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DIGITAL SOCIETY E DUPLICAZIONE ABUSIVA DEL SOFTWARE: I LIMITI DEL PROIBIZIONISMO
La norma penale nazionale può essere rispettata e applicata? Serve un sistema penale minimo mondiale?

 
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_____________________________________di Manuel Buccarella__________

Nella Digital Society, la nuova Società dell’Informazione, la necessità di una libera e rapida circolazione online di beni e informazioni dovrebbe, almeno in via potenziale, accelerare il processo di instaurazione di un sistema penale minimo mondiale.

La globalizzazione e l’evoluzione inarrestabile delle tecnologie informatiche mettono sempre più in crisi il concetto di Stato nazionale, ed in particolare, l’idea – di derivazione ottocentesca e borghese - che gli Stati nazionali costituiscano l’unica ed autorevole fonte del diritto positivo.
In realtà, ci accorgiamo quotidianamente che nel mondo virtuale di Internet le leggi nazionali sono dotate di un potenziale applicativo di gran lunga inferiore rispetto a quanto è sperimentabile nel mondo reale ( ). 
Ciò vale a maggior ragione per il diritto penale, incentrato su principi come la certezza del diritto e la certezza nell’applicazione della pena.

Ricordando un principio generale dell’ordinamento giuridico, una legge può dirsi realmente efficace se è in grado di essere effettivamente applicata e rispettata. Nel caso, in particolare, di una legge penale, che prevede l’applicazione di sanzioni spesso privative della libertà personale, è ben difficile applicarla quando il trasgressore opera in Rete, nascondendosi sotto falso nome e rendendo difficile anche l’individuazione del luogo fisico e della Nazione in cui risiede. Gli Stati dovrebbero dunque dotarsi di un apparato repressivo telematico per acciuffare i contravventori: immaginiamoci un poliziotto virtuale, composto di bit, con tanto di manette e manganello, che rincorre il “delinquente” tra i miliardi di chilometri di fibre ottiche e cavi telefonici che connettono tutto il mondo in Rete, rischiando continue intrusioni nei domini riconducibili alla “sovranità” di Stati esteri.

Effettivamente, come sostenuto nella recente Conferenza G8 di Parigi, oltre ad offrire ampie occasioni di attività socialmente utili, “Internet egualmente fornisce un modo potenzialmente anonimo e a basso rischio per gli individui che commettono atti illegali mediante accesso non autorizzato alle comunicazioni riservate, con attacchi all’integrità dei sistemi della rete (…) e pirateria di materiali creativi protetti dai diritti di proprietà intellettuale” ( ). Nelle intenzioni dei Grandi, la Conferenza si sarebbe dovuta chiudere con accordi sulla persecuzione penale della pirateria informatica; è di una certa rilevanza, invece, il fatto che non vi sia stato alcun accordo. 

L’”imboscata” che la Rete ha teso ai governi rende dunque difficili processi di armonizzazione legislativa, soprattutto in campo penale, ed in materie particolarmente delicate come il diritto d’autore e di proprietà intellettuale. La circostanza che gli Stati incontrino serie difficoltà nell’accordarsi per la repressione del cybercrime sta a significare che è veramente in corso un processo di “autoregolamentazione della Rete”, indipendente rispetto all’attività legislativa, e che anzi obbliga gli Stati a trovare soluzioni di compromesso, spesso antitetiche ai principi repressivi e liberticidi dell’800, che pure sopravvivono nei codici e nelle leggi penali contemporanee.

Per tali ragioni, non è condivisibile l’atteggiamento di parte della magistratura italiana che, a partire dal 1994, senza soluzione di continuità, ha posto in essere una serie impressionante di sequestri probatori di sistemi informatici e telematici per ragioni spesso futili ( ), tra cui la duplicazione abusiva del software.
L’11 maggio del 1994, infatti, scatta in tutta Italia una feroce ondata di repressione poliziesca: da Pesaro partono 173 decreti di perquisizione, che colpiscono altrettante banche dati gestite da volontari delle reti di telematica sociale di base. Le operazioni vedono impegnati 63 reparti della Guardia di Finanza, che pongono sotto sequestro 111.000 floppy disk,160 personal computer, 83 modem, 92 cd. La mania liberticida delle Fiamme Gialle colpisce anche documenti personali, riviste, appunti, prese elettriche, tappetini per il mouse, contenitori di plastica per dischetti, kit elettronici.

