di
LUCIANO LOCCI
La
Shoah è avvertita nel glorioso cammino della civiltà Occidentale
come uno strappo violento che mette in discussione certezze ormai
acquisite. A subire il più duro colpo fu in primo luogo l'idea di
aver edificato un mondo progredito, civile, stabile conquista della borghesia
e del capitalismo europeo, eredi della civiltà illuministica.
Per molti intellettuali
del '900 lo sterminio degli ebrei costituisce uno shock storico,
che stravolge la visione della realtà, l'idea di storia, di civiltà
e di cultura. Niente può essere come prima, dopo la Shoah: è
posta in discussione la credibilità stessa della società
borghese, ma anche la "funzionalità" civile della cultura stessa:
"Auschwitz ha dimostrato il fallimento della cultura (...) tutta la cultura
dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura"
(T. W. Adorno, La dialettica negativa, Torino, Einaudi,1975, p. 328).
Anche
alcune categorie morali crollano, non possono essere più le stesse
dopo l'Olocausto. Come dice Beckett in Fine di partita, "ormai non c'è
più niente da temere": "la morte stessa è stata strappata
all'individuo, attraverso "l'assassinio burocratico di milioni di persone";
non c'è più alcuna possibilità che essa rietri nella
vita vissuta dei singoli come qualcosa che concordi con il suo corso. L'individuo
viene spossessato dell'ultima e più misera cosa che gli era rimasta"
(T. W. Adorno, La dialettica negativa, cit., p. 329).
In misura maggiore rispetto
alla catastrofe di Hiroschima, la Shoah si presenta agli occhi delle generazioni
che nacquero dopo quegli orrori, come un evento impensabile: un'assurdità,
un tumore, un cancro nel progresso della società Occidentale, razionale
e progredita.
Nell'opera di
Elie Wiesel è la stessa possibilità della Fede ad essere
posta in discussione: ancora una volta l'Olocausto è causa di una
frattura, di uno strappo intimo e profondo. In una delle sue opere più
note, La notte, la crisi della fede dovuta all'immane tragedia dell'Olocausto
è espressa in tutta la sua drammaticità. Wiesel descrive
la morte di Dio nella sua giovane anima, animata da una fede profondissima.
Dinanzi all'orrore la fede s'incrina; ad Aushwitz la rivolta
metafisica di Wiesel prende forma. Dopo la tragica selezione effettuatada
Mengele, la fede del giovane Wiesel s'incrina: "(...) Per la prima volta
sentii la rivolta crescere in me. Perché dovevo santificare il Suo
Nome?L'Eterno, il Signore dell'Universo, l'Eterno Onnipotente taceva: di
cosa dovevo ringraziarlo?"(E. Wiesel, La notte, Giuntina ed. 1980, p. 39).
Quella triste vicenda ispira
a Wiesel quasi una sofferta preghiera "maledetta, di rinuncia ad ogni possibilità
di Fede:
"Mai dimenticherò
quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una
lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò
quel fumo.
Mai dimenticherò
i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in
volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò
quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò
quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio
di vivere.
Mai dimenticherò
quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i mie isogni,
che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò
tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.
Mai." (E. Wiesel, La notte, p. 40).
In Wiesel L'Olocausto è
un'intima frattura, un violento strappo metafisico; la Shoah ha ispirato
l'alta letteratura del '900 e due straordinarie poesie "antiteiste"e blasfeme:
quella di Levi, che apre Se questo è un uomo, e questa di Wiesel,in
cui la rivolta metafisica viene enunciata in tutta la sua drammaticità.
In molta della letteratura
"concentrazionaria" del '900, la Shoah è rappresentata come atto
irrazionale, oscuro, folle, come ferita violenta, come strappo e rottura.
***
Ma occorre prestare
attenzione ad una lettura della Shoah in termini di eccezionalità
e di assurdità, poiché una tale impostazione critica
talvolta rischia di precludere la comprensione di ciò che l'Olocausto
è stato nella storia e impedisce di coglierne, forse, il suo
più profondo monito.
