di PAOLO BARNARD
Quando si pronuncia la parola Globalizzazione gli
animi si scaldano subito.
Oggi infatti si assiste
a un dibattito sempre più acceso fra i contestatori dei mercati
globalizzati da una parte e dall'altra i sostenitori dell'idea che il benessere
economico mondiale richieda liberi scambi senza troppe regole politiche
o sociali. L'apice di questa diatriba la si è vista nel novembre
del '99 con la grande contestazione di Seattle, la città americana
che ospitava il massimo vertice di Globalizzazione, sulla quale discesero
"sciami" di contestatori da ogni parte del mondo.
Ma la Globalizzazione cos'è esattamente? E quali sono le sue ricadute
sulla società civile? Questa inchiesta mostra solo i lati controversi
dei
processi globalizzanti, e lo fa intenzionalmente, poiché le ricadute
positive ci vengono illustrate ogni giorno, su ogni media, nella pubblicità,
e persino dai nostri politici. Ma i pericoli e le zone d'ombra ci sono,
e
sono proprio quelle su cui si tenta di stendere un velo interessato di
silenzio. Iniziamo proprio da alcuni degli esempi più noti.
Carne agli ormoni e guerre
commerciali
L'Europa ha decretato che la carne americana trattata con ormoni
artificiali, al contrario della nostra, è pericolosa per la nostra
salute e ha
deciso di non importarla. Una precauzione che però ci costa molto
cara:
340 miliardi di sanzioni americane contro il Vecchio Continente. Una
ritorsione decisa all'Organizzazione Mondiale del Commercio nel nome
delle regole della Globalizzazione.
In Toscana e in Piemonte, nel mezzo delle terre più belle e fertili
d'Italia
la Globalizzazione ha colpito duro. Il tartufo è uno dei nostri
prodotti più
pregiati e lo esportavamo in grandi quantità negli Stati Uniti d'America;
ciò creava reddito per le aziende e i lavoratori italiani. Ma dall'anno
scorso gli Stati Uniti hanno deciso di tassare il tartufo del 100%,
sbarrandogli la strada. Chi l'ha deciso? L'Organizzazione Mondiale del
Commercio nel nome della globalizzazione.
L'Unione Europea, per proteggere la salute dei nostri bambini, ha detto
di no all'importazione di giocattoli che contengono un ammorbidente
tossico. Ma anche questa precauzione è oggi nel mirino
dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e dei suoi accordi di
globalizzazione.
"La Wto ovvero tutto diventa
merce"
L'Organizzazione Mondiale del Commercio, più nota come WTO, è
dunque il grande motore della globalizzazione. Ma cosa c'è che non
va
nel suo lavoro? L'ho chiesto alla professoressa Susan George, direttrice
del Transnational Institute di Amsterdam e considerata oggi il critico
più
autorevole del sistema globalizzato: "La Globalizzazione dei mercati"
inizia la George, "nasce, nella sua forma più spinta, sei anni fa
quando
135 nazioni sancirono la nascita del WTO, con i suoi potentissimi
accordi. Il problema è che praticamente tutto ciò che compone
la nostra
esistenza viene trasformato in merce di scambio: dall'istruzione, alla
sanità, dalla cultura ai servizi bancari, dalle pensioni ai diritti
fondamentali dei lavoratori; e poi la gestione degli asili, l'alimentazione
umana, quella animale... In sintesi, siamo come in vendita, sugli scaffali
del supermercato globale."
Il WTO ha sede a Ginevra, e rappresenta oggi 136 governi, incluso
quello italiano. In teoria al timone del WTO ci dovrebbero essere i
ministri del commercio dei vari paesi, ma nella realtà l'Italia
e tutti gli stati
d'Europa sono rappresentati al WTO dalla Commissione Europea di
Romano Prodi, che siede per tutti noi al tavolo delle trattative. Da questo
tavolo sono usciti gli accordi sul commercio planetario; ed è
precisamente contro questi accordi che è esplosa la protesta a Seattle:
l'accusa è che si tratta di regole dotate di poteri enormi, spesso
superiori a qualunque legge degli stati nazionali.
"Le persone comuni non
ci capiscono"
Nella sede ginevrina di questa controversa organizzazione chiedo a
Keith Rockwell, uno dei direttori, come ha fatto il WTO a diventare così
impopolare: "E' straordinario, vero?" risponde Rockwell con un cenno di
assenso, "ma si tratta di un destino che abbiamo in comune con molte
altre organizzazioni internazionali: la Comissione Europea è impopolare,
il Fondo Monetario lo è anche più di noi, e così la
Banca Mondiale.
Vede, la gente si sente lontana da questi grandi palazzi di Ginevra o di
Brussell, le persone comuni non capiscono né chi siamo né
quali
saranno gli effetti sulla loro vita degli accordi che qui nascono. Ma vi
posso garantire che ogni singolo accordo è passato al vaglio dei
vostri
governi."
E allora vediamo questi accordi di globalizzazione: hanno nomi difficili
per noi, Accordo Sanitario e Fitosanitario, Barriere Tecniche al
Commercio, Diritti di Proprietà Intellettuale e via discorrendo.
