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pensieri

Il caro-benzina, la società dei motori e la resistenza civile
A proposito dei boicottaggi per far scendere  i prezzi. Non è meglio ridurre i consumi?
 

di TVIL

  Se davvero fosse ipotizzabiile una mobilitazione generale sul tema dell'auto, c'è un'idea forse più dirompente degli accordi fra consumatori, proposti in questi giorni con catene via Internet, per influenzare al ribasso i prezzi della benzina (boicottare un gruppo di compagnie per costringerle ad abbassare i prezzi, dopo di che fare lo stesso con le altre e così via per innescare con questo andirivieni selettivo dei consumatori un meccanismo al ribasso).

   L'idea che mi pare più interessante è la nascita di una forma di resistenza civile coordinata a livello nazionale: non usare più l'automobile per gli spostamenti rilevanti nel contesto socioeconomico, come il trasporto casa-lavoro. Se attuata come forma di disubbidienza civile, con i rischi che ne conseguono, questa lotta potrebbe mettere a nudo - non certo scardinare - i meccanismi di sottrazione del tempo (per non dire del pensiero e dell'identità individuali e di gruppo) che ci costringono a fare la coda alle pompe di benzina. Pensare che il problema sia il malfunzionamento dei flussi di produzione di greggio o del regime di concorrenza nella distribuzione mi sembra ingenuo e anche fuorviante dato che non affronta il problema principale: la necessità di bruciare meno carburante e di spostarsi (vivere) in modo meno nevrotico. Senza contare che non si può escludere che il risultato più immediato di un siffatto boicottaggio possa essere paradossalmente un ulteriore aumento del prezzo relativo, quello praticato dal gruppo che vedrebbe crescere all'improvviso la domanda (e chepotrebbe alzare i prezzi magari nell'ambito di un accordo di salvataggio del cartello contro gli anti-cartello...), mentre un calo generale dei consumi avrebbe un effetto al ribasso più probabile oltre a innumerevoli altri riflessi sull'organizzazione della convivenza.

   Inoltre, è statisticamente dimostrabile che all'aumento della concorrenza - posta
la permanenza dell'obiettivo purtroppo al momento ovvio della massimizzazione dei
profitti d'impresa - la corsa alla diminuzione dei prezzi si sostanzia in una gara selvaggia al trasferimento massimo dei costi di produzione all'esterno dell'impresa, cioè sulla collettività. E anche nel caso della benzina e delle auto è facile immaginare gli innumerevoli modi in cui costi di produzione possono diventare costi sociali - cioè pagati da tutti anche monetariamente - in termini di inquinamento malattia e morte nonché di sicurezza collettiva, senza contare i probabili giri di vite sulle condizioni di lavoro nelle imprese in questione.

   La resistenza civile del rifiuto dell'auto, se ben coordinata e con una buona adesione sociale, porterebbe alla luce e renderebbe percepibili questa e altre contraddizioni di un sistema economico (ben supportato dal politico) che va avanti alla sua velocità e secondo le sue regole fredde ricattando le singole persone senza volto che sono costrette ad animarlo perché chi si ferma è perduto e poco importa che molti comincino a chiedersi che senso abbia questo correre, perché correre devono comunque se voglio mantenere lo standard di vita fra telefonini e grattaevinci. Insomma, il semplice rifiuto delle modalità del muoversi - se attuato come forma massiccia di protesta civile - potrebbe aprire scenari inaspettati, una sorta di contestazione de facto del modello di sviluppo

  Questa, come forse è evidente, è soprattutto una piccola provocazione teorica, perché credo fra realismo e pessimismo che come impraticabili nella realtà siano gli acccordi anticartello fra i consumatori, poche siano le possibilità di coordinare veramente una resistenza civile all'automobile. Ma immagino che quest'ultima proposta, più radicale, abbia più carica attrattiva su noi tutti smarriti del 2000 e, se attuata veramente da un numero significativo di persone e gruppi, possa mettere a nudo ai vari livelli le contraddizioni, i conflitti di interesse, i meccanismi del sistema della competizione selvaggia e dunque favorire processi di ridefinizione delle regole dell'economia stessa (e non solo).

  Tutto teorico, ovviamente. Ciò non toglie che lasciare a casa la macchina, usare i mezzi pubblici, i piedi o la bici per gli spostamenti individuali economicamente più rilevanti (e magari arrivare TUTTI in ritardo al lavoro per vedere l'effetto che fa) possa servire ad accelerare il processo di formazione di una coscienza civile non tanto sul prezzo della benzina, quanto sui meccanismi economici generali che regolano questo e altri fenomeni (tra l'altro, in qualche caso - penso alle città inquinate -  se la benzina costasse il triplo forse un po' di più pigroni macdonaldizzati userebbero mezzi più sani per loro e per gli altri, cosa certamente importante anche se questa è solo una divagazione sugli stili di vita, di là dai ben più seri problemi sistemici). 

  Allora, ridurre al minimo l'uso delle auto private; lavorare alla diffusione delle informazioni sui loro costi sociali (malattia, morte, inquinamento di varia natura: in Italia 4 milioni di lire procapite, nel 1997, secondo l'ultimo rapporto degli Amici della terra, cioè una dozzina di milioni per nucleo famigliare: allora il prezzo della benzina diventa relativo); insistere con le pressioni anche negli ambiti decisionali in favore dei trasporti meno dannosi (ferrovia, piste ciclabili, tram, autobus); creare informazione di denuncia sul sistema impazzito del trasporto spesso inutile e dannoso delle merci nel mondo (alla radio Rai, per dire, c'è invece un programma quotidiano dedicato ai camionisti che fa esattamente il contrario);
reinvestire i risparmi di costi sociali via via ottenuti nell'allargamento progressivo della rete dei trasporti alternativi; mettere a nudo il bluff dei discorsi sulla concorrenza ed elaborare insiemi di regole che agiscano direttamente sulla produzione di costi sociali reali: per ora questo e poco altro mi sembra il sentiero percorribile per muoversi almeno un po' sulla linea di demarcazione del paradigma auto-mercato-concorrenza-competizione sociale-bisogni indotti-domanda e offerta-strade liberiste obbligate, mentre le mobilitazioni dei consumatori contro i "cartelli" restano tutte all'interno del paradigma per ottenere un obiettivo in fondo poco significante ma che certo a molti può anche  bastare (tuttavia, qui come altrove bisogna sforzarsi, appunto, di far capire il prezzo vero che paghiamo).
  Senza contare che la malignità dei cartelli e dei cartellisti è tale che probabilmente anche un boicottaggio riuscito sarebbe in qualche mondo "intercettato" con altre contromosse tanto sporche quanto efficaci.

  Se davvero si potesse riuscire a mobilitare milioni di persone, varrebbe la pena di farlo per un discorso un po' più ampio. Il problema è che il sistema stesso - cioè noi tutti - genera i meccanismi che rendono (per ora) improbabile una tale mobilitazione.
  La maggior parte della gente, al momento, non ha neanche l'energia mentale né l'informazione per pensare di boicottare quella piuttosto che quell'altra pompa di benzina. E da anni la bombardano su ogni fronte spiegandole che il libero mercato e la concorrenza sono il nostro destino, basta solo volerlo e lottare... 


o Un commento
sulla possibilità
di contrastare
la società motorizzata.

I costi sociali
dell'automobile

Il Rapporto
Oms - Agenzia
per l'ambiente
3500 morti da inquinamento
ogni anno
in Italia

Europa, trasporti
impazziti
di merci inutili
 

 

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