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Non toccate la incredibile televisione italiana!
Una giornalista americana osa scrivere quello che molti cittadini pensano ed è scandalo...
 


di ERIKA M. PEDERSEN
    Lei, Deborah Young, è una giornalista americana che ha scritto un articolo per il settimanale italiano L'Internazionale. Ha scritto il suo pensiero sulla televisione pubblica italiana, un pensiero che è anche quello di molti cittadini di questo paese. Ha criticato una televisione che si è messa a competere sullo stesso livello con i canali commerciali. Una televisione leggera e vuota, piena di programmi che si assomigliano fra di loro, di bellezze esotiche in passerella, di irruzioni pubblicitarie... Insomma, la realtà della nostra povera tv.
         Ricordate quando qualche mese fa il ministro della cultura, Giovanna Melandri, osò alla stessa stregua criticare la tv pubblica? La reazione dei vertici della Rai fu stizzita: "Il successo degli ascolti non sarà la misura della nostra vergogna", replicarono alla ministra che, con ammirevole onestà, aveva fatto rilevare che la tv pubblica non deve mirare tanto ed esclusivamente ai risultati Auditel quanto a svolgere il suo ruolo informativo e culturale, oltre che di intrattenimento.

     Bene. Più o meno dello stesso tono le osservazioni di Deborah Young.
     E dello stesso tono le repliche di vari difensori interni ed esterni del grande carrozzone televisivo, compresi alcuni articolisti  - tra l'altro disinformati sulle critiche mosse dalla Young, che molti riferivano alla stessa, prestigiosa rivista Variety, che invece non le ha mai pubblicate - che hanno inscenato una levata di scudi per Mamma Rai. Tale è stata l'irritazione che qualcuno, sempre equivocando nel sonno della sua ignoranza, ha accusato gli americani di tradimento e ha adombrato l'ipotesi di un qualche complotto internazionale (esercizio ormai quasi retorico tanto caro a molti simil-opinionisti italiani che ne hanno fatto quasi uno sport nazionale di genesi politico-giornalistica).

    Allora, che cosa ha scritto di cosi bruciante la Young? E' partita, innanzitutto, dalla constatazione ovvia (ma evidentemente non per gli italiani o quantomeno non per le loro istituzioni) che vada fatta una precisa distinzione fra le tv private di tipo commerciale e il servizio pubblico. La giornalista ricorda una ottima tv italiana, incontrata quando arrivò nel nostro paese, vent'anni fa ("spettacoli interessanti, dibattiti coerenti e molti buoni film"). Poi rileva la trasformazione epocale avvenuta con l'arrivo dei canali privati e in particolare di quelli di Berlusconi: osservazione quasi ovvia, chi non ha notato che in quindici anni la Rai è diventata sempre più simile alle reti Mediaset (a parte a notte fonda...) e non viceversa?

   A proposito dell'attenzione del mondo politico, La Young osserva riferendosi alle polemiche sulla recente riconferma del consiglio di amministrazione Rai: "Sembra assurdo, neanche una voce si è levata per denunciare il disastro della programmazione che, implacabile come una macchia di petrolio, sta distruggendo l'emittente pubblica".

   Allora, si diceva dell'appiattimento sugli standard commerciali: "Credevo - scrive la giornalista americana - che il compito della Rai fosse quello di migliorare la vita degli utenti mandando in onda spettacoli, film e programmi d'attualità intelligenti e capaci di stimolare la riflessione. Ma dove sono?". 
   Ecco un elenco, invece, di quello che c'è: "La prima serata si è ridotta a un unico, sterminato varietà in cui si alternano temi politici, soubrette seminude e bellezze esotiche importate dalla Russia e dalla Spagna. Giochi a premi idioti promettono soldi facili, mentre il calcio non è più uno spettacolo sportivo, bensì un'angosciosa punizione - una partita a serata - che trasforma gli spettatori in drogati".
   Quanto ai film - e qui almeno saremo d'accordo tutti, spero, nell'osservare che la qualità è precipitata - Deborah Young osserva che ormai "si riciclano a getto continuo telefilm di quart'ordine importati dagli Stati Uniti".
   E i telegiornali? "Ogni sera - scrive la Young - ci ottundano con una raffica di minuzie politiche, un chiacchiericcio di commenti e accuse che sembra fatto apposta per spegnere nei cittadini ogni interesse per i processi democratici".

   Qualcuno ha qualcosa da eccepire? Evidentemente sì, viste le reazioni assurde sollevate da queste critiche che sono, in realtà, la fotografia dell'esistente. La fotografia di una televisione - pubblica e privata - che si parla addosso, in cui sfilano sempre le stesse facce - si scambiano i favori: il conduttore qui fa l'ospite di là e così via in una trottola di verbosità infinita e pateticamente vuota - e in cui i programmi sono sempre di più tutti uguali (famigliari che litigano in diretta attizzati da ineffabili conduttori, fiction fatte in casa dalla recitazione improbabile, telegiornali a raggio ristretto in cui il resto del mondo e gran parte della società italiana restano ai margini mentre brillano i pettegolezzi della politica nostrana). 
    Che televisione è quella che dedica un titolo di testa del telegiornale principale alla straordinaria notizia che la Rai ha cambiato simbolo e che poi ci spiega con un lungo servizio il simbolismo della nuova farfalla di viale Mazzini? O quella che dedica ampi servizi del Tg al successo del varietà della sera prima o del telefilm fatto in casa che viene dopo la pubblicità? E' una tv autoreferente, drogata di se stessa, che racconta poco e male il resto del mondo (o lo fa anche bene, ma per pochi intimi a ore impossibili). Questo lo potrebbe fare - forse, perché anche qui si può discutere visto che l'etere è patrimonio limitato e di tutti... - la tv privata commerciale e vuota di senso a più non posso. Ma non lo può fare una televisione pubblica per la quale siamo costretti a pagare il canone anche se non la vogliamo vedere (trattasi di poco civile tassa sul possesso del televisore) e preferiremmo guardare solo la Bbc o la tv svedese via satellite. Una tv pubblica che ci inonda di televendite e pubblicità in ogni salsa e che ci serve i pochi programmi intelligenti a notte fonda o all'alba.

   L'andazzo continuerà, ancora un po'. Ma siamo certi che prima o poi l'indignazione di cittadini male informati e trattati come poveri scemi prevarrà su questo misero stato di cose. Per ora, facciamo il possibile per far precipitare quei dati Auditel cui tanto sono legati i dirigenti della televisione pubblica dal volto privato. Ma nel frattempo, guardiamo la tv pubblica che paghiamo; sì, guardiamola a notte fonda sperando in un capovolgimento del palinsesto a colpi di audience...

p. s.
Viva la radio!


o Siamo costretti a pagare il canone anche se magari non ci interessa gran che guardare una tv pubblica che ha subìto un processo di triste appiattimento sugli standard delle reti commerciali 
(non si salva molto, se non a notte fonda e poco altro).
E se una giornalista straniera osa scriverlo, ecco i soloni dei dati d'ascolto replicare stizziti...
Ma davvero non c'è nulla da fare per recuperare al suo ruolo la televisione pubblica e tutte le sue straordinarie potenzialità e professionalità (già presenti) in buona parte represse?
 

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