Il 3 giugno dello stesso anno la Guardia di Finanza di Taranto fa irruzione nell’abitazione di Giovanni Pugliese, coordinatore e responsabile delle rete telematica “PeaceLink”, mettendo sotto sequestro l’intero server. Unica infrazione riscontrata: una copia di Word 6 della Microsoft privo di licenza, adibito ad uso personale per le attività dell’associazione ( ).

L’infrazione costa a Pugliese un decreto penale di condanna a 3 mesi di reclusione, ai sensi dell’art. 171 bis della legge sul diritto d’autore (L. n. 633/1941), “per avere a fini di lucro detenuto a scopo commerciale programmi per elaboratore abusivamente duplicati” (condanna convertita in una multa da dieci milioni). In realtà, più che un fine di lucro, la duplicazione senza permesso del programma assecondava al massimo un fine di “risparmio”, dal momento che il Word 6 veniva utilizzato esclusivamente per la banca dati di una associazione pacifista, che notoriamente non persegue alcun fine di lucro né commerciale. La Pretura di Taranto criminalizzava dunque un “uso personale”, e non un’attività lucrativa. 
Fortunatamente, l’autore della vicenda è stato assolto qualche mese fa a seguito di impugnazione del decreto penale di condanna.

Alla luce di questa esperienza, desta forte preoccupazione la nuova legge italiana sul diritto d’autore, la legge n. 248 del 18 agosto 2000. L’art. 13 della legge prevede, in particolare, quanto segue: “1. L’articolo 171-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, è sostituito dal seguente:
«Art. 171-bis. - 1. Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire trenta milioni”. 
L’art. 18 del disegno di legge correlato prevedeva, significativamente, quanto segue: “Al comma 1° dell’art. 171-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, le parole: “a fini di lucro” sono sostituite dalle seguenti: “per trarne profitto” e dopo le parole: “a scopo commerciale” sono inserite le seguenti: “o imprenditoriale”. Ciò significa che se fino ad oggi la duplicazione di software veniva considerata abusiva solo in presenza di “traffico commerciale”( ) (duplicazione finalizzata alla successiva cessione a titolo oneroso), ora – vigendo la nuova normativa - lo diventano comportamenti non pericolosi, come lo scambio di programmi tra amici.
Il malcapitato che mettesse in atto un comportamento analogo a quello del responsabile di PeaceLink (assolto nella vigenza della vecchia legge), rischierebbe una condanna penale solo per aver duplicato del software “per trarne profitto”. 
La mente “forcaiola” di qualche magistrato non esiterebbe, infatti, ad interpretare come “profitto” il soddisfacimento di un fine di “risparmio economico”, scevro da qualsiasi implicazione commerciale.

La norma esaminata, oltre ad essere inopportuna poiché inserisce forme di repressione “anticipata”, è inoltre anacronistica e “rara”, in un’epoca – quella dell’accesso, tanto per parafrasare il titolo di un bestseller del 2000 ( ) - in cui molte società regalano addirittura il software ai propri clienti - utenti, preoccupandosi invece di fornire, questa volta a pagamento, dei buoni servizi. Oggi lo fa anche Microsoft, che pure ricopre posizioni di “monopolista predatore”. Non si riesce a capire dunque quali interessi questa norma vorrebbe difendere, se non, probabilmente, quelli di alcune software houses italiane, non ancora in grado di competere con la concorrenza straniera. 

La descritta riforma è, pertanto, oltre che criticabile, di dubbia efficacia; molti programmi di software, soprattutto quelli oggi meno costosi (come il Word 6) verranno distribuiti in omaggio; chiaramente chi duplicherà “senza permesso” programmi messi a disposizione gratuitamente dai produttori non sarà punibile. 
Peraltro, la norma potrebbe risultare di difficile applicazione se solo il consumatore scaricasse, del tutto gratuitamente, da un sito Internet dedicato ai downloads( ),un qualsiasi programma. La stragrande maggioranza del software scaricabile dalla Rete è accompagnato infatti da una licenza d’uso gratuito della durata di 20 giorni. Sarebbe dunque onere eccessivo chiedere all’utente di verificare se il sito download, a sua volta, abbia reperito il materiale informatico su concessione della casa di produzione o a mezzo di riproduzione abusiva. 
Chi può conoscere eventuali accordi tra gestore del sito e software houses, condizioni del mercato “locale”, legislazioni vigenti?
 

22 ottobre 2001

Questa relazione 
è stata tenuta all'Università degli Studi di Lecce, nel seminario “Le Primavere della Giustizia: abolizionismo, diritto penale minimo, globalizzazione”
Manuel Buccarella è presente in rete, tra l'altro, con
la rubrica "Commercio elettronico e trading online" nel sito NetJus

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