In tutto
formano 27.000 pagine di regole e codici, che hanno un potere pari al
loro incredibile volume. Per capire meglio facciamo un esempio.
Alla fine degli anni '80 l'Unione Europea decise di vietare l'uso degli
ormoni nell'allevamento dei manzi da carne e soprattutto proibì
le
importazioni di carne agli ormoni dagli Stati Uniti d'America. I nostri
scienziati la ritenevano pericolosa per la salute umana. Perché?
La
risposta la trovo alla periferia di Milano, dove incontro Luca Giove, un
professionista di 31 anni che quando era ragazzino ebbe degli strani
problemi di salute.
Luca: "La mia malattia
per gli estrogeni della mensa scolastica"
"Luca Giove cosa ti successe?", gli chiedo appena dopo il nostro
incontro davanti a quella che fu una volta fu la sua scuola media. Giove
ammicca: "A circa 12 anni mi si era gonfiata l'aureola del capezzolo
mammario sinistro, e questo era dovuto probabilmente al fatto che
avevo mangiato della carne estrogenata, nelle mense di questa scuola."
Luca Giove, suo malgrado, ha un posto nella storia delle guerre
commerciali, poiché la battaglia dell'Europa contro la carne agli
ormoni
americana inizia proprio dal suo caso, accaduto nel 1981. Il gonfiore del
suo capezzolo richiese un intervento chirurgico, e i sintomi di crescita
anormali di altri piccoli alunni scatenarono l'allarme negli scienziati
europei, fra cui l'italiano Giuseppe Chiumello. I sospetti caddero subito
sulla carne agli ormoni che allora circolava liberamente.
"Luca, hai avuto altri problemi di salute nella tua vita adulta che tu
possa
ricondurre a questa vicenda?"
"Ma, diciamo che ho dei problemi a livello spermatico, il numero è
sotto
la media e anche la motilità. Non so a cosa può essere imputato
ma non
so cosa si possa escludere a priori. Io ho anche avuto problemi di
varicocele e problemi venosi, e non so quanto si possa ricondurre alla
carne estrogenata." Giove mi lascia con una raccomandazione: "Guardi,
io ne ho passate... spero solo che la mia vicenda possa contribuire a
qualcosa di positivo."
La condanna dell'Europa
al Wto
Quindi, dalla fine degli anni '80 l'Unione Europea, per tutelare la salute
dei suoi cittadini, decise di vietare le importazioni delle carni agli
ormoni. Ma negli Stati Uniti questa decisione non fu affatto gradita. Nel
1996 il governo di Washington, brandendo uno dei potenti accordi di
globalizzazione, trascinò l'Europa davanti ai giudici del WTO. Tuttavia,
nel farlo, l'amministrazione Clinton aveva ceduto alle pressioni della
più
potente lobby di allevatori di bestiame statunitense: la National
Cattleman Association, come dimostra un documento che ho ottenuto in
via riservata, dove si legge:
"Al signor Bob Drake della National Cattleman Association: come lei ci
ha espressamente richiesto, abbiamo iniziato una procedura presso il
tribunale del WTO contro il divieto europeo di importare la nostra carne."
Il documento di cui parlo non è altro che una lettera autografa
dell'allora
ministro americano per il commercio Michael Kantor.
La procedura si concluderà con la condanna dell'Europa, una condanna
inappellabile ottenuta grazie proprio a uno di quei potentissimi accordi
del WTO di cui parlavo prima. L'Europa tuttavia non si è piegata
e ha
continuato a tenere la carne agli ormoni fuori dai suoi mercati. Il WTO
è
allora tornato alla carica e nel luglio del '99 i suoi giudici ci hanno
condannati ancora, condannati a pagare un prezzo altissimo: 340
miliardi all'anno sotto forma di sanzioni commerciali americane.
Le sanzioni americane autorizzate dal WTO hanno colpito le
esportazioni europee più pregiate, e fra le vittime italiane si
contano i
pomodori pelati, i succhi di frutta, il pane e soprattutto il tartufo.
Nella
splendida valle chianina, in Toscana, incontro il titolare di una azienda
specializzata in tartufi, che aveva trovato un grande sbocco di mercato
in
America. Oggi il sogno è svanito e la sua azienda ha persino vacillato
per un attimo. "Mi dica sinceramente: prima di questa vicenda lei aveva
mai sentito parlare di globalizzazione o di WTO?" chiedo
provocatoriamente. Questo signore di mezza età scuote il capo:
"Ammetto la mia ignoranza, io ne prendo nota soltanto adesso, e
francamente non so chi siano questi signori."
"Queste sono le nostre
regole"
Keith Rockwell, al WTO, ammette che è quasi impossibile spiegare
a un
produttore italiano di tartufi o di pomodori in scatola che è giusto
che
oggi il loro mercato estero, costruito in anni di fatiche, sia polverizzato
da una sentenza di globalizzazione. Rockwell aggiunge: "E' difficile, ed
è
un problema che non avete solo voi in Italia. Io posso offrire a costoro
tutta la mia comprensione, ma le regole sono queste."
Abbiamo visto che il WTO è in grado di esercitare un enorme potere.
