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Tutti
i Berlusconi del mondo
Democrazia formale,
deriva neoliberista, utopia negata: riflessioni all'ombra del 13 maggio
Vorrei
evitare di parlare a vuoto ma mi rendo conto che corro questo rischio intendendo
affrontare un tema come il deficit democratico.
Lo faccio gettando lo sguardo sull'Italia e sul voto del 13 maggio: una vicenda che contrappunta la tragedia internazionale con monologhi farseschi nazionali utili a comprendere meglio la gravità della situazione. Cercherò
- senza pretese di certezza né di lucidità - di mettere da
parte il tormento personale di questi giorni elettorali e tenterò
di collocare nel contesto globale anche l'anomalia italiana con il suo
surreale presidente-padrone di tutto.
In
altre parole: quanto è presentabile la democrazia formale cui si
riduce la "gestione" della convivenza nelle nostre società dominate
dalle leggi economiche del profitto e della competizione, interiorizzate
dall'individuo a tal punto da divenire elementi costitutivi della stessa
personalità postmoderna?
La
vasta macchina dell'eterodirezione si autoalimenta e funziona mediante
meccanismi fra loro anche indipendenti, fino ad abbeverarsi alla fonte
dell'individuo frastornato e manipolato, pieno già al suo stesso
interno di devastanti conflitti irrisolti e in buona parte latenti.
Un individuo paralizzato cui le cose vanno di lusso se appena riesce a
vivere un conflitto consapevole e disarmante fra l'idea e il fatto, fra
l'etica universale e il bisogno contingente, fra la tensione ideale e il
possibile/necessario qui e ora.
L'essere
umano omologato, figlio ma anche complice della semina eterodiretta,
potrà, dunque, ragionevolmente ritenersi protagonista di un divenire
storico propulsivo, di un'ubriacatura futurista, di una grande corsa verso
il domani radioso del mercato e della tecnoscienza.
Lo
spensierato homo oeconomicus non s'interroga su tutto ciò, tuttavia
è consapevole di qualche "ragionevole" aggiustamento di rotta necessario
e funzionale a un sistema che dimostrerà di sapersi autogovernare
in virtù del rapporto di mutuo soccorso fra economia e politica
nel nome naturalmente del "benessere" individuale e collettivo (attenti
alle mucche pazze, vigilare sull'ozono, non troppi poveri o disoccupati,
non troppi debiti del Terzo mondo in attesa di esportare anche lì
la nostra rivoluzione eccetera). Ho sentito con le mie orecchie esponenti
forzitalioti o imprenditori fintoalternativi simpatizzare con il "popolo
di Seattle" perché erano posti di fronte alle porcherie delle multinazionali:
il
sistema ha i suoi anticorpi, è in grado di metabolizzare tutto,
anche le contestazioni, riciclandole e neutralizzandone la intrinseca carica
sovversiva.
E allora ogni speranza è perduta? Non è escluso che un "Big Bang" del sistema (sia esso da crisi ecologica profonda o da crack finanziario) possa risvegliare in qualche anfratto della mente umana un immaginario possibile e dunque dare una scossa a un cammino verso l'utopia della libertà e della giustizia. Ma non è detto. Forse qualche passo è possibile, anche senza un accordo qui e ora sui dettagli di un progetto di liberazione (che credo possa ipotizzarsi come utopia federalista di reale democrazia politica ma anche economica e fondata in gran parte sull'autosostentamento della comunità locale e sulla mutua assistenza infra e intercomunitaria; di là dalla faticosa elaborazione dei meccanismi decisionali e gestionali di base, uno dei problemi ostici è la formazione dei bisogni individuali e collettivi con la inevitabile determinazione di scale di priorità/valore cui difficilmente si sfugge anche in condizioni di abbondanza di beni materiali; ma tutto questo, un giorno, qualcuno avrà forse il coraggio di sperimentare strada facendo). Torniamo
allora all'inizio: hanno ragione dunque le forze "progressiste" a voler
sonnecchiosamente governare i fenomeni senza strappi né sussulti
anti-sistemici? No, perché il loro non è un disegno di emancipazione:
è una sconfitta storica, una rilettura leggermente corretta del
progetto dell'avversario, la morte di un'elaborazione teorica alternativa
sia pure paradigmatica.
Qualcosa
di utile si potrebbe seminare, per esempio, nelle scuole, se maggiore fosse
l'attenzione data agli approcci pedagogici e didattici di tipo libertario.
Dalla
scuola all'esercito (e alle guerre!), dal sistema penale alla sanità,
dalla religione al lavoro: in questi anni la "sinistra" non ha fatto nulla
per occupare gli spazi di manovra alternativa. E' stata, al contrario,
buona servitrice dei (dis)valori dominanti, cioè del mercato e dei
suoi meccanismi che ha assecondato fino a catalizzare un mondo di bisogni
indotti e di status symbol significanti dell'esistenza di un individuo
medio.
Tuttavia,
nel conto va messo anche il peso dell'altra politica, quella spontanea
di base con l'impegno diretto e le azioni nonviolente, che potrebbe
essere catalizzata da un quadro istituzionale più "destro" mettendo
così di nuovo in discussione il risultato finale di una legislatura
berlusconiana comparata alle involute evoluzioni della sinistra.
E' deprimente, in questo quadro, osservare che gli elementi sociali e psicologici costitutivi del sistema di dominio gerarchico sono ben radicati all'interno delle stesse istituzioni che avrebbero la pretesa di rappresentare la via dell'antagonismo sistemico. Alla stessa stregua – sull'altro versante - è inquietante ma illuminante rendersi conto che oggi è a tal punto fossilizzata l'interiorizzazione dei valori e dei bisogni indotti che lo stesso governante "impazzito" che facesse scelte oggettive di giustizia e libertà rischierebbe la rivolta reazionaria dei sudditi: quanto resisterebbe in carica un governo che di punto in bianco – cioè senza esserseli "lavorati" prima - chiamasse i cittadini a decidere direttamente su una valanga di questioni o che aprisse le frontiere all'immigrazione nel nome di un sacrosanto rifiuto del principio del sangue e del suolo? La situazione è maledettamente complessa e maligna. Volerne
uscire con qualche ricetta in tasca mi pare onestamente impossibile e per
questo penso sia giusto diffidare di chi vuole farci credere di averne
chiavi in mano, locali, globali e "glocali".
Dovremmo
avere anche la forza di ricominciare a filosofare; di rimettere in discussione
quasi tutto.
Ma
una cosa, a proposito di filosofia e senza andare troppo lontano dalla
politica e dall'economia, possiamo fare sforzandoci solo un po': accendere
la luce nella stanza della morte. Il grande luna park del mercato lascia
regnare il buio fra le pareti dell'oltre e del nulla; la morte dimenticata,
quasi non esistesse. Un esercizio di rimozione utile a togliere di mezzo
il dubbio/angoscia esistenziale e soprattutto l'idea del limite: la vita
non ha limiti, l'uomo non ha limiti, il profitto non ha limiti ed è
lo strumento per conquistare la felicità terrena.
(Zenone
Sovilla)
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o | (11
maggio 20001)
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