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Urbanistica partecipata,
il dialogo fra le generazioni
Bambini, ragazzi ed adulti all’interno
dei processi per la formazione delle decisioni
di RAYMOND LORENZO Visto che il mio lavoro all’interno del campo dell’urbanistica partecipata è fortemente connotata dal ruolo centrale dato, da me, ai bambini ed ai ragazzi in processi di riqualificazione urbana - sia dal punto di vista teorico[1] sia dal punto vista pratico-metodologico[2] - trovo giusto e timely l’opportunità / compito offerta di riflettere, criticamente, su questo tema. Cercherò, sinteticamente, di considerare la questione - l’interazione tra bambini-ragazzi ed adulti all’interno di processi di progettazione partecipata - attraverso tre domande: la prima, perché porre i bambini-ragazzi al centro di un processo già, per sé, così complesso? la seconda, quali sono i benefici e, soprattutto, quali sono i problemi potenziali e reali risultanti dall’interazione tra ragazzi ed adulti? e, la terza, quali ammonizioni e quali rimedi possiamo offrire per evitare i problemi? Perché i bambini e ragazzi al centro? Motivi e benefici I primi motivi riguardano i bambini stessi, quelli seguenti riguardano gli adulti e la società nel suo insieme. La Convenzione ONU sugli Diritti dell’Infanzia (1989) firmata da 179 paesi - incluso L’Italia - sancisce il dovere da parte degli organi dello stato di ascoltare, informare e coinvolgere i bambini per quanto riguarda decisioni e questioni di importanza per essi. Non mi sembra necessario qui elencare qui le innumerevoli ragioni per le quali l’assetto del territorio urbano sia una questione di fondamentale importanza per il benessere contemporaneo e lo sviluppo futuro dei bambini.[3] In termini di “investimento sociale” si deve sottolineare che processi di coinvolgimento e di educazione alla progettualità (urbana ed altre) facilitano lo sviluppo di cittadini più disposti e più capaci di partecipare in futuro alla gestione delle cose pubbliche (verso una Planning Society). Numerose ricerche in questo campo[4] hanno dimostrato che il coinvolgimento dei bambini-ragazzi nella progettazione dello spazio urbano ha una forte valenza (e potenzialità) educativa per questi soggetti e per la società nel suo insieme.
Ho scritto in altre sedi[5]
i miei ragionamenti per i quali il mettere i bambini al centro dei processi
di progettazione urbana partecipata può avere risvolti positive
sulla efficace dei nostri lavori con le popolazioni adulte locali e sulla
qualità dei progetti con essi elaborati. Sinteticamente, riguardo
la prima, mentre risulta difficile coinvolgere (una gamma equilibrata di)
cittadini adulti in processi di urbanistica partecipata se non ci siano
minacce o guadagni immediati alle proprie interesse, processi avviati in
quelle agenzie educative (scuole o centri giovanili, p.e.) dove la continuità
e le permanenze sono garantite permettono sia l’accesso a tutte le fasce
sociali presenti nel territorio sia la serenità nel dialogo sul
futuro del quartiere - quasi sempre duraturo e di crescente interessamento.
In oltre, i bambini e ragazzi - quali una specie di “gluten (colla) comunitario”
- rappresentano una porta aperta alle famiglie. L’esperienza dimostra che
i bambini sono formidabili catalizzatori del coinvolgimento di altre fasce
d’età ... i bambini portano informazione e nozioni a casa[6].
Alcuni progetti avviati con una singola classe scolastica, a volta, sono
riusciti a stimolare la partecipazione dell’intera comunità locale[7].
In fine, recentemente nel caso del Progetto Bambino Urbano a Milano, si
è costatato che cominciare con i bambini potrebbe non soltanto migliorare
l’efficace nei termini già espresse ma, inoltre, può accelerare
i tempi amministrativi normali (verso la realizzazione di progetti condivisi)
attraverso la motivazione di politici e, soprattutto, dei tecnici degli
enti locali - un feeling che ha superato, a volta, le barriere ideologiche
e partitocratiche.