E
allora c'è una domanda che sorge spontanea: i nostri politici, quando
nel
1994 aderirono a tutti gli accordi del WTO, erano consapevoli di quello
che stavano accettando? L'On. Domenico Gallo era senatore proprio in
quel periodo e grande esperto della questione, e a lui giro la domanda.
"Certamente non c'è stato un dibattito politico pubblico né
riservato,"
inizia Gallo, "le questioni non sono state oggetto di confronto politico
in
Italia. Scarsa fu anche la sensibilità parlamentare. Tutto è
stato vissuto
non come un evento di grande importanza globale, ma come un
passaggio obbligato, come una festa della modernità, dove non c'era
niente da dire perché andava tutto per il meglio."
Fassino irritato: "Il
suo compito non è indagare sui punti dolenti..."
Fra i politici italiani, quando si parla di WTO, svetta il nome di Piero
Fassino, che fino a poche settimane fa era ministro per il commercio
con l'estero, era cioé il nostro maggior esperto istituzionale di
globalizzazione. Gli ho sottoposto alcune domande sui punti dolenti che
abbiamo appena visto, e su altri che vedremo in questa inchiesta, ma le
cose non sono andate nel migliore dei modi. "No!, no! Il suo compito non
è di indagare sui punti dolenti.....In questa intervista lei enfatizza
i rischi,
lei fa il protezionista, io cerco di esaltare le opportunità della
globalizzazione!" Ribatto: "Vediamo però come siamo arrivati a dover
accettare livelli doppi di diossina nelle nostre carni e sanzioni miliardarie
per il nostro rifiuto di importare la carne ormonata americana." Fassino:
"Ma la carne agli ormoni non entra in Europa, e poi non c'entra il
WTO!..."
Lo correggo: "Ministro è il WTO che ci ha condannati a pagare miliardi
solo perché stiamo proteggendo la salute dei cittadini europei."
"Senta facciamo così, io non voglio concederle questa intervista...
è del
tutto folle... l'approccio è folle!" tronca netto il ministro, "mi
dia la
cassetta, me la consegni".
Di consegnare la casetta non se ne parla. Lascio Fassino e proseguo
nell'indagine. Come abbiamo detto, noi cittadini d'Europa abbiamo
delegato la Commissione Europea a trattare per noi al tavolo della
globalizzazione. Ma Susan George su questo ha qualcosa da dire: "La
Commissione Europea è un organo politico che dovrebbe fare gli
interessi di tutti i cittadini quando siede al tavolo del WTO. E invece,
da
anni la Commissione è al servizio delle multinazionali e delle lobby
che
le rappresentano. Questo è grave, ed è anche il motivo per
cui gli
accordi che vengono firmati al WTO sono così di parte. Io parlo
di una
realtà dimostrata: a lei il compito di indagare."
E ho indagato girando l'Europa con una domanda fissa nella testa: ci
possiamo fidare dei globalizzatori, di chi, come la Commissione
Europea, decide per tutti noi al tavolo della globalizzazione?
Prodi: "La sua è
una domanda imbarazzante"
Romano Prodi, che della Commissione è oggi il Presidente, mi
risponde con parole semplici: "La sua è una domanda imbarazzante.
Io
penso che l'unico modo è fidarsi di noi."
E invece in questa indagine ho trovato documenti che sembrerebbero
minare la nostra fiducia, e mi sono imbattutto in poteri forti di cui,
almeno
io, non sospettavo neppure l'esistenza.
Siamo infatti abituati a immaginare che il potere abiti in stupefacenti
palazzi e grattacieli vertiginosi, ma non sempre. In un anomino
palazzetto di Brussell risiede forse la più potente lobby industriale
del
mondo: il Trans Atlantic Business Dialogue (TABD). Report ha chiesto di
poter visitare la loro sede, ma come spesso ci accade, non siamo i
benvenuti. In questa lobby si raggruppano aziende di calibro mondiale,
con fatturati complessivi pari al prodotto interno lordo di intere nazioni.
Ed è proprio il TABD che arriva al punto di presentare periodicamente
sia alla Commissione Europea che al governo americano una lista di
sue priorità per la globalizzazione, di fronte alle quali la Commissione
sembra proprio spalancare le porte. Ho ottenuto attraverso contatti a
Brussell una copia delle liste di priorità del TABD, che hanno un
tono
perentorio. Vi si trovano elencate le richieste delle multinazionali, chi
deve darsi da fare fra gli organi politici, e ci sono per iscritto tutte
le
migliori intenzioni della Commissione Europea nel soddisfarle. Prima di
Seattle la Commissione ha addirittura incoraggiato questa grande lobby
a sottoporle ulteriori richieste, definendole "priorità assolute".
Ma è
giusto tutto ciò? E giro la domanda al presidente Prodi. "Presidente,"
inizio, mentre lui sfoglia la documentazione che gli ho appena passato,
"qui la vostra risposta sembra decisamente appiattita sugli interessi di
questo grande gruppo industriale."
Prodi scuote il capo: "Fare gli interessi dei gruppi industriali non
significa non fare gli interessi della povera gente o dei gruppi
ambientalisti. Se lei mi accusa di proteggere gli interessi industriali
io
dico sì, il problema è di vedere come si armonizzano queste
cose."
