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Diamanti, guerra e sangue
Sierra Leone, conflitto africano e speculazioni
globali
Benvenuti all’inferno, di qui non si passa. Freetown significa tradotto alla lettera: città libera. Ma il nome della capitale della Sierra Leone stride con la realtà e suona come un paradosso spettrale, come una presa in giro macabra di dubbio gusto. A Freetown, puoi trovare di tutto, fuorché la libertà: violenza a fiumi, bagni di sangue, mutilazioni a colpi di machete, bambini costretti ad entrare nel Ruf (fronte unito rivoluzionario che vuole impadronirsi del potere), drogati e strappati all’adolescenza dai guerriglieri, obbligati a diventare macchine da guerra con iniezioni d’eroina, con crack e pillole varie. Bambini assassini, che non l’hanno scelto, ma una volta educati a massacrare sono diventati vittime e carnefici allo stesso tempo. Tutti hanno ucciso e mutilato, civili, loro simili, uomini, donne, esseri umani insomma, non perché volessero farlo. Ma il lavaggio del cervello programmatico e violento cui sono stati sottoposti, complice la droga, li ha resi e li rende distaccati osservatori e distaccati attori dell’orrore. Perché con l’orrore, impari a conviverci prima o poi, quando hai tagliato braccia e mani per qualche volta, ti assuefai alla brutalità. La Sierra Leone
con la sua capitale Freetown sta affogando in un oceano di sangue. Il Ruf
vuole la conquista del potere e per ottenerla ha bisogno delle armi. Le
armi non è in grado di fabbricarsele. Ecco allora che lotta
per procurarsele, perché senza mitra, caricatori, arsenali di morte
sofisticati e veloci, non ha chance per la sua marcia verso il potere.
La Sierra Leone è una miniera di diamanti. Le purissime pietre sono
contese dai ribelli, per azioni sporche e per interessi politici tesi a
soffocare ogni anelito democratico. Con i diamanti venduti all’Occidente,
il Ruf autofinanzia la sua guerriglia, calpesta i diritti umani e civili
della popolazione, rapisce bambini e bambine per farli diventare guerriglieri
tossici e feroci, sorta di pitbull umani, addestrati dalla barbarie dell’uomo
a mutilare braccia e mani. I diamanti in Sierra Leone sono i migliori amici
della guerra. E dell’Occidente che ci guadagna.
Ma l’Occidente, per continuare ad aiutare (?) il travagliato paese africano, pretende un’apertura politica al multipartitismo politico. Nel 1996, le elezioni vengono vinte da Ahmed Tejan Kabbah, di professione avvocato, vissuto per vent’anni all’estero lavorando dentro L’Onu. Viene eletto grazie ad aggiustamenti e trattative diplomatiche a tavolino, perché è la sola faccia presentabile in circolazione, ma senza polso. Difatti, non appena i ribelli procedono minacciando la regione dei diamanti, Kabbah, per le pressioni occidentali, licenzia i mercenari che Strasser aveva assoldato. È la fine, la Sierra Leone si sgretola. Il fronte rivoluzionario unito è diventato un esercito. Intanto a Freetown il maggiore Johnny Paul Koroma organizza un colpo di stato e chiama il Ruf al governo. Kabbah scappa e in esilio dove paga truppe mercenarie di una società britannica e chiede aiuto alla comunità internazionale. La quale lo aiuta e lo rimette al suo posto con le armi. L’esercito si scinde: una parte va con il Ruf. Febbraio 1999. Il Ruf assale Freetown che diventa una bolgia infernale di cadaveri orrendamente mutilati. Seimila persone rovinate dal machete. Il Ruf, nella sua logica dell’orrore, è gentile: chiede alle vittime se preferiscono essere amputate al polso o al gomito. La situazione di guerriglia va avanti per sei mesi, poi l’Onu dà la benedizione ad un accordo di pace alquanto improbabile tra Kabbah e Sankoh. I ribelli del Ruf vengono premiati con un’amnistia totale in nome della sofferenza che hanno fatto patire ad un paese che in nove anni ha avuto 80mila morti, 40mila amputati, ben 2 milioni di sfollati e mezzo milione di persone riparate all’estero. A Sankoh, premiato con la presidenza della Commissione per le risorse strategiche (i diamanti), non passa per la testa di deporre le armi, anzi. I suoi uomini oltrepassano le linee del cessate il fuoco e marciano di nuovo verso Freetown. L’Onu impiega
8 mila soldati per mantenere la pace, ma pare non si accorga di quanto
sta accadendo. 500 caschi blu vengono presi in ostaggio dai ribelli. La
parvenza di legalità costituzionale è salvata dall’intervento
di 800 parà britannici. Sankoh è obbligato a darsi alla fuga,
ma nel maggio del’99 è arrestato. Sta in una località segreta.