Parlare della qualità dei progetti dei bambini - e dei contenuti
di essi, tendenti ad essere ecologici e conviviali - ci porta sul terreno
mobile (“thin ice”) della natura intrinseca dei bambini.[8]
Non c’è spazio qui per teorizzare sul rapporto tra i bambini e la
natura; sulla loro facilità nell’immaginare e comunicare “visioni
utopiche”[9];
sulla loro capacità di vedere (e progettare) l’ambiente in una maniera
globale, inter-connessa e non prospettica; o sulle evoluzioni culturali
(le “Post-figurative Cultures” di Margaret Mead. 1964) che prospettano
(altri) tempi e (altre) questioni nelle quali saranno i bambini ad insegnare
agli adulti. Comunque, mi sembra che le evidenze - dai progetti urbanistici
compiuti con i bambini[10]
- indicono che essi sono diversi da quelli elaborati prodotti tradizionalmente
dagli esperti senza la partecipazione. (Oserò dire[11]
che sono migliori - più eco-sostenibili, più semplici, e
più sensibili ai bisogni degli utenti tutti, ecc.). Le ragioni per
questo divario progettuale, è chiaro, non sono da imputare soltanto
nella natura dei bambini ma, soprattutto, nella natura delle metodologie
con essi applicate.
Tutti i discorsi precedenti, a mio avviso, non sono scontate e probabilmente non sono facilmente comprensibili - o condivisibili - da chi è privo di esperienza diretta di progettazione urbane con la partecipazione dei bambini e/o ragazzi. Ed è qui che troviamo il nucleo dei problemi inerenti all’interazione tra bambini ed adulti... in processi di urbanistica partecipata (ma non solo). Come nel qualsiasi processo di partecipazione, è l’incomprensione dell’altro - dei suoi obiettivi, del suo (ruolo sulla scala di) potere, dei suoi linguaggi e delle sue competenze - che costituisce, a mio avviso, la barriera principale al raggiungimento di uno (o più) progetto(i) condiviso(i).
Con il bambino in gioco gli scarti riguardo il potere e le competenze ed
i blocchi riguarda i linguaggi che sembrano più espliciti.Non sono
più di natura socioeconomica, formativo e/o politica ma sono (sembrano)
di natura biologica. Il bambino è più piccolo (meno forte?),
ha meno esperienza (meno “titoli di studio”?), non possiede proprietà,
non possiede rappresentanza politica o sindacale. Inoltre, è un
alieno (intra-comunitario?) che, a volte, utilizza altri linguaggi e (spesso)
non comprende i nostri. Riflettere su questa dilemma, riguarda l’interazione
bambini - adulti, può essere utile ad una riflessione più
ampio sulla comunicazione (interazione) tra tutti in processi decisionali
partecipati, in generale.
Per prima cosa, vanno chiariti gli obiettivi preposti da chi, come me,
mira a coinvolgere i bambini in decisionmaking urbano. Direi che oltre
il nostro obiettivo di creare un progetto urbano condiviso e di qualità
va sottolineato lo scopo (educativo o, meglio, di apprendimento) di contribuire
allo sviluppo di conoscenze e competenze - da parte dei bambini - riguardo
al suo ambiente di vita ed utili al suo miglioramento[12].
Gli adulti che normalmente interagiscono con i bambini nelle sedi della
progettazione (scuole, CdZ, uffici tecnici, ecc.) vanno tranquillizzati...
non miriamo ad una presa di (loro) potere decisionale da parte dei bambini.
La conversazione sociale innescata da e con i bambini è - quasi
sempre - pacifica. I bambini (e noi per loro) chiedono solamente essere
ascoltati e presi sul serio. Questa richiesta, devo dire, al momento attuale
è molto difficile. Normalmente, gli adulti o tendono a sottovalutare
le capacità dei bambini ad offrire idee utili alla collettività
e, di conseguenza, ignorano le loro proposte, o tendono a romanizzare le
loro capacità e la loro “innocenza” e, di conseguenza, manipolano
in maniera demagogica le loro proposte[13].
Il rimedio a questa situazione, sperimentato nella nostra metodologia,
consiste nell’attivare una fase propedeutica di reciproco apprendimento
nella quale sia gli adulti che i bambini possono conoscersi e chiarire
le rispettive responsabilità, competenze, obiettivi e ruoli.
Riguardo al problema della comunicazione tra dispari va ricordato che parte
fondamentale di tutti processi di progettazione partecipata deve essere
l’avvicinamento, la comprensione e la (parziale) acquisizione da parte
di entrambi dei linguaggi dell’altro. Così, come i bambini - attraverso
la nostra strategia di “educazione alla progettualità” - acquisiscono
competenze nei linguaggi della ricerca e della progettazione urbana, così
gli adulti si avvicinano ai linguaggi verbali, visivi e corporee- spontanei
e ricchi di significato - del mondo dei bambini e dei giovani. E si sforzano
di capirli.