1997, la commissione Ue
alle imprese: "Diteci per tempo che cosa fare"
Nessuno contesta che la Commissione Europea debba anche pensare
agli interessi del mondo degli affari, ma gli uomini di Romano Prodi
sono dei politici, col mandato di tutelare gli interessi di tutti i cittadini.
I
documenti riservati che seguono sembrano invece contraddire in tema
di globalizzazione le rassicurazioni del Presidente Prodi. Ne riporto qui
alcuni passaggi preoccupanti, ricordando che si tratta di documenti
ufficiali che circolavano da tempo fra i burocrati di Brussell:
1997: DISCORSO ALLE INDUSTRIE CHIMICHE DEL VICE
PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
"Siate tempisti, e cioé diteci per tempo se pensate che qualcosa
debba
essere fatto, o, ancora meglio, se pensate che qualcosa debba essere
stroncato sul nascere."
1997: COMMISSARIO EUROPEO AL COMMERCIO
"Il Trans Atlantic Business Dialogue è diventato un meccanismo efficace
per ancorare le politiche dei governi sugli interessi dei gruppi di affari."
COMMISSIONE EUROPEA, DIRETTORATO GENERALE PER IL
COMMERCIO
"Vogliamo trovare un accordo con gli Stati Uniti per stabilire un sistema
di pre-allarme contro le proposte politiche che potranno avere un impatto
negativo sulle industrie di servizi."
"Ma guardiamo alle cose
serie..."
Ancorare i governi sugli interessi dei gruppi d'affari? Sistemi di pre
allarme contro le proposte politiche? Ma per conto di chi lavorate,
presidente Prodi?
"Guardiamo alle cose più serie" ribatte il Presidente di fronte
a quelle
carte, "non guariamo a queste frasi che non dicono assolutamente nulla.
Queste sono dichiarazioni che io condivido."
Eppure, tutto sarebbe più equlibrato se la Comissione Europea, che
ci
sta globalizzando, ogni tanto chiedesse anche a noi cittadini cosa ne
pensiamo. Ma lo fa? Una cosa è certa, i grandi gruppi di servizi,
come le
finanziarie, le grandi assicurazioni o le banche vengono consultati in
tempo reale da un sistema elettronico che si chiama S.I.S., messo in
opera dalla Commissione Europea, come prova un altro documento
firmato Direttorato Generale1, che recita: "La Commissione Europea ha
creato un sistema di consultazione con le industrie dei servizi che
permette ai negoziatori della Commissione di consultare rapidamente le
aziende e anche i singoli azionisti."
Wto: filo diretto Ue-imprese.
E i cittadini?
Chiedo spiegazioni al responsabile di questa iniziativa, Dietrich Barth,
nel suo ufficio al quinto piano della Commissione. Barth candidamente
conferma: "Quest'anno sono previsti i negoziati del WTO per la
liberalizzazione dei servizi. La Commissione ha un assoluto bisogno di
conoscere gli interessi dei grandi gruppi d'affari di questo settore."
Ma
perché Barth, che lavora per i politici, non menziona anche gli
interessi
dei semplici cittadini? Gli chiedo provocatoriamente: "Sono sicuro che
vorrete conoscere anche gli interessi delle persone comuni, o dei gruppi
che li rappresentano. Dov'è il sistema elettronico per consultare
anche
loro?" "L'S.I.S è accessibile anche ai sindacati e ai gruppi di
attivisti,
non solo all'industria." Risponde sicuro.
Non mi rimaneva che chiedere conferma di questo sia ai sindacati che
agli attivisti. Inizio da Cecilia Brighi, una esperta di globalizzazione
dell'Ufficio Internazionale della Cisl, che ribatte seccamente: "Purtoppo
i
contatti voluti dalla Commissione con i sindacati sui temi della
globalizzazione non sono così spinti come quelli che avvengono con
le
muntinazionali; anzi, praticamente non esistono."
" Signora Brighi, lei ha mai sentito parlare del S.I.S.?", chiedo a
bruciapelo. "No, mai." "Vi hanno informati dell'esistenza di questo
sistema?", insisto. "Credo di poter affermare con certezza che le
organizzazioni sindacali italiane non siano mai state informate di questo
sistema di consultazione." L'Italia è lontana da Brussell, e allora
torno in
Belgio per chiedere a Friends of the Earth, uno dei più grandi gruppi
ambientalisti del mondo, se almeno loro, che hanno la sede a due passi
dalla Commissione Europea, hanno mai sentito pronunciare il fatidico
nome S.I.S. Mi risponde Alexandra Wandell, e lo fa con grande stupore:
"Sfortunatamente è la prima volta che sento parlare di questo sistema
di
consultazione, me lo sta dicendo lei, a noi non l'hanno mai comunicato.
La Commissione Europea dovrebbe smettere di declamare di iniziative
che in realtà non ha nessuna intenzione di portare avanti."
La Commissone Europea ha fatto uno sforzo ciclopico per consultare i
business d'Europa prima di Seattle. Ha fatto un sondaggio sui desideri
dell'Investment Network, un'altra lobby di giganti industriali che include
la
Fiat e la Pirelli, e un secondo sondaggio su 10.000 aziende. Tutto
documentato da me, nero su bianco. Fra l'altro ho cercato a Brussell
anche la sede di questo Investment Network, ma non l'ho trovata. Per
forza, perché questo gruppo di multinazionali si riunisce proprio
nella
sede della Commissione Europea. E anche di tutto ciò ho discusso
con
Romano Prodi.
