diritti umani. Occorre coerenza e limpidezza anche da parte delle istituzioni, delle forze politiche, delle organizzazioni di massa: non è ammissibile una schizofrenia per cui agli enti locali ed alle ONG si delega una sorta di disperso e scarsamente influente (quantunque, beninteso, benedetto) microassistenzialismo internazionale, mentre i governi ed i parlamenti dei paesi democratici sono in tutto asserviti alla barbarie neoliberista e neobellicista.

   Con questa sorta di "doppio livello" (o doppiofondo) politico e ideologico si precipita verso la situazione che fu della socialdemocrazia di fine Ottocento, che avendo distinto tra "programma massimo" meramente predicato e "programma minimo" concretametne agito, mentre continuava a proclamare i princìpi della giustizia sociale e dell'uguaglianza sostanziale, arrivava infine alla catastrofe del voto ai crediti di guerra ed all'avallo della carneficina del '14-'18.
   Alla cultura democratica italiana, alle rappresentanze istituzionali, al legislatore ed all'esecutivo stessi, vanno poste con chiarezza contestazioni precise, uscendo dall'ambiguità e dalla complicità.
   Così come Gandhi era arrivato alla conclusione di ritenere che della guerra fossero corresponsabili tanto i soldati che i barellieri, così la vicenda della guerra del 1999 ha implicato la corresponsabilità con le stragi anche di chi quella guerra ha implicitamente avallato accettando di farsi subornare dal governo nella "Operazione Arcobaleno" che (sebbene naturalmente meritoria in quanto abbia concretamente comunque portato soccorso a persone sofferenti e bisognose di aiuto) fungeva di fatto da copertura ideologica, legittimazione pseudoumanitaria e strumento
propagandistico mass-mediatico di una guerra illegale e criminale.
Incombe quindi agli enti locali ed alle ONG, come a tutti coloro che nella solidarietà  internazionale sono impegnati, non solo di fare la loro parte nella cooperazione decentrata e nella solidarietà dal basso, ma altresì di contrastare le politiche belliciste e rapinatrici; non accettare di delegare la "grande politica" a poteri assassini accontentandosi di ritagliarsi un proprio cantuccio di piccola e spiccola solidarietà concreta, ma impegnarsi anche ed innanzitutto per contrastare e sconfiggere una politica governativa inaccettabile e controproporre politiche non solo
della cosiddetta società civile o delle istituzioni di base ma anche statali e dei soggetti istituzionali internazionali che siano coerenti con i valori della dignità umana, della solidarietà, della giustizia sociale: i valori che la carta costituzionale italiana, così come la carta delle Nazioni Unite recepiscono e proclamano.

Globalizzazione e poteri criminali

   In quarto luogo Peppe Sini ha evidenziato che in quanto la globalizzazione
travolge gli istituti politici e giuridici democratici (la legalità, l'universalità dei diritti, gli impegni di solidarietà e i diritti di libertà), istituti fondati sugli stati nazionali e sulle istituzioni internazionali da essi promosse; ed in quanto l'ideologia del mercato come unico regolatore della società, della produzione e della riproduzione sociale, devasta la dignità umana, riducendo l'intera umanità a duplice esercito di forza-lavoro e consumatori, interamente assserviti al fine della massimizzazione del profitto attraverso un saccheggio sempre più violento e sistematico ed irreversibile delle risorse della biosfera; ne consegue che in tale contesto i poteri criminali assumono una effettuale atroce e nichilistica egemonia planetaria.

   Infatti i poteri criminali si trovano hic et nunc ad essere culturalmente ed operativamente la punta di lancia del modello di sviluppo e del progetto di ridisegnazione sociale e fin antropologica surdeterminati da e sussunti al dominio materiale del capitale finanziario transnazionale (e dei suoi apparati economici, manageriali e scientifici, politici e militari -asservendo esso fin gli stati ai suoi propri fini-) ed al dominio ideologico del cosiddetto "pensiero unico" (quell'ideologia totalitaria -veicolata da un potere mass-mediale sempre più decisivo e pervasivo- che nega di essere ideologia dichiarando la fine delle ideologie, e che si pretende dogmatica verità oggettiva, cogente ed irrefutabile, che legittima la persecuzione e l'eliminazione di chi ad essa oppone un diverso sentire e pensare ed agire).

