di RAYMOND LORENZO
C’è attualmente in Italia un fervore inaspettato
(per chi come me opera con difficoltà da più di vent’anni
in questa direzione) ed una meritevole attenzione politica e culturale
al rapporto delicato tra i bambini e l’ambiente urbano.
Mentre scrivo
questo articolo una commissione speciale istituita dal Ministero dell’Ambiente
sta valutando le numerose schede preparate da comuni italiani per l’assegnazione
del “1° Marchio di Qualità delle Città Sostenibili delle
Bambine e dei Bambini”. Dopo molti convegni nazionali ed internazionali
sulla scia della Convenzione ONU dei Diritti dell’Infanzia, della Carta
delle Città Educative, degli accordi internazionali ed europei sull’Agenda
21 e, soprattutto, dopo la Conferenza UNCHS Habitat 2 si sta formando un
vero movimento d’opinione ed un’interazione tra settori ed attori,
finora atomizzati, in favore di città che rispettano i diritti ed
i bisogni dei cittadini più piccoli. Il Governo Italiano con le
leggi 285/97 e 344/97 (in particolare con il Decreto 3 agosto 1998 che
istituisce il “marchio di qualità” di sopra) ha messo a disposizione
degli enti locali ed associazioni - molte dei quali già impegnati
da anni nella definizione della “città dei bambini” - risorse,
linee guide, strategie organizzative e strumenti d’informazione e di coordinamento
operativo utili a questi fini.
Tuttavia, non
è il caso di cantare vittoria. Sebbene le scelte politiche e le
evoluzioni culturali siano importantissime ... sono solo, al mio avviso,
un inizio. Senza i dovuti sviluppi nelle professioni che pianificano, progettano
e costruiscono l’ambiente urbano, le nostre città rimarranno quelle
che sono: un disastro per i nostri figli (children-unfriendly cities).
Perché la necessità
di una città amica dei bambini?
E’ ovvio per
chi è genitore, per chi lavora con i bambini e per i diretti interessati
che le città italiane sono tutt’altro che adeguate ai bisogni ed
alle esigenze dei più piccoli. Bambini che si muovano autonomamente
in città - un indicatore bio-culturale della salute dell’ecosistema
urbano - sono una specie in via di estinzione. Sia le politiche urbanistiche
che una progettazione urbana incapace di captare, interpretare e soddisfare
le reali esigenze degli abitanti e le notevoli modifiche culturali e socioeconomiche,
hanno nell’ultimo trentennio progressivamente creato separazioni tra le
persona ed i luoghi urbani.
La città odierna
è la città degli adulti, di chi produce e consuma, di chi
si muove con l’auto, di chi è forte. E’ un luogo ostile a
tutte le fasce cosiddette deboli di cittadini - come i bambini - che hanno
bisogno di un ambiente comunitario rassicurante e di luoghi accessibili,
sicuri e conviviali. In particolare, i bambini e le bambine subiscono inestimabili
danni nella città contemporanea, pianificata e funzionale a scopi
incompatibili con i bisogni fondamentali dell’infanzia quali il movimento,
la socializzazione, l’autonomia, l’apprendimento, l’esplorazione, la possibilità
di trasformare il proprio ambiente e, soprattutto, la partecipazione attiva
alla vita quotidiana della comunità.
Bambini costretti
a stare in casa o in centri specializzati poiché abitano città
nelle quali è diventato quasi impossibile fare una passeggiata,
nelle quali gli spazi per incontrarsi e giocare autonomamente sono inesistenti
o inaccessibili, nelle quali mancano le occasioni per osservare ed interagire
con la natura e con il "mondo degli adulti", soffrono oggi e diventeranno,
con molta probabilità, degli adulti problematici domani.
Premesso che
i primi anni di vita si connotano come importantissimi per lo sviluppo
personale successivo e che l’ambiente gioca un rilevante ruolo per la formazione
della personalità e per lo sviluppo o inibizione delle potenzialità
delle persone, si può affermare che lo stato attuale delle nostre
città influisce negativamente sul futuro della società stessa.
In questo senso, la creazione di città più idonee ai bambini
è una questione che ci riguarda tutti. Riflettendo sulle caratteristiche
di tale città - ben documentate nelle ricerche sul rapporto tra
i bisogni / comportamenti dell’infanzia e l’ambiente urbano di stampa anglosassone
ed evidenziate nelle proposte dei bambini stessi nelle innumerevoli esperienze
di progettazione partecipata , risulta chiaro che una “città
dei bambini” è nettamente diversa della città d’oggi... ed,
in ultima analisi, sarebbe una città più vivibile per tutti.
Quali le caratteristiche
di una “città amica dei bambini”?