Prodi: "Colloquio quotidiano
con i sindacati"
"Vede Presidente, la cosa che preoccupa è che tutto questo sembra
non esistere poi con le ONG, coi consumatori, coi sindacati" e attendo
la
sua reazione.
"Coi sindacati io sono in colloquio quotidiano," mi rassicura Prodi, "ma
se esiste questo Investment Network io francamente non glielo so dire,
non lo sapevo, non sapevo neanche che esistessero sondaggi per le
imprese, me lo fa vedere lei adesso. Ma se stesse qui dentro lei
vedrebbe quanto dialogo c'è con le organizzazioni non governative
e con
i sindacati."
Cecilia Brighi, a distanza, replica con altrettanta sicurezza: "Non c'è
ancora nulla, non lo hanno assolutamente ancora fatto, non c'è nulla,
noi
non sappiamo quali sono gli impatti degli accordi già sottoscritti,
per
esempio in tema di agricultura o di occupazione, come per esempio non
c'è consultazione sui temi sociali nel mondo. Tutto questo va costruito
in
tempi rapidissimi."
Che ci sia dialogo è dunque tutto da verificare; ma una cosa verificata
invece c'è: anche quando la Commissione comunica con le
organizzazioni dei cittadini non sempre c'è da fidarsi. Ho ottenuto
due
documenti sulla globalizzazione scritti dalla Commissione Europea che
dovevano essere identici, intitolati "Regole internazionali per gli
investimenti in seno al WTO", stesso protocollo e stessa data: solo che
uno era destinato ai burocrati, l'altro ai cittadini. A una lettura più
attenta
sono emerse differenze radicali nei testi: la versione per la gente
comune era tutta un'altra cosa.
Wto: la carne, la salute
e chi decide che cosa si mangia
Ma a proposito di fiducia, ritorniamo alla carne agli ormoni americana.
Sulla base di quali prove il WTO condannò l'Europa? A rispondere
è di
nuovo Keith Rockwell: "Quello che le posso dire è che il WTO nel
caso di
dispute sulla sicurezza degli alimenti decide in base al parere degli
scienziati della FAO. A loro fu chiesto di emettere il verdetto sulla carne
agli ormoni."
E infatti un gruppo di scienziati cosiddetti super partes si riunirono
proprio alla FAO a Roma, e più precisamente nella commissione
chiamata Codex. Dalla FAO partì il verdetto: secondo loro l'Europa
aveva torto. Ma gli scienziati della Fao erano davvero super partes,
erano davvero imparziali?
"Certamente" sentenzia con fermezza Alan Randell, uno dei massimi
responsabili dei gruppi scientifici della FAO, cui ho rivolto quelle
domande. Randell spiega: "Siamo una organizzazione intergovernativa
e il nostro compito è di fissare gli standard internazionali per
la sicurezza
degli alimenti. Abbiamo deciso che gli ormoni nella carne americana
non pongono problemi alla salute, e potete fidarvi."
Ormoni, ecco chi sono
gli esperti "super partes" della Fao
Pochi giorni dopo aver registrato quelle affermazioni, mi sposto a
Londra per un incontro cruciale. L'uomo che mi aspetta alla stazione
Victoria vuole rimanere anonimo, perché è un chimico farmaceutico
che
ha lavorato per 35 anni con la grande industria e che oggi ha deciso di
raccontare tutto quello che sa sulla cosiddetta indipendenza degli
scienziati della FAO. Trovarlo è stata veramente un'impresa, attraverso
una serie infinita di contatti. Gli chiedo prima di tutto: perché
vuole
parlare? "Il mondo sta cambiando, le multinazionali farmaceutiche e
agroalimentari hanno assorbito ormai tutto....non so...forse perché
mi sto
per ritirare dalla scena...ma guardi, io ho visto troppe cose, e c'è
un
limite per tutti, o forse solo per me." La nostra conversazione continua,
e
lo invito a venire al dunque, e cioé alle prove di quanto mi vorrebbe
rivelare. Questo scienziato dall'aria aristocratica mi invita a sedermi
a un
tavolo del bar della Royal Albert Hall, e poi inizia: "La documentazione
che le mostro era in gran parte segreta, e infatti molti fogli portano
il
marchio declassificato. Ora, per dimostrale quanto siano inaffidabili gli
organi scientifici della FAO è necessario che le racconti una vicenda
parallela a quella che a lei interessa."
"Guardi questi documenti. E' il novembre del '97, e la FAO si sta
preparando a giudicare la sicurezza degli ormoni nel latte, che sono
prodotti dalla multinazionale Monsanto. Qui si legge che uno scienziato
della FAO, il dott. Nick Weber, aveva passato al dott. Kowalczyk della
Monsanto i documenti riservati che solo gli scienziati della FAO
avrebbero dovuto leggere prima di emettere il verdetto. Fra questi
documenti c'erano persino gli studi della Commissione Europea, che
era contraria agli ormoni artificiali. Capisce? La Monsanto poté
studiarsi
con molto anticipo cosa avrebbero sostenuto i suoi critici durante i
dibattimenti. Ma è normale ciò?"