Per comprendere
veramente l'Olocausto, occorre riflettere sulla normalità del male,
sulla sua probabilità, all'interno di una società che, nelle
sue strutture fondamentali, non è troppo distante da quella occidentale
ai tempi della Shoah.
In particolare, occorre
aiutare le nuove generazioni ad una più profonda conoscenza della
tragica possibilità della Shoah. Esse vivono in un momento storico
in cui si affermano con rapidità le letture semplicistiche e sensazionalistiche.
Si pensi, ad esempio, alla lettura del fenomeno promossa dal film Shindler's
list; il comandante del campo di sterminio è rappresentanto
come un esaltato, come un alcolizzato, un individuo anormale. Il nazista
è un folle, dunque un anormale.
Ma com'era un
vero capo di campo di concentramento? Bisognerebbe allora leggere la lunga
intervista di Gitta Sereny al comandante di Treblinka, Stangl. Sopratutto
occorrerebbe chiedersi chi era Stangl prima di divenire il capo del campo
di sterminio di Treblinka e che cosa rese Stangl un carnefice.
Dalla lunga
indagine ed intervista compiuta da Gitta Sereny in quest'opera si comprende
che i comuni mali dell'uomo qualunque resero Stangl un carnefice. E proprio
in quanto uomo qualunque, normale, non essere domoniaco, Sereny lo condanna
sin dalla prima pagina del suo lavoro, che si apre con una stupenda fantastica
citazione di Origene: "Il potere di scegliere fra il bene e il male è
alla portata di tutti". Assunto nella Polizia, Stangl fece presto carriera:
"Mi ero appena sposato. Per la prima volta avevo una casa veramente mia.
Tutto ciò che volevo era semplicemente chiudere la porta e starmene
con mia moglie. Ero pazzo di lei. Davvero, la politica non m'interessava.
So che adesso sembra strano, ma non era così. Ero semplicemente
un poliziotto che faceva il suo lavoro" (...) " A quell'epoca - continua
Stangl -tutti eravamo simpatizzanti del partito nazista. Non intendo soltanto
quelli che facevano il corso con me alla polizia, ma la popolazione in
generale"(Gitta Sereny, In quelle tenebre, Milano, Adelphi, p.39).
Stangl è un poliziotto
che cerca di fare carriera, che ha paura dei superiori, conformista nei
confronti dei principi e degli stereotipi razzisti diffusi in Austria e
in Germania in quel tempo. Precisa la Sereny: "Per un uomo come Stangl,
quale che sia il suo atteggiamento religioso, la Chiesa ha un enorme significato,
in quanto simbolo di rispettabilità e di status sociale. Allo stesso
modo, un documento ufficiale è cosa della massima importanza" (Gitta
Sereny, op.cit., p. 49). Stangl è dunque un uomo che vive nel timore
di Dio e delle leggi; l' essere ligio al suo dovere , le sue ambizioni
di carriera, lo resero il miglior candidato per il Programma di Eutanasia
presso il Castello di Hartheim.
Il Programma
di Eutanasia prevedeva l'eliminazione di tutti i pazienti anziani o soffrenti
di infermità mentali, dei pazzi criminali, di chi era ricoverato
da più di cinque anni, ricoverati di origine straniera, inabili
al lavoro. Il Ministero dell'Interno inviava un questionario a tutti gli
ospedali psichiatrici e contrassegnava con un "più" (vita) o con
un "meno"(morte) ciascun nominativo. Alle famiglie si comunicava che il
paziente era morto per arresto cardiaco, o per qualcosa di analogo.
I capi di numerosi
campi di sterminio vennero selezionati in base alla valutazione dei loro
precedenti nel Programma di Eutanasia. Tra questi troviamo Franz Stangl.
Sereny ci ha insegnato con
il suo lungo e faticoso lavoro l'elementare possibilità della Shoah,
non l'eccezionalità del carnefice, ma la sua "normalità".
***
C'è
un'intera Europa razzista e xenofoba alle spalle di un evento quale l'Olocausto.
