|
inchieste
|
"Basta campi e isolamento:
si cerchino altre strade, nuovi incontri..."
Parla Il musicista sinto Vittorio Mayer:
il sogno di libertà, le persecuzioni nazifasciste,
le deportazioni dell'olocausto dimenticato,
le emergenze del dopoguerra fino ai ghetti d'oggi
Vittorio, cominciamo col chiarire un dubbio: quali sono le differenze fra Rom e Sinti? Sia i Rom che i Sinti fanno parte di uno stesso popolo, gli zingari. I Sinti, però, hanno percorso soprattutto l'Europa Occidentale mentre i Rom l'Europa Orientale. C'è un po' di differenza nella lingua, anche se sostanzialmente è la stessa, perchè sia gli uni che gli altri hanno assimilato alcune caratteristiche linguistiche legate ai luoghi dove sono vissuti. Si possono trovare sinti in Italia, Francia, Germania e quindi si differenziano di stato in stato, ma poi anche di regione in regione, per cui i sinti veneti si distinguono da quelli dell'Alto Adige, che siamo appunto noi. Io sono nato ad Appiano nel 1927, perchè i miei hanno sempre girato in questa regione. Mia nonna era tedesca, mio nonno siciliano emigrato in Germania. Hanno sempre vissuto nel tirolo anche perchè la nonna non parlava bene l'italiano. Qui avevamo casa nostra. Io e i miei fratelli siamo tutti nati nei dintorni di Bolzano. Io sono nato in una stalla, perché la donna che doveva partorire, secondo la nostra tradizione che risente degli influssi orientali, veniva considerata impura; quindi veniva isolata; ancora adesso i sinti mantengono spesso questa tradizione; anche quando la donna partorisce in ospedale, tutto ciò che lei ha toccato viene bruciato, o usato. Che cosa
ricordi della tua infanzia trascorsa in Alto Adige?
Noi ci spostavamo
spesso nel territorio dell'Alto Adige. Una volta la gente del tirolo non
era come quella di adesso. Eravamo rispettati. Io avevo tanti amici. In
questa zona c'eravamo solo noi, eravamo i veri signori del tirolo. I sinti
non venivano mai a Bolzano perchè non avevano dimestichezza con
la lingua tedesca . La mia famiglia che allora era molto numerosa: sette
zie da parte di mia madre, sposate con figli e più i parenti di
mio padre. La vita che si viveva allora era diversa. Non c'erano pregiudizi.
"Amico dei partigiani" Ma i sinti si
ribellarono a questa iniziative e con loro si schierò la regina
Elena di Montenegro, simbolicamente considerata la nostra regina; lei fece
una petizione in nome dei diritti della cultura zingara. Ma negli anni
Quaranta, con l'inizio delle persecuzioni naziste, divenne difficile vivere
anche nella nostra terra. Siamo stati internati. Mio padre non ha mai fatto
politica, noi siamo apolitici. Ci internarono a Castel Tesino, in
Trentino. E l'8 settembre del 1943 la mia famiglia fu deportata da Castel
Tesino. Io in quel momento non mi trovavo a casa. C'erano già i
partigiani.
Dove furono deportati i tuoi familiari? E tu nel frattempo come vivevi? Furono prima portati al campo di via Resia a Bolzano. Io invece ero uno "sbandato"; sono stato con i partigiani in val di Non. Finita la guerra mi volevano tenere lì, nella polizia partigiana:ma io sono sinto e non sono fatto per quelle cose. Allora mi hanno rilasciato un tessserino che mi permetteva di avere assistenza in tutti i centri partigiani che c'erano allora. Io giravo e per mesi e mesi dopo la guerra non ho trovato alcun sinto. Ero solo e sbandato. Finalmente sono tornato a Feltre, in provincia di Belluno, in un centro di assistenza per partigiani e mentre stavo parlando con una ragazza che era senza un braccio perché i tedeschi gliel'avevao amputato, sono arrivati quattro vecchi partigiani in divisa,con le barbe lunghe; da uno di questi sono venuto a conoscenza di una parte di storia della mia famiglia che non sapevo. Lui, il professor Lino Bertorello di Belluno, infatti era stato in carcere a Trento con mio padre Enrico e mio fratello Pio. Ma lui mi aveva scambiato con mio fratello. Pensava che fossi Pio, quello che era in carcere con lui. "Quando mio padre riuscì a sfuggire ai nazisti" Sono poi andato con lui il giorno successivo a Bolzano. Ma non c'era più il campo, perché i tedeschi avevano portato via tutti. Io però volevo cercare. Quando li ho ritrovati la mia famiglia era dimezzata. Molti erano stati deportati in Germania, le mie zie i miei cugini, morti nei lager. Mia madre è morta durante l'internamento. Al campo di Bolzano c'era anche una donna, l'amante di un comandante nazista. Poichè lei non voleva donne e bambini al campo e mia madre aveva un bimbo di sei mesi, il comandante è andato da mio padre ha preso la mia famiglia e gli ha spediti al comando delle Ss a Verona, con una lettera. Ma mio padre arrivato a Domegliara è riuscito a scendere e a portare con sè mia madre e i miei fratelli ed è rimasto sulle montagne assieme ai partigiani fino alla fine della guerra. Assisteva i partigiani e le mie sorelle più grandi medicavano i partigiani. Noi non abbiamo neanche mai cercato la vendetta: pensa che negli ultimi giorni di guerra mi capitò di incontrare dei giovani repubblichini di Trento che tornavano dalla Lombardia e addirittura li avvisai di evitare i sentieri in un dato bosco, perché lì avrebbero trovato i partigiani e rischiato il processo immediato e l'esecuzione. No, niente vendette. Come siete usciti dalla guerra? Ci siamo ritrovati:
nudi e crudi come erevamo, senza diritti. Siamo quelli usciti più
malamente dalla guerra, perché siamo passati nel dimenticatoio.