La Monsanto: gli esperti
Fao sono "dei nostri"...
Non rispondo e lo invito con un cenno del capo a continuare. Lui
prosegue: "La FAO esaminò gli ormoni nel latte e in un primo tempo
espresse parere positivo. Un trionfo per la Monsanto, ma c'era una nota
che stonava. Michael Hansen, un consulente della FAO, non era
d'accordo e stava per lanciare un allarme. Ed ecco un fax che la
Monsanto spedisce a un funzionario della sanità pubblica, dove si
legge:
Sembra che Michael Hansen non sia dei nostri. Dei nostri!!, capite che
razza di mentalità? La Monsanto considerava gli esperti della FAO
roba
propria."
La mia fonte sosta per il tempo necessario a sorseggiare il bicchiere di
vino bianco che gli ho offerto, poi estrae dalla borsa altri fogli, altre
prove
inedite. E rincara la dose: "Ma alla FAO ci sono altri scienziati
gravemente compromessi: sono Margaret Miller e Leonard Ritter. In
questo documento riservato del Congresso degli Stati Uniti si legge che
la dottoressa Miller era sotto inchiesta perché, da dipendente pubblico,
fu sorpresa a lavorare....indovini per chi? Per la Monsanto naturalmente,
per conto della quale studiava gli ormoni. Veniamo al dottor Ritter: ho
scoperto dagli archivi del parlamento canadese che Ritter è stato
più
volte pagato del CAHI, una grossa lobby nordamericana di industrie
veterinare favorevoli agli ormoni. Insomma, Miller e Ritter, due gioielli
di
indipendenza interni alla FAO, non le sembra?"
E allora ricapitoliamo: la mia fonte inglese ha dimostrato che alcuni
scienziati consulenti della FAO, e specialmente Nick Weber, Margaret
Miller e Leonard Ritter, erano da tempo collusi con una lobby e con una
grande multinazionale interessate a vendere ormoni, e nonostante
l'evidente conflitto di interessi hanno continuato a decidere della nostra
salute per conto della FAO.
Ecco chi e "perché"
ha giudicato innocui gli ormoni nella carne
Lo scienziato inglese ora conclude e porta l'affondo decisivo: "E non è
proprio la FAO che ha giudicato innocui anche gli ormoni della carne,
permettendo così al WTO di condannare l'Europa. Come ci si può
fidare? E poi guardi le liste degli scienziati della FAO che nel '99 e
nel
2000 hanno di nuovo esaminato gli ormoni americani nella carne: chi ci
troviamo? Weber, Miller, Ritter e tutti gli altri. Sono tutti qui, sono
sempre
qui!"
Lo fisso con un'unica domanda nella testa: la FAO sapeva, ha mai
sospettato qualcosa? "Certo che sapeva," risponde con un accenno di
sorriso, "infatti Micheal Hansen, il bastian contrario, scrisse tutto nero
su
bianco e lo spedì persino al direttore generale della FAO. Tutto
si
sapeva... persino nei dettagli. Ma questo non ha impedito a noi europei
di essere così penalizzati dal verdetto sulla carne agli ormoni."
Torno a Roma e ricontatto il dirigente della FAO che avevo incontrato
pochi giorni addietro. Gli passo le prove contro i dottori Weber, Miller
e
Ritter, ma lui non sembra molto interessato ai documenti. Li degna
appena di un'occhiata e ribatte: "I nostri scienziati sono scelti dalla
FAO
e dall'Organizzazione Mondiale delle Sanità, e sono confermati
nell'incarico dai governi membri. Sono esperti al di sopra di ogni
sospetto e le sue affermazioni ci giungono assolutamente nuove."
Il Wto: "Però la
Ue poteva evitare le sanzioni Usa"
Una storia pesantissima questa, nella quale erano in gioco non solo
interessi multimiliardari, ma soprattutto la nostra salute. E a questo
punto
tutto mi potevo aspettare meno che fosse proprio il WTO a rilanciare alla
grande, a far esplodere la bomba. E' ancora Rockwell che parla: "Se i
vostri governi avessero invocato l'articolo 5.7 del nostro accordo
Sanitario e Fitosanitario la battaglia sulla carne agli ormoni non sarebbe
mai esistita: niente FAO, niente sanzioni americane, nulla di nulla.
L'articolo 5.7 del WTO vi dava il diritto di evitare lo scontro, mentre
l'Europa studiava la sicurezza della carne americana." "E perché
l'Europa non l'ha usato?" gli chiedo più che sorpreso. Rockwell
mi fissa
pregustando il colpo ad effetto, e con un che di trionfale aggiunge: "Lo
chieda a loro. Non lo hanno mai invocato quell'articolo!"
Non mi rimane che girare la scottante questione ai massimi responsabili
politici, e cioé al ministro Fassino e al Presidente della Commissione
Europea Romano Prodi. Perché non è stato invocato quell'articolo?
