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Dove vola il lobbista
Nella formazione delle norme ambientali
pesa di più l'interesse delle imprese. Ecco come
A
conclusione di un editoriale sul Corriere del 30 gennaio 2000 ("Alla ricerca
dell'aria pulita'), Alberto Ronchey cita la necessità di prendere
atto del fatto che "l'industria non può più trincerarsi più
dietro la logica dei conti economici convenzionali, finché non includano
i costi che l'inquinamento scarica sui bilanci pubblici". Prendendo spunto
da questa conclusione, largamente condivisibile, si vuole proporre una
riflessione che non ponga al centro del dibattito sull'ecologia la sostanza
delle regole, quanto il loro processo di formazione.
La tutela degli interessi in gioco Il punto di partenza (non è una novità) è che l'ambiente un interesse diffuso che non ha una sua 'voce'. Esistono molti interessi pubblici, ma nessuno è 'mal rappresentato' in politica come l'interesse ad un ambiente pulito. Si pensi alla tutela dei consumatori, legato alla libera concorrenza. Se la concorrenza viene violata, si trova immediatamente chi protesta, presenta riscorsi, e fa ristabilire la situazione (esistono in tutti i Paesi moderni Autorità Antitrust, con grandi poteri esecutivi). La rappresentanza delle esigenze ambientali è invece lasciata alle associazioni ambientaliste. In Europa, queste associazioni non sono né culturalmente né economicamente attrezzate per far sì che la formazione delle normative avvenga effettivamente sulla base di un equilibrio fra interessi contrapposti e non rispecchi invece un vantaggio strutturale degli interessi economici su quelli ambientali. La differenza nella dotazione delle risorse dedicabili al cosidetto 'lobbying' da esercitare presso il legislatore è gigantesca, e nonostante l'ambiente sia oggi inserito fra i programmi delle imprese come di tutti i partiti politici, non si può certo affermare che questi programmi siano sufficienti. I dati scientifici sono chiari: lo stato dell'ambiente non migliora, ma peggiora. "Lobbisti!" e decisori Lo squilibrio
nelle forze in campo.
A fronte di questo, vi sono invece le associazioni ambientaliste, che contano sull'amicizia di qualche parlamentare, ma che non dispongono di mezzi paragonabili a quelli dispiegati dall'industria, e che quindi sono costrette ad affidarsi alla dedizione dei loro membri. Allo squilibrio economico, si somma quello culturale, il che implica, ad esempio, che molte ONG devono contare su volontari, o su persone insufficientemente preparate, o che (a giusto titolo), sono pronte ad accettare lavori più remunerativi appena se ne presenta l'occasione. Vi è quindi una strutturale mancanza di professionalismo che possa contrastare gli interessi forti. A titolo incidentale, si poteva immaginare che il periodo di gestione dell'amministrazione ambientale italiana da parte delle forze 'ambientaliste' avrebbe migliorato la situazione, a causa del supporto che tale amministrazione ha dato alle ONG ambientali. Paradossalmente invece, non vi sono stati 'segnali' di interesse sistematico da parte di tali associazioni per la politica comunitaria. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che si è verificata una quasi totale osmosi fra posizioni governative (italiane) e ambientaliste, ed il ruolo di opposizione delle ONG ambientaliste si è ridotto di molto. Purtroppo però, si sa, i compromessi necessari quando si sta a palazzo non consentono di assumere sempre posizioni 'veramente' ambientaliste. Bisogna poi
tenere conto dei tempi e dei modi che regolamentano i lavori legislativi.
I tempi sono resi strettissimi dalla mole di decisioni da prendere e dal
relativo fardello amministrativo (si pensi solo alle traduzioni in 11 lingue).
I deputati hanno a disposizione pochi giorni o poche ore dal momento in
cui si rendono disponibili le traduzioni degli emendamenti al momento del
voto. Visto il numero di 'dossiers' che impegna un europarlamentare, è
impensabile che egli possa farsi idee precise su tutto, per cui è
costretto a seguire le indicazioni di altri (per esempio, il relatore),
i quali possono influenzare enormemente il risultato del voto. Va
da sé che in ogni parlamento i deputati non possano occuparsi di
tutto.
Le possibili strade da percorrere Varie strade sarebbero percorribili per migliorare la situazione. Una prima possibilità è quella dell'istituzione di centri di ricerca indipendenti. Il poter disporre di studi e dati obiettivi è già un importante primo passo per un'informazione equilibrata verso il legislatore. Nessuno osa più opporsi apertamente ad una politica che migliora l'ambiente, a condizione che si possa sostenere a giusto titolo che le misure proposte sono effettivamente giustificate. Ed qui spesso l'industria ha gioco facile, sostenendo, decine di studi (di parte) alla mano, di avere "idee migliori". In secondo luogo, il finanziamento di associazioni ambientaliste indipendenti. Ottenere risultati, è soprattutto una questione di risorse. E' noto come alla vittoria di Seattle abbia contribuito internet ed il ridotto costo di circolazione delle informazioni. In terzo luogo, un accesso equo alle informazioni ed alle istituzioni. Informazione è potere, è risaputo. Il poter disporre in tempi rapidi dei progetti di leggi o il conoscere le intenzioni delle istituzioni con anticipo rappresenta un enorme vantaggio. E quasi sempre, anche per questi aspetti, l'industria è in netta posizione di vantaggio, sia per una questione di risorse, sia perché la politica ambientale è molto 'giovane' rispetto alle politiche che riguardano interessi economici, per cui di fatto una 'par condicio' procedurale fatica a prendere corpo. Ad esempio, il rappresentante della FIAT a Bruxelles dispone di un 'pass' di accesso alle istituzioni comunitarie, che gli permette di evitare le normali procedure di accreditamento. Il funzionario di un'associazione ambientalista deve invece prima telefonare e chiedere un appuntamento. Si può immaginare che il rappresentante di Greenpeace o del WWF ottenga lo stesso 'pass'? Difficile. Cose di poco conto, si potrebbe sostenere. Ma quando si devono incontrare 50 persone nello spazio di due giorni, sono queste le cose che fanno la differenza. E' vero, nell'industria si incontrano sempre più 'giovani ingegneri' animati dalla voglia di cambiare. Ma il lento ricambio generazionale 'naturale' all'interno delle imprese (conservatrici per definizione, lo aveva già notato Adam Smith), si scontra con la necessità di adottare misure in tempi stretti. Per questo la responsabilità della tutela ambientale resta - e resterà sempre - nelle mani del legislatore, su cui grava la responsabilità di garantire la prevalenza degli interessi diffusi su quelli privati.
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o | Marco
Onida lavora alla Direzione ambiente dell'Unione europea.
Le opinioni contenute nel presente articolo sono espresse a titolo unicamente personale. L'articolo è tratto dalla rivista Gaia del luglio 2000. (18
luglio 2000)
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