   Conquistati i mercati più redditizi (non solo l'economia illegale, ma attraverso il reinvestimento di quote rilevanti del profitto dedotto dalle attività illegali più redditive invadendo porzioni crescenti dell'economia legale, forti anche dell'uso nelle relazioni e transazioni economiche dell'esercizio della violenza sottratto al monopolio statale -o dai poteri statuali ricevuto ed assunto in una sorta di scellerato "subappalto"),
lanciati ormai alla conquista della stessa gestione diretta del potere politico di interi stati (si pensi ad esempio ai molti paesi dell'est europeo, in cui le mafie si stanno o sono già saldamente insediate al potere non solo economico, ma politico e militare; si pensi ai "narcoregimi" ed alle "democrature" che governano vaste aree del pianeta), i poteri criminali non sono una patologia del capitalismo finanziario
mondializzato, bensì il suo cuore pulsante ed il suo braccio armato che sta aggredendo e divorando la democrazia, la civiltà giuridica, la civiltà tout court.

Un'unica lotta per la dignità umana e la nostra stessa vita

   Concludendo il suo ragionamento il responsabile del "Centro di ricerca per la pace" ha messo in rilievo che da tale drammatico quadro consegue la saldatura tra la solidarietà internazionale con i popoli oppressi e per i diritti umani di tutti, e la lotta contro i poteri criminali; tra sostegno alle esperienze di resistenza e liberazione, di rivendicazione della dignità umana, e difesa della legalità e della  democrazia, della civiltà giuridica e dell'umano sentire.

   Ne consegue che tutta una serie di pratiche: dal commercio equo e solidale alla lotta contro gli ogm, dalla difesa della biosfera alla cooperazione con esperienze di sviluppo autocentrato con tecnologie appropriate, dal sostegno ai movimenti di resistenza e liberazione all'appoggio ai movimenti popolari di autorganizzazione, dall'impegno per il disarmo alle microrealizzazioni, da esperienze come l'Operazione Colomba a esperienze come le donne in nero, dal sostegno ai  movimenti che si oppongono agli integralismi religiosi ed etnici all'opposizione ad ogni forma di razzismo, dall'accoglienza di tutti gli immigrati alla lotta contro la schiavitù, dalla difesa popolare nonviolenta all'iniziativa di "attac", dal consumo
critico alla "rete di Lilliput", e così via, sono insieme pratiche di solidarietà con gli oppressi e di difesa ed affermazione della legalità contro i poteri criminali ed il loro progetto effettualmente sterminista ed annichilista.

   E' l'intera civiltà umana che stiamo difendendo quando difendiamo la biosfera e i diritti umani di tutti, quando pratichiamo la solidarietà internazionale nell'epoca della globalizzazione. E' la nostra stessa vita che stiamo difendendo quando siamo solidali con le nostre sorelle ed i nostri fratelli ancor più vessati e in pericolo.

Nota per la stampa a cura del 
Centro di ricerca 
per la pace di Viterbo
tel. e fax 0761/353532


o Pubblichiamo
la sintesi dell'intervento del responsabile del "Centro di ricerca per la
pace" di Viterbo, Peppe Sini, alla conferenza-dibattito "La sfida della
solidarietà internazionale nell'epoca della globalizzazione", svoltasi a
Celleno (Viterbo) 
il 15 luglio 2000.


ALTRI ARTICOLI

I Globalizzatori
l'inchiesta
di Paolo Barnard

Globalizzazione, fine dell'incontro e necessità di ricostruire la comunicazione
di Pietro
Barcellona

I costi sociali
prodotti
dalle imprese
di Pietro Frigato

Globalizzazione
e impotenza
dell'alternativa
di Vittorio
Giacopini

La fine del
desiderio
e il ritorno
alle origini
in cerca d'identità
di Fabio
Ciaramelli

Prove tecniche
di urbanistica
partecipata
di Raymond
Lorenzo

Un'alternativa
nelle reti
ricostruite
dal basso
di Alberto
Magnaghi

Mercato
e sviluppo
sostenibile
 
 

(17 luglio 2000)
 
 
 
 

 

copertina
notizie
 percorsi
interviste
i libri
musica
inchieste
calendario
novità
scriv