Fassino: "Lo chieda a
qualcun altro"
Fassino risponde che non lo sa, che ci sarà una ragione legale,
e
conclude sbrigativo: "Chieda a qualcun altro" dice scuotendo il capo.
Romano Prodi invece tenta una battuta ("Non lo so, non sono mica un
veterinario!") e poi conclude sostenendo che si tratta di aspetti tecnici
"...e non potete venire a chiedere a me."
Entrambi si sono difesi aggiungendo che l'importante è che la carne
agli
ormoni non entri in Europa, ma questo francamente non mi basta.
Abbiamo miliardi di sanzioni che ci penalizzano ogni giorno, e si tratta
della più pericolosa disputa commerciale degli ultimi 20 anni. Se
la si
poteva evitare appellandosi a un semplice articolo, i nostri massimi
dirigenti politici lo avrebbero dovuto sapere. Ma tant'è.
Susan George: "Negato
il diritto all'informazione"
Io non chiedo più nulla, e scelgo invece di mostrarvi qualcosa di
concreto. Parliamo sempre della globalizzazione, del WTO e dei suoi
potentissimi accordi. La parola a Susan George: "L' arma più tagliente
del WTO è l'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio, che può
annullare le leggi degli Stati, quelle delle amministrazioni locali e persino
le regole delle piccole organizzazioni non governative. Esso colpisce
particolarmente il diritto dei cittadini di sapere come sono fatte le merci
che acquistano e da chi sono fatte."
E infatti questo accordo prende di mira proprio le etichette: le etichette
che ci dovrebbero dire se nei giocattoli che diamo ai nostri piccoli ci
sono sostanze tossiche, se nei cibi che mangiamo ci sono ingredienti
geneticamente modificati, o se i palloni che compriamo sono fatti da
bambini sfruttati nei paesi poveri. Iniziamo proprio da questo esempio.
Susan George spiega: "Il calcio è sicuramente un grande sport, anche
se io sono americana! Ma l'accordo WTO sulle Barriere Tecniche al
Commercio ci impedisce proprio di rifiutarci di importare palloni da
calcio cuciti dai bambini sfruttati in Asia. Per i globalizzatori un pallone
è
un prodotto e lo possiamo rifiutare solo se è di cattiva qualità
e non se è
fatto da piccoli schiavi."
Damiano Tommasi, mediano della Roma, è da tempo impegnato contro
l'importazione di palloni prodotti col lavoro minorile. Un accordo del
WTO rischia dunque di vanificare il suo impegno. Lo sapeva? "No, non
lo sapevo" mi dice Tommasi al termine di un allenamento di fine
campionato. "E' una brutta notizia. E' un altro segnale che l'economia
e
la globalizzazione prevalgono su qulasiasi altro codice."
I palloni della vergogna,
la parola del governo
Proprio al ministro Fassino ho sottoposto questo punto dolente degli
accordi del WTO, "lei non sa che l'Italia ha firmato le convenzioni
dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che ci danno il diritto di
rifiutare i palloni prodotti col lavoro minorile!"
Rispondo: "Ministro, ciò che lei afferma non sembra vero. Io cito
accordi
del WTO sovranazionali che già sono esistenti e che sono già
ratificati
dall'Italia."
Fassino adesso urla: "Ma l'Italia non ha mai ratificato nessun accordo
che dice che si possono importare i palloni cuciti dai bambini sfruttati.
Credo di sapere la materia di cui sono ministro!...non è possibile!"
Racconto quanto affermato dal ministro Fassino a Susan George, e lei
sorpresa ribatte: "Ma certo che è possibile. Fu purtroppo scritto
nero su
bianco sia negli accordi del GATT che nell'accordo del WTO, ai punti 2.1
e 2.8, e i nostri governi lo dovrebbero sapere."
Interrogo anche Cecilia Brighi, la sindacalista della Cisl esperta di
questioni internazionali. Le dico: "Signora Brighi, a battuta risposta:
l'Italia ha firmato le convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del
Lavoro che danno la possibilità di bloccare le importazioni di palloni
fatti
da bambini sfruttati nel terzo mondo..." C'è una pausa, la Brighi
ribatte:
"Chi ha detto questo?" E io: "Fassino." Lei scuote il capo.
Le sostanze tossiche nei
giocattoli
Nel frattempo al WTO qualcuno sta già protestando contro le regole
europee che vietano nei nostri giocattoli l'uso di ammorbidenti tossici.
Me ne parla Fabrizio Fabbri, uno dei responsabili di Green Peace Italia:
"Sta succedendo che Hong Kong e il Brasile stanno invocando
l'intervento del WTO per annullare il provvedimento europeo che vieta i
composti chimici pericolosi nei giocattoli per bambini. Il WTO potrebbe
ritenere questa misura di tutela della salute un ostacolo alle leggi del
libero commercio, in base a un accordo sottoscritto anche dall'Italia che
prevede il non utilizzo di ragioni sociali o ambientali come
discriminazione commerciale." Fabbri apre una borsa e fa cadere sulla
scrivania una miriade di pupazzetti e bamboline colorati, quelli tossici
appunto. Ma dovessero tornare questi giocattoli pericolosi, almeno che
ci sia un'etichetta che ce li fa distinguere. Fabbri scuote il capo:
"Teoricamente sarebbe la misura minima di tutela dei consumatori, ma
è quella maggiormente contestata proprio dal WTO."