In conclusione, va ripetuto che i bambini (come gli adulti) non rappresentano
un “blocco monolitico”. Nella fasce d’età che, per definizione del
UNICEF, va da 0 - 18 anni[14]
sono presenti competenze, abilità e linguaggi di una vasta gamma.
Segue che i tempi e le modalità di processi di progettazione partecipata
vanno tarato, attentamente, alle caratteristiche dei soggetti coinvolti.
E’ chiaro, inoltre, che queste differenze non sono esclusivamente age-specific
ma risultano, inoltre, dalla personalità e dalle esperienze di vita
di ciascuno partecipante. Come tra gli adulti, ci sono bambini propensi
e bambini restii a partecipare, ci sono ragazzi portatori di conoscenze
e quelli distratti, ci sono bambini comunicativi ed altri (apparentamenti)
bloccati, ci sono ragazzi di potere (riguardo agli adulti ed agli altri
coetanei) e quelli sottomessi, ecc. I rimedi ai questi divari vanno ricercato
nella nostra capacità di facilitare la comunicazione e il lavoro
di gruppo... qualcosa indispensabile in qualsiasi processo di progettazione
partecipata. Ma questa è un altra storia.
[1]
Si veda, in particolare, Lorenzo, R. “The Politcal Implications of Children’s
Participation” (with Prof. Simon Nicholson) in EKISTICS, Athens,
March-April, 1980; “Emerging Utopian Sensibility in Children: its Communication
with Adults” in United Nations University Consultation on Household,
Gender and Age. Tokyo, 1983; “Towards Another Development Based on
Locally Generated Concrete Utopias.” in IFDA Dossier.Nyon,
Switzerland, September 1983. “Children as Teachers” in International
Union for the Conservation of Nature Bulletin. Gland, Switzerland.
Fall 1988.
[2]
vedi, in particolare, Come Rinconquistare le Nostre Città.(con
Luciana Lepore) Quaderni in Educazione Ambientale. WWF-Italy. N. 22. Roma,
1993 e (vari contributi in) Hart, Roger. Children’s Participation.
UNICEF - Earthscan Publications. London. 1997.
[3]
vedi Children’s Rights and Habitat Declaration (UNICEF; NY, Feb.
1996) presentato ed approvato alla Conferenza “HABITAT II” in Istanbul,
giugno, 1996.
[5]
vedi,Lorenzo, R. “Il Progetto Bambino
Urbano a Milano: primi risultati”, in VivereOggi, Milano. Primavera
1997; “Intervista a Ray Lorenzo” in La Città dei Bambini,
Tonucci, F. Laterza, Bari. 1996.
[6]
In Germania ed Inghilterra, questo canale è considerato il principale
per quanto riguarda l’apprendimento da parte degli adulti riguarda l’ ecologia
e questioni ambientali.
[7]
Lorenzo, R. Progettiamo insieme la Città. (casi di tre progetti
in due Zone PEEP, Foligno), Comune di Foligno. Dicembre 1996.
[8]
vedi i riferimenti in footnote N. 1; nonchè i scritti e discorsi
di Edith Cobb (The Ecology of Imagination., Columbia Univ 1976);
Margaret Mead; J. Rosseau; W. Wordsworth; W. Whitman; Tommaso D’ Aquino;
Gesù Cristo, ecc.
[13]
Questo, purtroppo, è una strategia molto comune...
e caratterizza i sermoni innebrianti di alcuni politici ed esponenti del
“movimento” Città dei bambini e bambine, in Italia.
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o | Nel
quadro dell'analisi delle esperienze e delle potenzialità della
partecipazione dal basso alle decisioni sulla vita comunitaria, pubblichiamo
un articolo di Raymond Lorenzo che è uscito anche in Milano:
Il Quartiere Adriano -
gli Abitanti “progettano” la Città (A cura di M. Vercesi, Ist. Ecopolis. Franco Angeli, Milano, 1999). Lorenzo, nato a New York 50 anni fa vive in Umbria dal 1985. Laurea in ingegneria alla Columbia University, master di pianificazione urbana a Harvard, Lorenzo è autore fra l'altro dei volumi "La città sostenibile" (Elèuthera, 1998), "Come riconquistare le nostre città" (Wwf, 1993) e "Progettiamo insieme la nostra città" (Comune di Foligno, 1996). (12
giugno 2000)
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