Se crescere
vuol dire esplorare, fare ricerca, scoprire ed apprendere, allora una città
idonea ai bambini deve soprattutto offrire delle occasioni e non solo predeterminare
le funzioni. Per questo motivo la zonizzazione per funzioni separate è
sicuramente “nemica” dei bambini.
La città
ideale dei bambini rappresenta una rete interconnessa di micro - municipalità;
una gamma di occasioni ed attività diversificate e rese accessibili
in piena autonomia. Inoltre, i luoghi specifici devono essere identificabili,
sicuri, senza con questo perdere il senso d’avventura, e plasmabili. I
legami con la natura, con la storia delle piccole attività produttive,
con gli altri, in tutte le loro diversità, devono essere ricuciti
e valorizzati. Uno sguardo a che cosa dicono i bambini, nei loro progetti
, conferma teorie azzardate e tanto lontane dallo statu quo.
Se gli spazi
pubblici progettati tradizionalmente sono soprattutto passivi (relax, giochi
immobili, mancanza di senso d’appartenenza, ecc.), quelli proposti dai
bambini sono, quasi sempre, (inter)attivi. Tra le attività e gli
elementi evidenziati si trovano l’acqua da toccare; orti e giardini; eventi
comunitari artistico - culturali; l’educazione ambientale attiva; la costruzione
e la trasformazione ambientale; la gestione comunitaria. (alcuni esempi:
fattoria urbana a Empoli, aree aperte a Quarto Oggiaro Milano, mercato
ecologico dei ragazzi a Cassina di Pécchi ecc.).
I progetti dei bambini
· sono minimalisti,
su piccola scala e diffusi nel territorio; non richiedono grande finanziamenti;
evitano - dove possibile - il cemento.
· sono da realizzare
nelle immediate vicinanze delle residenze, riducendo il ricorso obbligato
a mezzi motorizzati; aumentano l’autonomia e sicurezza dei pedoni ...
spesso portano alla trasformazione delle strade contigue in woonerf a traffico
moderato; (alcuni esempi: modifiche riportate dai bambini al progetto PRU
a Empoli, tre progetti in zona 3 a Milano, osservazioni dei bambini al
PUT di Cassina di Pécchi);
· privilegiano il
ricupero e la riqualificazione dell’esistente; utilizzano componenti costruttivi
di risulta e prevedano, spesso, centri per la raccolta differenziata di
materiali e dei rifiuti, ecc. (alcuni esempi: “l’isola ecologica” a Cassina
de Pècchi (MI); anfiteatro nell’area verde in via Graf, Milano);
· richiamano diversità
sociale, ambientale e funzionale nei singoli contesti; rappresentano
luoghi d’incontro per fasce d’età e culture diverse; hanno caratteristiche
di usi misti e evitano la monofunzionalità (alcuni esempi: il “PRG”
dei ragazzi a Perugia; la piazza nel quartiere Avane a Empoli);
· dimostrano
forti legami con la natura; aumentano la diversità botanica (anche
specie commestibili), prevedono l’acqua naturale (torrenti, quella piovana
ecc.) pulita e resa accessibile; richiamano la presenza di animali (domestici
e non); (alcuni esempi: il “Boschetto del Consiglio Ragazzi” a Corciano;
la fattoria urbana a Empoli; il cortile residenziale a Foligno; ecc.)
· privilegiano l’aggregazione
sociale; la riscoperta del “vicinato”, il rinforzamento del genius loci;
(alcuni esempi: i “luoghi del cuore” in zona 1 Milano; il PRU di Empoli)
· contribuiscono
spesso alla creazione di una mobilitazione più generale di zona;
integrano, anche fisicamente, i singoli spazi in reti di verde urbano tipo
greenways, percorsi pedonali, percorsi natura, ecc.; (alcuni esempi: PRU
a Empoli, Parco Fluviale a Foligno, rete di cascine e canale Martesana
a Cassina de Pécchi, ecc.)
Infine, i luoghi progettati
dai bambini sono fortemente coinvolgenti ed interattivi e richiedono esplicitamente
ulteriore partecipazione da parte dei cittadini tutti. I processi avviati
sono contagiosi e stimolano la partecipazione in altre sedi: la città
desiderata dai bambini è la città della partecipazione
Cambiamenti radicali
La partecipazione
dei cittadini, come la riqualificazione della nostra professione, non è
un optional.
Risulta
ovvio, da questo sintetico elenco, che pianificare e progettare luoghi
ed opportunità idonee ai ragazzi in città richiede cambiamenti
significativi nelle nostre consuete pratiche di pianificazione e di progettazione
urbana. Si ridefiniscono le nostre priorità, i metodi di lavoro
ed i contenuti dei nostri progetti . Ne deriva che il modo più efficace
per integrare i bisogni dei bambini nel progetto urbano è ascoltarli
e farli progettare.