Per poter operare, un campo di sterminio aveva bisogno di una rete di servizi
; le popolazioni limitrofe non potevano non sapere dell'Olocausto. Il campo
creava attorno a sé un indotto di attività, interagiva con
l'economia del centro limitrofo.
Molti fecero
finta di non vedere. Nel campo di sterminio di Chemlo, in Polonia, gli
ebrei venivano uccisi in speciali camion in cui venivano convogliati i
gas di scarico. Racconta una testimone:
"Rovina i nervi
vedere queste cose tutti i giorni. Quando gli ebrei arrivano, quando li
spingono nella chiesa o nel castello... E quelle grida, è terribile!
Deprimente! Gridavano. Si rendevano conto di certo" (C. Lanzmann, Shoah,
Rizzoli Milano 1987, pp. 97 -100)
Al castello
di Hatheim i corpi delle persone eliminate con il programma di eutanasia
venivano cremati. Ecosì la gente del vicinato soffriva per la puzza
tanto da dover sigillare le finestre: "Ciuffi di capelli volavano dalla
ciminiera fin sulla strada, resti di ossa venivano ammonticchiati sul lato
est del castello e dei camion li trasportavano a tonnellate prima al Danubio
e in seguito anche al Traun (...)" (G. J. Horwitz, All'ombra della morte,
Marsilio, Venezia, 1994 pp.83 -85).
Il campo di concentramento
era luogo di ottimi affari. A Mauthausen, uno dei più famosi
Lager nazisti, c'erano degli intensi rapporti commerciali tra il campo
e il paese; i commericanti locali s'arricchivano con i rifornimenti
e i servizi: la costruzione dei letti, le quotidiane razioni di provviste,
bicchieri e scodelle, disinfettante. Quando era indispensabile, erano ditte
specializzate nella disinfestazione ad intervenire nel campo. La fabbrica
di disinfettanti di Linz fu fornitrice del Zyklon -b composto mortale utilizzato
nelle camere a gas. Progetti pubblici vennero realizzati con l'apporto
dei deportati ed i privati potevano attingere alla manodopera del campo.
Eppure la popolazione si impegnava "nella raccolta di indumenti in
occasione della beneficienza invernale, nella costruzione di giocattoli
per gli orfanelli a Natale (...).Gli abitanti erano incoraggiati a costruire
durante l'estate, piccoli rifugi per gli uccelli, in modo che, con l'arrivo
dell'inverno, i passeri potessero rimanere mostrando alla cittadinanza
il loro gioco di ali e il loro adorabhilemodo di azzuffarsi l'un l'altro
presso la ciotola del mangime"(G. J. Horwitz, All'ombra della morte, cit.,
pp. 60 e 64).
E' di fondamentale
importanza sapere e ribadire che l'Europa dell'Olocausto è un'Europa
connivente col massacro, cinicamente indifferente. "La Chiesa cattolica,
Vaticano compreso, conosceva i progetti di Hitler a proposito dell'eutanasia,
prima che il programma avesse inzio" ( Gitta Sereny, op. cit. p. 80)
***
Un altro rischio
che si corre nel discutere della Shoah è la comoda sensazione che
essa sia qualcosa di estraneo alla nostra storia italiana, che costituisca
un orrore riguardante altri carnefici e altre vittime.
Come è noto, anche
noi abbiamo avuto la nostra parte nell'Olocausto, e non solo nella veste
di vittime: si dimentica molto spesso che la Shoà vede l'Italia
fascista nella veste di carnefice a partire dal 1938, anno della diffusione
delle leggi antisemite in Italia.
Noi oggi ci scandalizziamo
perché la ditta che produce i forni crematori non cambiò
nome dopo la caduta del nazismo. Ebbene, la FIAT, che si arricchì
al servizio dell'industria bellica nazifascista, fu responsabile, dopo
l'8 settembre del 1943, della deportazione di più di 200 operai,
che si opponevano alla barbarie del nazifascismo; e non si degnò
affatto di mutare il suo nome dopo la caduta del regime e ancora oggi lo
porta.
