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editoriali
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Al Gore, per un pugno
di dollari...
A decidere chi va alla Casa Bianca sono
soprattutto i soldi eppure negli Stati Uniti...
di ZENONE SOVILLA Una
mia amica che sta a Manhattan dice che "è uno schifo, un'ipocrisia
generale, molti si turano il naso e vanno a votare anche se in realtà
vorrebbero cambiare il sistema ma non possono: che democrazia sarebbe questa
qua?".
Queste poche battute della mia amica rendono l'idea di quanto lo scontro presidenziale americano sfiori i confini della farsa elettorale regolata innanzitutto dalle leggi del libero mercato. Lo stesso Nader ha così riassunto l'unica differenza fra Gore e Bush: "Il tempo che impiegano a inginocchiarsi quando il grande capitale bussa alla loro porta...". Per chiarire
un po' il quadro si può dare un'occhiata al "business elettorale"
dei candidati democratici e repubblicani (non solo quelli alla Casa Bianca),
che si fanno largo tra la folla e i mass media a colpi di "attenzioni"
promesse a questa o a quella lobby industriale. E' un sistema di scambio
di favori, dunque, a determinare il quadro politico di un paese in cui
sempre di più a comandare è il denaro. George Bush Jr. ha
raccolto dai finanziatori privati oltre 187 milioni di dollari; Al Gore
133 milioni; Pat Buchanan 29; Nader 6. Ma nel complesso la giostra elettorale
- che alla fine influenzerà un po' anche i destini di tutto il mondo
- costa circa 4 mila miliardi di lire e in generale anche il criterio di
scelta dei candidati per il congresso sembra essere ormai principalmente
uno: la capacità di raccogliere lauti finanziamenti; l'intelligenza
politica e tutto il resto sembrano spesso passare in secondo piano.
Noam Chomsky,
per esempio, a proposito di neoliberismo, dimostra che stati e governi
- tanto vituperati dai fautori del liberissimo mercato - sono sostegni
fondamentali per il sistema capitalistico al quale servono per la difesa
degli interessi delle grandi imprese (sotto forma di sovvenzioni, fisco,
legislazione eccetera) e sempre meno per tutelare i singoli cittadini,
soprattutto i più deboli.
1) Ci sono ottime ragioni e fondate argomentazioni per contrastare senza temere l'accusa di veteroantiamericanismo (ricordate i falchi umanitari contro i pacifisti durante la guerra del Kosovo?) la tendenza tuttora invalsa a prendere gli Usa come modello economico e politico. Una tendenza che non è solo delle lobbies economiche o della destra europea: si pensi in Italia alla tragicommedia presidenzialista radicale o ai rapimenti filmico-ideali pidiessini. Si può dire, con Chomsky e molti altri, che negli Stati Uniti libertà e benessere materiale non sono patrimonio comune, anzi. La democrazia Usa, dunque, è gravemente malata oppure incompiuta o corrotta. E questa non è cosa da poco, anche se in Europa un certo relativismo buonista tende a sottovalutare tale naufragio politico. Così, spesso, le voci critiche più autentiche del sistema americano (non l'inutile isterismo veterodogmatico persistente in alcune correnti di opinione europee) vanno cercate proprio all'interno della società Usa. 2) E' illusorio
immaginare di scorgere anche solo lontanamente un orizzonte alternativo
al pensiero unico neoliberista, antisolidaristico e autoritario (ma travestito
da libertarismo), senza tener conto degli Stati Uniti e di ciò che
si muove dietro il velo del benessere (non per tutti) e della (presunta)
maggioranza consenziente. Ascoltando molti americani ho avuto la sensazione
di una rassegnazione al sistema "corrotto" che in fondo è molto
simile a quella di molti europei di fronte ai meccanismi "ingovernabili"
del sistema globale, della macchina che sembra andare da sola quasi che
l'essere umano avesse perso il controllo sulla sua creatura così
imperfetta e spietata. Vivisezionare e smascherare il sistema, raccoglierne
i fili a uno a uno, intervenire come si può in ogni sua piccola
parte per orientarla verso la giustizia e la democrazia compiuta (cioè
la libertà vera e solidale per un numero crescente di individui
e di comunità) è quanto dovrebbe cercare di fare il movimento
globale che si oppone alla macchina mortale neoliberista. Individuare strumenti
e prassi, di là dalla semplice contestazione è arduo, oggi
domina in gran parte lo smarrimento propositivo
(anche se non mancano iniziative concrete, come la Tobin
Tax sulle transazioni finanziarie internazionali).
Allora, per tornare alla mia amica americana, se davvero negli Usa si diffonde una "rassegnata" condanna del sistema corrotto e corruttore, dovremmo cercare tutti di capire bene che cosa si sta muovendo dietro le maggioranze "bulgare" a favore della pena di morte o della libertà di cinturone e pistola da Far West (a proposito: la lobby delle armi è uno degli sponsor principali dei candidati alla Casa Bianca e pare simpatizzi per Bush). Un qualunque cambiamento dello stato delle cose nel quadro attuale di ingiustizia globale non può prescindere dagli Stati Uniti e dal loro arcipelago culturale, artistico e politico antagonista. Come diceva Gandhi, bisogna stare nel centro del conflitto... Nel frattempo,
speriamo che gli elettori americani (cioè più o meno un quarto
di loro...) votino "alla meno peggio" e donino al mondo Al Gore. Anche
perché, pensate, se un buon padre di famiglia come Bush Jr. (bilancio
di 145 esecuzioni capitali nei suoi cinque anni di governatorato in Texas)
fosse eletto presidente in un paese tipo l'Austria, come dovrebbe reagire
l'Unione europea?
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o | Vince
Bush?
Cambia tutto o forse non cambia nulla... Le
news
(7
novembre 2000)
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