Non c’è però nessuno che ha deciso di privarlo della carica
di vicepresidente. Charles Taylor è ora diventato un mediatore di
tutto rispetto. È presidente della Liberia, che negli ultimi due
anni ha esportato diamanti per 400 miliardi di lire. Nel luglio del ’99
viene firmato il trattato di Lomè tra il governo di Freetown e il
Ruf con il quale si interrompevano i combattimenti. È passato un
anno, la tregua è andata a pallino. Questa la cronaca. Ma fonti
autorevoli sostengono che l’atroce guerra della Sierra Leone, stato schiacciato
in un angolo dell’Africa occidentale, dilaniato da colpi di stato e guerriglie
civili, sia opera di voltafaccia ed intrighi internazionali. Autorevoli
fonti ritengono che per controllare i giacimenti alluvionali o le miniere
di Kimberlite, dove si trovano i diamanti, i ribelli non depongono le armi
e che in questa guerra terribile ci sia lo zampino dell’Occidente. I ribelli
vogliono soldi e potere. E l’Occidente vuole guadagnarci.
Monsignor
Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni, uno dei mediatori del processo
di pace, è più volte preso in ostaggio dal Ruf. Il suo commento
alle risposte di una giornalista italiana: “Il trattato di Lomè
sta per saltare, a discapito dei progressi in atto. Si era riusciti ad
ottenere il movimento delle agenzie umanitarie nelle zone controllate dai
ribelli, a fare arrivare medicine nella zona dove il Ruf controlla tutto
il territorio, inoltre con lentezza il commercio si era rimesso in moto
con l’apertura delle strade. Ma i ribelli non si sono disarmati. Ritenevano
che l’ostacolo fosse la mancanza dei campi di raccolta, ma una volta preparati,
i ribelli hanno detto che il presidente Kabbah doveva disarmare i suoi
miliziani della guardia civile. Kabbah l’ha fatto, così la sicurezza
restava nelle mani dei soldati delle Nazioni unite”. Riguardo al sospetto
che a sostenere la guerra il Sierra Leone c’entrino i paesi che aderiscono
all’Ecouas, la comunità economica dell’Africa occidentale,
L’analisi statistica degli economisti Paul Collier (che è anche direttore del dipartimento di ricerca della Banca mondiale) e Anke Hoeffler (Oxford). Dalla loro ricerca è risultato che i paesi, che dipendono dall’esportazione di materie prime non lavorate (come minerali e caffè) per le quali esiste un proficuo commercio internazionale, sono più a rischio di guerre civili. “I diamanti sono i migliori amici della guerriglia – afferma Collier – perché i ribelli devono pagare al soldo le truppe e non sono in grado di produrre niente”. Ovvio che cerchino di trarre profitto da attività economiche primarie che non corrono il rischio di un crollo sotto il peso dello sfruttamento. Aggiunge inoltre: “I diamanti sono risorse naturali, che si trovano in luoghi circoscritti e non possono muoversi”. Così ecco un’altra fonte che sostiene che la conquista dei diamanti da parte dei ribelli è la ragione principale della ripresa del conflitto armato. Non è né l’odio tribale, né il fanatismo religioso a fare scoppiare le guerre civili, ma sono le materie prime. Guarda caso, secondo i due studiosi, i paesi etnicamente più diversificati sono meno a rischio di conflitti civili violenti, poiché i costi della guerra civile sono più alti che negli stati con solo due o tre gruppi etnici. Altra conclusione: se in uno stato esplode la guerra civile, la probabilità che questa rinasca dalle ceneri dei trattati di pace aumenta quando all’estero c’è una ricca comunità di emigrati che, grazie al denaro, compra vendette personali contro civili della comunità rimasta in patria. Altri interrogativi irrisolti. Secondo indiscrezioni
di fonti britanniche, i caschi blu di Kenya e Zambia, attaccati dai guerriglieri,
non avrebbero opposto resistenza e questo avrebbe spinto i ribelli a marciare
su Freetown. Come mai non hanno opposto resistenza? La causa va ricercata
nello scarso addestramento dei caschi blu africani in operazioni di pace
e a collaborare congiuntamente con altre forze. In alcuni casi, attanagliati
dal panico, i caschi blu africani hanno ferito dieci soldati del Kenya.
Ma questo è accaduto di fronte al rifiuto occidentale di partecipare
ai contingenti di pace negli scenari africani. Così il Palazzo di
Vetro usa truppe dei paesi del terzo mondo, poco motivate a combattere,
dato che gran parte del denaro versato dall’Onu riempie le tasche dei rispettivi
governi, lasciando al soldato semplice un pugno di spiccioli. Comunque
la disfatta militare in Sierra Leone ha obbligato l’Occidente ad intervenire.
La Gran Bretagna, ex potenza militare che mantiene in Sierra Leone consiglieri
militari, ha preso possesso dell’aeroporto. Altra questione: ad appoggiare
il Ruf non sarebbe estranea la Liberia, che procura armi ai guerriglieri
leonesi in cambio di diamanti nelle aree da loro controllate e commerciati
nell’illegalità. L’ipotesi non è campata in aria, ma corroborata
da dei dati: la Sierra Leone, nonostante i ricchi giacimenti, nel 1999
ha esportato pietre per soli trenta milioni di dollari, nello stesso periodo
la Liberia, che ha scarsi giacimenti, ha esportato diamanti per 300 milioni
di dollari.
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o | Notizia
da New Jork, 7 luglio 2000 Agenzia
di stampa. L’Onu ha stabilito il divieto mezzo embargo “dei diamanti di
sangue”, provenienti dalla Sierra Leone, per fare cessare il conflitto
nel paese africano e per rilanciare la sua immagine di mantenitore della
pace in Africa.
Ma. Fa.
(21
luglio 2000)
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