Dopo la guerra si è parlato molto degli ebrei ma degli zingari no.
Per di più c'è stato il referendum nel 1946. Io sono stato
sempre educato anche alla politica, avevo amici comunisti, anarchici mi
sentivo vicini a loro perché predicavamìno la libertà
e l'uguaglianza. Noi siamo tutti anarchici, pacifici. Noi non avevamo nessun
diritto. Io credevo in un Italia più bella, senza violenza. Non
avevamo nemmeno diritto al voto. Noi in italia siamo sempre vissuti da
clandestini. Io, mio padre mio nonno avevamo carta di identità con
cittadinanza italiana ma eravamo clandestini. Non avevamo nessun diritto
ma solo il dovere di fare il militare. Nel 1956 uno dei miei fratelli a
Peschiera ha rischiato di essere arrestato perché non avevva fatto
il militare. Ma nessuno l'aveva chiamato. Poi è subentrato don Bruno
Nicolini attualmente presidente nazionale dell'Opera Nomadi, che ha cominiato
ad avvicinare gli zingari. Ha fatto catechismo fra di noi, ha fatto scuola
sui prati ai sinti. Lui si è fatto avanti assieme a Mirella Carpatti
affinché venissero riconosciuti i nostri diritti. Anche noi alla
fine degli anni Cinqanta abbiamo avuto il diritto al voto.
Qual è la situazione attuale dei sinti? Sicuramente
le condizioni dei sinti sono peggiorate con il progresso perché
un tempo i sinti che hanno girato tutto il mondo erano anche più
rispettati; venivano tenuti in considerazione per quello che erano e sapevano
fare. Ho sentito delle storie che fanno rabbrividire. Certo è che
qualche zingaro si è anche abbruttito attraverso i contatti. Il
campo suona male anche come voce. Campo per noi significa qualcosa di doloroso
che ha un legame con la nostra storia più triste. Dopo che si è
lottato per i bambini a scuola, per il voto e per avere libretto di lavoro,
non è possibile che ci sia chi è costretto ancora al ghetto.
Una volta eravamo giostrai, stagnini, ombrellai, musicanti, mercanti di
cavalli, cestinati, commedianti, Così fino agli anni Cinquanta.
Poi abbiamo dovuto adattarsi ai tempi moderni e non eravano preparati a
quasto nuovo modo di vivere; in più ci mancava il libretto di lavoro.
Ora, nei campi si mette la gente in isolamento; a me non piacciono queste
etichette; c'è poi il proibizionismo: gli zingari hanno sempre girato
e girano ancora ma con le loro roulotte non si possono fermare da nessuna
parte; arrivano i carabinieri e li mandano via. Lo vedo qui a Riva del
Garda: quando arrivano i turisti nessuno li allontana, ma gli zingari sì.
Ma che male fanno?