E gli esempi si potrebbero
facilmente moltiplicare, perché tutta la grande impresa italiana,
molta della quale è tuttora esistente, fu profondamente collusa
col fascismo e desiderò fortemente il fascismo.
***
Pensare
la possibilità della Shoah è scomodo, perché significa
potersi ancora spaventare, averne ancora timore; riflettere sulla possibilità
storica della Shoah, oggi, può consentire di leggere e di comprendere
certe manifestazioni del presente, di "attualizzare" quest'evento e di
trarre la più profonda lezione, valida per l'oggi.
Se la Shoah non è
una cancro nella storia ma è storia, se non è stato un momento
di irrazionalità, di follia, di una società civile produttiva,
positiva, razionale, tecnologizzata quale quella elaborata dall'Occidente
capitalistico, significa che qualcosa di analogo all'Olocausto, che abbia
lo stesso fondamento, che tragga sostanza della stessa linfa, è
uno dei possibili prodotti della civiltà Occidentale nella quale
noi viviamo. E' un'affermazione scomoda ma doverosa.
Perché
Primo Levi ha, tra le tante letture possibili, invitato il lettore di Se
questo è un uomo a rileggere la sua esperienza come un monito
contro la xenofobia, contro i rischi legati allo stereotipo negativo dello
straniero?:
"A molti individui
o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente,
che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione
giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo
in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di
pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma insespresso diventa
premessa maggiore di un sillogismo, allora la termine della catena, sta
il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata
alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione
sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di concentramento
dovrebbe venire intesa datutti come un sinistro segnale di pericolo".
(P. Levi, Se questo è
un uomo, Einaudi, Torino, 1989, p. I)
Evidentemente questo per
Levi, fin dall'epoca della sua liberazione, era il nocciolo della
Shoah, qui risiedeva il suo più profondo insegnamento, il più
profondo monito. Lo stereotipo negativo dello "straniero/nemico" costituiva,
a suo parere, la linfa vitale della Shoà.
I germi della
Shoah vivono ancora oggi nella nostra società; l'infezione latente
non è mai stata del tutto debellata; al contrario, mai come oggi
lo stereotipo dello straniero / nemico dilaga; Clandestini, la nostra
fine! recitano alcuni manifesti di noti partiti politici della vostra
terra; no alle coppie omossessuali! Circa otto anni fa avevano cominciato
la loro ascesa con lo slogan meglio un extracomunitario di un meridionale;
e l'anno scorso il sindaco di Cernusco sul Naviglio ha offrì una
mancia a colui che si sarebbe reso disponibile a cospargere di liquame
un campo nomadi sorto ai margini della sua città.
Non è
possibile non alludere alle gravi responsabilità del mondo politico,
perché oggi come allora sono diverse forze politiche, espressione
di precisi strati sociali e di specifici interressi, a fomentare razzismo
intolleranza e xenofobia.
Il nazismo e il fascismo
si affermarono in un momento di crisi della percezione dei valori democratici
nella sociètà civile; ma quale ruolo ebbero, le menzogne
e le calunnie sugli ebrei ? Quale il ruolo degli stereotipi negativi dell'ebreo
prima della Shoà? Questo è di vitale importanza comprendere:
che cosa è accaduto prima? Quali pregiudizi, quali stereotipi e
con quale virulenza si affermarono?
Perché
la Shoah potesse essere possibile, occorreva distruggere certi valori,
demolire l'uomo. E prima del Lager, l'ebreo e lo zingaro, il comunista
erano già stati relegati ad una condizione subumana dalla propaganda
nazista.
Anche nel Lager il processo
è analogo: Levi ci spiega che occorre demolire l'uomo prima di eliminarlo;
occorre poter uccidere un colpevole, un essere che ha la vaga parvenza
dell'uomo, ma non è un uomo.
