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Srebrenica, 7 mila omicidi e un solo condannato
Cinque anni dopo restano liberi i capi del massacro: il generale Mladic e Karadzic
 

   Cinque anni sono passati dalla tragedia di Srebrenica. In questi giorni, cinque anni fa, le milizie serbe guidate dal generale Mladic, dopo aver preso possesso della città, deportavano donne e bambini e massacravano gli uomini dell'etnia musulmana. La forza dell'Onu olandese (che poi se ne andò fra sorrisi e strette di mano con Mladic) rimase a guardare e addirittura in molti casi consegnò, come se nulla fosse, ai soldati serbi i musulmani che opitava nel suo campo.
   Qualcuno dei caschi blu, oggi, ricorda di aver assistito anche ad alcune delle esecuzioni sommarie (che pare siano state più di 7 mila). "Le persone vennero caricate sul pullman, poi si fermarono davanti a una casa, furono invitate a lasciare in giardino il bagaglio, nessuno ne uscì vivo", racconta un ex soldato Onu in un documentaio tv della Bbc. "Ho visto sparare alla nuca a tre persone contro un muro sul retro della casa ma non credo che i serbi sapessero che qualcuno del contingente Onu aveva visto", racconta un altro. 
   "Ci portavano in pullman in aperta campagna e poi ci facevano scendere a uno a uno in modo che ognuno, prima, vedesse che chi l'aveva preceduto veniva ucciso con un colpo alla testa. Non so come... sono riuscitto a fuggire nei boschi...", racconta nello stesso documentario uno dei pochi sopravvissuti musulmani della pulizia etnica e del massacro di Srebrenica.

   Su quella che resta drammaticamente la pagina-simbolo della tragedia della Bosnia - che richiederebbe anche un supplemento di indagine sulle responsabilità Onu - e più in generale della guerra e dela violenza dei Balcani, pubblichiamo un comunicato diffuso da Amnesty International l'11 luglio 2000.

   "Amnesty International chiede giustizia per le vittime di Srebrenica e  lancia il rapporto "Bosnia Erzegovina: Aspettando sulla soglia - Il  ritorno delle minoranze nella Republika Srpska" in occasione del  quinto anniversario della caduta dell'enclave protetta dall'ONU,  avvenuta l'11 luglio 1995. 

   Nel suo rapporto dello scorso novembre, il Segretario Generale dell'ONU ha descritto le atrocita' dei massacri e per la prima volta ha ammesso errori di giudizio. L'ONU ha riconosciuto una parziale responsabilita' ammettendo di non essere stata in grado di proteggere un gran numero di vittime civili da frequenti violazioni dei diritti umani. 

   "Mentre i parenti delle migliaia di 'scomparsi' di Srebrenica si preparano a commemorare il quinto anniversario della caduta dell'enclave, le autorita' serbo-bosniache e la comunita' internazionale devono assicurare che Srebrenica non diventi un altro bollettino di guerra", dichiara Amnesty International sottolineando che "coloro che sono sopravvissuti alle atrocita' non devono diventare vittime dimenticate". 

   Ad oggi, non si conosce la sorte di 7.414 persone. I parenti delle vittime hanno poche prospettive per conoscere la vera sorte dei loro cari, e potrebbero non avere mai l'opportunita' di raccogliere le loro spoglie o di dare loro una sepoltura dignitosa. Mandare a giudizio i responsabili delle violazioni dei diritti umani a Srebrenica permetterebbe ai parenti delle vittime di scoprire la sorte dei loro cari. 

   Ad oggi, il Tribunale Penale sulla ex Jugoslavia ha condannato solo un soldato che partecipava ai massacri di Srebrenica. Ma l'unico altro processo in corso riguardante Srebrenica, quello del Generale Radislav Krstic - comandante del corpo militare Drina -  accusato di aver pianificato e ordinato uccisioni, segna un passo importante verso la giustizia internazionale. 

   Nonostante Radovan Karadzic e Ratko Mladic siano imputati per genocidio e crimini di guerra, rimangono tuttora in liberta'. Le truppe della Forza di Stabilizzazione (SFOR) non sono state in grado di arrestarli nonostante siano stati pubblicamente indiziati da parte del Tribunale Penale nel novembre 1995. I due si trovano adesso nella Repubblica Federale di Jugoslavia. 

   "Ogni Stato che dia asilo a persone indiziate dal Tribunale ha l'obbligo incondizionato di consegnarle immediatamente allo stesso Tribunale," dichiara Amnesty International e aggiunge che "la Repubblica Federale di Jugoslavia non e' esente da questo dovere." 

   Molti cittadini dell'enclave bosniaco che erano scampati alle uccisioni furono espulsi in massa e da allora sono rifugiati o sfollati. Solo alcuni di hanno potuto far ritorno a Srebrenica a causa delle difficolta' di rimpossessarsi delle proprie abitazioni. Secondo Amnesty International questo fatto dimostra la mancanza di 
volonta' politica da parte delle autorita' della Repubblica Srpska di attuare il rientro immediato come stabilito di diritto dagli Accordi di Dayton. 

   Il rientro a Srebrenica rappresenta anche un pericolo per la sicurezza: almeno 5 case appartenenti a famiglie bosniache sono state incendiate negli ultimi due mesi. Inoltre, lo scorso ottobre un consigliere bosniaco fu aggredito e anche recentemente avrebbe ricevuto minacce di morte. 

   Il ritorno delle minoranze sarebbe in aumento in tutto il paese, compreso nelle zone dove cio' era precedentemente impossibile. In molti casi, le persone stanno tornando nei villaggi distrutti, si accampano tra le rovine delle loro case in attesa dell'arrivo di aiuti umanitari e della ricostruzione. Il calo delle donazioni per la 
ricostruzione determina la precarieta' del ritorno a casa. 

   Amnesty International si appella affinche':

   - i responsabili delle uccisioni di massa delle migliaia di uomini e ragazzi bosniaci siano arrestati o consegnati al Tribunale; 
   - gli abitanti di Srebrenica possano ritornare nelle loro case in sicurezza e dignita'; 
   - le autorita' della Bosnia Erzegovina assicurino che l'Istituto Nazionale delle Persone Scomparse, la cui creazione e' prevista tra breve,  lavorera' in buona fede, con diligenza ed efficienza". 


o Le elezioni
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di Milosevic

Il dossier
Kosovo

(14 luglio 2000)
 
 
 
 

 

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