"L'isolamento è deleterio" Noi zingari
abbiamo sofferto ogni sorta di angheria ma abbiamo sempre amato la pace,
Né mio nonno né mio padre sono eroi; suonavano la chitarra,
non andavano in giro con il fucile. Anche i campi da queste parti, come
quello di Ravina a Trento, sono isolati; una comunità emarginata
e trascurata anche dal punto di vista igienico. Se isoli un gruppo di persone
non può che nascere qualcosa di negativo; i nostri ragazzi, stando
fermi, hanno il tempo di riflettere, di pensare. E i loro contatti sono
molto limitati: chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Quando ci si sposta
non si ha il tempo di legare con realtà negative; da noi non ho
sentito casi di droga, ma non è detto che non succeda; ma non è
colpa degli zingari ma di chi li ha isolati; io li ho visti in città,
ho un centinaio di nipoti e vedo certi pericoli; sono piaghe sociali che
non si voglioni eliminare e quindi la delinquenza si crea così,
perché a qualcuno frutta. Del resto se non ci fossero i poveri
non ci sarebbero i ricchi...
Chi ha progettato il campo nomadi di Trento? Il campo non era stato progettato così; gli intenti erano altri; io, ad esempio che sono stato interpellato assieme a Traudi De Concini. Lo vedevo più come un campeggio, un luogo di scambio, di confronto. Un campo solo per i residenti locali; ma non è così; lì c'è un via vai di persone, non c'è controllo; poi è nascosto, lontano dal mondo. In ogni caso un campo non va bene. Tu cosa proporresti? Niente campi. E' un popolo particolare quello dei nomadi; nemmeno io vorrei abitare in una casa, a volte mi sento stretto; sento il bisogno di muovermi, di incontrare la gente, di parlare, di crescere; se tu mi regalassi una baracca nel bosco mi faresti felice. Facciamo un abitato che abbia un'affinità con la psicologia dei sinti, che hanno anche bisogno di cielo, di natura, di libertà; e poi in ogni caso non più di due famiglie per parte; non troppo unite; si devono mescolare con la popolazione; perché i miei figli devono inerirsi con la realtà dove vivono, avere degli scambi con altri non solo fra di loro. Ma allora come fate a preservare la vostra cultura? Ciascuno è
quello che è. La nostra cultura è la lingua. Io mi sento
attaccato a questo ambiente perché sono nato qui.
Amore per la musica poesia: da dove ti viene... Gli zingari
da sempre hanno suonato. E' tipico dei popoli primitivi; dove c'è
miseria si canta e suona. Io suono la chitarra cercando di comunicare
e scrivo per dire ciò che ho dentro, per confrontarmi col il mio
cuore. Ho cominiato a scrivere in sinto ma questa lingua non ha alfabeto,
la nostra è una cultura orale.Scrivo in sinto usando i caratteri
tedeschi. Uso le forme tedesche; poi ho deciso di scrivere in italiano
usando un linguaggi semplice, povero: quel che conta è il concetto.
Io ho un amico, il presidente delle minoranze etniche in Europa, che mi
ha sempre incoraggiato a scrivere. Con lui abbiamo tradotto il vocabolario
della lingua sinta.
Ti senti vicino alla filosofia indiana? Sì, forse
per eredità. Per le origini lontane. Sono più vicino ai poeti
che appartengono ai poveri, che cantano la natura, la libertà, l'amore.
Nella tua cultura la donna che ruolo ha? La donna è
donna. I sinti dicono che la donna sia stata creata prima della creazione
di tutte le cose. La donna ha un grande significato nella vita umana solo
che la donna ha la sua funzionalità, io son un po' antico, deve
anche continuare la specie. Deve essere libera ma penso anche che debba
amare qualcuno.
Altri capisaldi della tua eredità che vorresti venissero salvati perché ti hanno dato tanto e possono ancora dare tanto? Certamente ci
sono delle cose da salvare, cose che potrebbero emergere attraverso l'istruzione,
perché se si studia si riesce ad esprimere meglio se stessi, quello
che c'è dentro, quella ricchezza che altrimenti non viene fuori:
l'amore verso la musica la poesia, va avanti, l'amore verso la natura.
Fin che lo zingaro ama la libertà e la pace, lo zingaro sarà
sempre una persona diversa dagli altri; bisogna sradicare nell'uomo l'ambizione
e l'egoismo. Che divide le persone. Distrugge il tuo essere.
|
o |
Nonluoghi
ha incontrato Vittorio Mayer Pasquale, un musicista Sinto che vive
nella zona del lago di garda e suona in un gruppo trentino di musica etnica
(naturalmente, anche zingara), che ha avuto in eredità dal suo popolo
l'amore per la libertà,
(13 aprile
2000)
"Noi
zingari abbiamo una sola religione: la libertà
E noi
crediamo che in quel momento
E'
difficile capire queste cose, lo so.
La
nostra è una vita semplice, primitiva.
Deportazione "Cielo
rosso di sangue,
Vittorio
Mayer Pasquale Vai
al sommario
|
|
|
i percorsi |
|
|
|
|
|
|