Se si studiassero a fondo
i meccanismi della propaganda nazista, si scoprirebbe che la fortuna dei
pregiudizi razziali è legata, ad esempio, alla diffusione
di un testo che circolava con il titolo di Protocolli degli anziani di
Sion; stampato nei paesi dell'Est, dove forte era l'antisemitismo, privo
di autore, venne ristampato a Pietrogrado nel 1905 con il seguente
sottotitolo: Dove è la radice degli attuali disordini della società
in Europa e specialmente in Russia.
Allora si individuavano
negli ebrei e negli zingari le cause di tutti i mali; oggi qualcuno grida
"clandestini la nostra fine!"
I Protocolli
degli anziani di Sion, ristampato infinite volte, si diffuse in Europa,
dove veniva spacciato per copia autentica dei Verbali dell'incontro dell'unione
mondiale dei massoni e degli anziani di Sion, a cui qualcuno aveva avuto
accesso e - fortunatamente - reso pubblici. Quei verbali rivelavano il
piano segreto attraverso il quale gli ebrei, uniti potenti lobby massoniche
e comuniste, intendevano conquistare il potere mondiale. Il piano ebraico
prevedeva le agitazioni delle classi lavoratrici, la creazione di tensioni
tra gli stati, il controllo dell'economia attraverso la concentrazione
finanziaria, con la conseguente rovina dei piccoli imprenditori; l'indebolimento
della moralità del popolo, tramite la propagazione dell'ebraismo
ma anche dell'ateismo e del materialismo.
L'antisemitismo
nazifascista faceva perno sulle incertezze che la società, che viveva
una magmatica e violenta trasformazione: la classe operaia e le sue rivendicazioni,
le trasformazioni finanziarie, la diffusione di nuove ideologie.
Gli ebrei erano responsabili
di gran parte delle angosce del secolo: le tumultuose masse operaie, il
materialismo, i monopoli finanziari.
Impressionante
la somiglianza tra le argomentazioni dei Protocolli di Sion - forse il
più potente degli strumenti della propaganda antisemita e sicuramente
uno dei massimi responsabili, a livello propagandistico della diffusione
dello stereotipo negativo dell'ebreo prima del Lager (ma senza la virulenta
fortuna di quello stesso stereotipo, forse il Lager non sarebbe esistito...)
- e le argomentazioni usate oggi, anche in Italia, da partiti, uomini politici
e addirittura da religiosi.
Gli islamici vengono accusati di tramare per la conquista del mondo: occorre
distruggere le loro moschee, occorre cacciarli via dall'Europa. I clandestini
e gli immigrati in genere vengono accusati, tra l'altro, di essere la causa
della violenza criminale che angoscia la società.
Sottovalutare
la gravità di questi pensieri, condannarli con poco vigore sarebbe
un errore perché molte persone in Italia credono in queste incitazioni.
Il Lager, la
sua sostanza ideologica fatta di xenofobia di paure e di intolleranza,
non necessariamente la sua forma storica, il suo edificio fisico, è
ancora tra di noi. Certo, questa lettura può essere spiacevole e
scomoda. Allora proprio la Shoah, vista purtroppo e con disincanto, non
come "tumore" ma come possibilità storica mai scongiurata del tutto,
ci insegna a leggere e a chiamare con il loro giusto nome certi fenomeni
politici. E ci insegna ad averne timore.
Cambiano volto
i capri espiatori, mutano il colore della pelle e le terre di provenienza,
ma la sostanza rimane identica: oggi tocca allo straniero clandestinizzato
e criminalizzato, all'"irregolare", (ecco, già nel linguaggio, negli
appellativi, quel processo di demolizione del suo status di piena umanità...)
il drammatico ruolo di catalizzare le ansie, le incertezze, le nevrosi,
le angosce, il vuoto di valori della società italiana ed europea,
così come allora spettò agli ebrei.
Questa scomoda
lettura della Shoah ci dice che la società occidentale, il capitalismo
avanzato dell'era postfordista e globalizzata, non si è affatto
liberato dell'"infezione latente", ed è oggi più che mai
a rischio di civiltà e di democrazia.
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