Wto, nemmeno il diritto
all'etichetta
Guerra dunque persino alle etichette che ci dovrebbero informare su
quello che acquistiamo, ma non solo. Ciò che veramente stupisce
è
scoprire che chi ha scritto gli accordi di globalizzazione ha voluto che
il
loro potente braccio si estendesse ben oltre i governi nazionali, e che
raggiungesse persino le piccole organizzazioni volontarie. Persino loro.
Per capire meglio ciò che ho detto seguiamo la signora Luciana
Giordano nello shopping. Questa giovane linguista di Bologna fa parte
della nutrita schiera di italiani che acquistano regolarmente il caffé
equo
& solidale, e questo significa che Luciana sa che il suo caffé
è prodotto
da lavoratori del terzo mondo tutelati nella dignità e nei diritti
fondamentali. Ma come fa a saperlo? Attraverso la presenza sulla
confezione dell'etichetta Transfair, oppure comprando il macinato nelle
cosiddette Botteghe del mondo. Si tratta di piccole organizzazioni non
a
fine di lucro, ma sembra prioprio che sia loro che le loro etichette violino
i contenuti del solito accordo WTO sulle Barriere tecniche al commercio.
L'attacco contro il commercio
equo e solidale
Proprio a Bologna incontro Giorgio Dal Fiume, uno dei massimi dirigenti
nazionali della rete equo & solidale e gli chiedo di spiegarmi perché
i
globalizzatori dei commerci temono così tanto persino le loro etichette:
"Perché quello che noi scriviamo in etichetta rende possibile la
libera
scelta da parte del consumatore" dice Dal Fiume mentre mi fa da guida
all'interno di una delle Botteghe del Mondo. "E' paradossale, ma in
questo sistema globalizzato siamo noi a difendere il vero funzionamento
del mercato, dove a diversa offerta corrisponde una diversa scelta. Ma
proprio questo è il punto debole del WTO: può condizionare
interi stati
ma non può obbligare i cittadini a consumare quello che loro vogliono."
Forse Dal Fiume ha ragione, ma il WTO può costringere il governo
italiano a fare tutto quanto è in suo potere per fermare iniziative
come
quella per cui si è impegnato. E' scritto infatti nero su bianco
nell'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio. Lui lo sapeva? "Sì,
ci siamo studiati i testi, ed è per questo che siamo andati a Seattle
a
contestare con ogni mezzo il WTO" conclude.
Etichettare le merci, così che il cittadino possa rifiutare quelle
che
violano i principi etici, o di protezione dell'ambiente e della propria
salute è un diritto fondamentale che il WTO sembra volerci togliere.
In
tutto ciò sono chiare le pressioni esercitate dai colossi industriali,
e non
sono illazioni: ho trovato due documenti che non lasciano dubbi. Il primo,
stilato dalla Camera di Commercio Internazionale (un'altra lobby di
multinazionali che comprende anche la Pirelli e la nostra Confindustria)
chiedeva al cancelliere tedesco Schroeder (poco prima della storica
conferenza del WTO a Seattle) quanto segue: I programmi di
etichettatura ecologica dei prodotti possono creare barriere al libero
commercio, e vogliamo su questo una urgente applicazione degli
accordi del WTO. Nel secondo documento ho trovato un'esplicita
richiesta del Trans Atlantic Business Dialogue, che recita: Alla
Commissione Europea chiediamo che un accordo internazionale sugli
investimenti non sia indebolito da clausole sui diritti dei lavoratori
o sulla
tutela dell'ambiente.
Di guerra in guerra
Si comprende così come anche la legge europea sull'etichettatura
obbligatoria dei cibi contenenti geni modificati sia finita nel mirino
del
WTO, e infatti il governo di Washington ha già iniziato a Ginevra
una
procedura legale per costringere Brussell a tornare sui suoi passi.
Eppure quella legge non è poi così severa: essa infatti dice
che se i geni
modificati sono presenti nei cibi sotto la quantità dell'1%, non
vanno
dichiarati in etichetta. E io ho voluto fare una prova. Ho infatti comprato
alcuni prodotti contenenti soia: dicono che la soia oggi sia quasi tutta
geneticamente modificata, ma nelle etichette dei biscotti VitaSystem,
dei crackers Misura, di quelli della Cereal e del pane a fette della Barilla
non è segnalato alcunché. E allora sono andato a farli anlizzare.
Ecco i
risultati delle analisi. Pane alla soia della Barilla: nessuna presenza
di
soia transgenica; crackers della Misura, anche qui nulla di
geneticamente modificato; veniamo alla Cereal: idem come prima, e
cioé niente geni manipolati; e infine abbiamo i biscotti della VitaSystem,
e qui la soia transgenica c'era, ma nella percentuale dello 0,6%, e la
legge europea, come dicevo, non prevede che questa quantità si debba
segnalare in etichetta. Ciò significa che noi consumatori stiamo
comunque ingerendo e sperimentando cibo transgenico, anche se in
piccole quantità, e questo prima che la scienza sappia con certezza
quali saranno gli effetti sulla nostra salute.
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