Ascoltando
i bambini e facilitando il loro “progettare la città” si scopre
che essi, a differenza degli adulti, non esprimono rivendicazioni puramente
autoreferenziali ma rappresentano le esigenze di molte altre categorie
e rivendicano un benessere collettivo. Questo fatto ci porta a rivedere
e modificare gli strumenti e metodi convenzionali della partecipazione
. L’entusiasmo dei ragazzi innesca un meccanismo democratico alla progettazione
urbana, catalizzando la partecipazione anche di coloro finora poco rappresentati
nella partecipazione istituzionale (ai PRG, p.e.).
Progettazione partecipata
Di solito,
i tecnici pubblici e privati non hanno l’abitudine (o la formazione specifica)
di lavorare nella maniera integrata, intersettoriale e partecipata che
la produzione di una “città dei bambini” richiede. Produrre piani
e progetti per una città rispettosa dei diritti e bisogni dei cittadini
non è paragonabile a produrre progetti per la città dell’economia,
dell’efficienza o dello scambio. Per effettuare questo shift le competenze
e le capacità dei progettisti vanno aggiornate per includere la
conoscenza delle scienze sociali urbano-ambientali; le strategie di lavoro
interdisciplinare ed intersettoriali; la capacità di ascolto nei
confronti degli utenti; la capacità di rendere trasparente e comprensibile
il proprio operato ai non addetti agli lavori, ecc.
Oramai, la
formazione di una nuova figura professionale - il facilitatore / progettista
della città dei cittadini - è diventata un’esigenza reclamata
in molti ambiti. Per dare un solo esempio, nell’ambito del Progetto Bambino
Urbano per il Comune di Milano, abbiamo ricevuto quasi 100 richieste d’iscrizione
da parte di laureati e studenti d’architettura ed urbanistica per un corso
di formazione con queste finalità.
Parafrasando il commento
di un rappresentante di un comitato cittadino che ha aperto il 1° Congresso
Internazionale di “Community Design” a Londra nel 1986:
“... voi architetti ed urbanisti,
prima di riqualificare le nostre città dovete riqualificare la vostra
professione”. Questa ammonizione, al mio avviso, è ancora più
valida se riferita alla questione della “città dei bambini”.
Identikit del facilitatore-progettista
della città amica dei bambini
Concludo, in
una maniera flash, con la descrizione di un possibile “profilo” della nuova
figura professionale , oggigiorno molto rara, necessaria per la creazione
di città amichevoli dei bambini e delle bambine.
· Sapere e saper fare:
competenze progettuali ed espressive in multi - media; sapere analizzare
i rapporti tra le persone e lo spazio urbano (comportamenti, percezioni,
processi cognitivi e valori), sia da punto di vista teorico (conoscere
le basi della psicologia ambientale e dell’età evolutiva, dell’antropologia
urbana, ecc.) che nella pratica (saper fare indagini ed interviste; saper
osservare criticamente i comportamenti umani nello spazio urbano e interpretarli
nel progetto); una minima conoscenza delle origini e principi della progettazione
partecipata; svolgere analisi e rilievi dei contesti ambientali, sociali
e politici; ascoltare gli altri; comunicare questioni tecniche in una maniera
comprensibile per non-esperti.
· Saper far fare:
gestire processi di gruppo facilitando la comunicazione e la cooperazione;
promuovere la capacità di fare decisioni collettive e negoziare
tra interesse diverse; utilizzare tecniche per stabilire obiettivi condivisi,
guidando simulazioni svolte all’immaginare il futuro e raccogliere ed integrare
opinioni diverse; possedere tecniche e metodologie per fare esprimere
gli altri e farli progettare; comunicare entusiasmo per garantire l’attrazione
di nuovi alleati.
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Con
questo articolo
(pubblicato
anche in "Edilizia e Territorio", Il Sole 24 ore, 1999) Raymond Lorenzo
comincia a collaborare
con
Nonluoghi. Lorenzo,
nato a New York 50 anni fa vive in Umbria dal 1985. Laurea in ingegneria
alla Columbia University, master di pianificazione urbana a Harvard, Lorenzo
è autore fra l'altro dei volumi "La città
sostenibile" (Elèuthera, 1998), "Come riconquistare le nostre
città" (Wwf, 1993) e "Progettiamo insieme la nostra città"
(Comune di Foligno, 1996).
L'interazione
fra
bambini,
ragazzi
e adulti
nell'urbanistica
partecipata
(23
maggio 2000)
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