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Legnano, morire di povertà
fra le fiamme nel cuore della locomotiva lombarda
Una famiglia serbo-macedone muore nel
rogo della sua casa improvvisata
Avremo un sussulto nazionale di umanità
e responsabilità o solo frasi di circostanza?
A Legnano (Milano) cinque persone, due bambine, due giovani donne e un uomo trent'enne, sono morte tra le fiamme, nella notte, in un opificio dismesso dove vivevano e si scaldavano alla meglio. Erano immigrati, una famiglia serbo-macedone che aveva appena ricevuto il permesso di soggiorno perché la mamma era incinta. Riportiamo tre testimonianze sentite in radio e tv che ci sembrano eloquenti. Una donna: «Siamo stanchi di questi stranieri sporchi. Chiamiamo la polizia, li cacciano fuori e dopo qualche giorno ritornano. La gente è molto arrabbiata: con tutto il rispetto dei cadaveri, dico che la tragedia si poteva prevedere: l'ho vista ieri quella donna che è morta, stava con le bambine a chiedere l'elemosina davanti al supermercato». Il sindaco Maurizio Cozzi (Polo) ammette davanti ai cadaveri: «Non c'è un problema criminalità con gli immigrati, semmai le polemiche nascono per questioni igieniche». Il ministro Patrizia Toia dichiara: «Questa morte appare ancora più tragica, se si riflette sul contrasto tra la povertà di coloro che, per scaldarsi, sono costretti ad accendere un fuoco rischiando la propria vita e il notevole sviluppo economico del territorio in cui l'incidente è avvenuto. Questo tipo di tragedie devono farci riflettere ancora di più sul problema dell'ineguaglianza fra nord e sud del mondo che non è solo un problema internazionale ma tocca da vicino la nostra realtà quotidiana e il nostro vivere di ogni giorno. E' un problema di equità che oggi entra nelle nostre vite e di fronte al quale non possiamo, come istituzioni e come cittadini, chiudere gli occhi». Belle parole.
Ma ministro, viene da chiederle tra l'altro, se lì dentro c'erano
e ci sono dei poveri cristi, compresa gente fuggita dalla guerra, lei invece
di lamentarsi con non si sa chi, perché non ci spiega come mai l'accoglienza
italiana è questa qui? Delle due l'una, o il governo fa il suo mestiere
civilmente e in quanto mano operativa della comunità nazionale si
fa carico davvero del compito faticoso di dare una svolta all'accoglienza
(ora affidata in gran parte alla buona volontà delle associazioni).
Oppure, se teme l'impopolarità della serie "aiutano gli stranieri
e qui siamo pieni di disoccupati", la smetta con i buonismi di un semplicistico
italiani brava gente. Alla brava gente, insomma, si cominci a spiegare
onestamente come stanno le cose. Senza pietismi e giri di parole si dica
che siamo tutti sulla stessa barca. Inutile o dannoso recitare mea culpa
e buoni propositi senza dire qui e ora che cosa fare, per chi farla, quali
soldi spendere, quali sacrifici chiedere e a chi per aiutare i profughi
e gli altri deboli che arrivano o si trovano in Italia. Così, forse,
l'immigrazione non sarà più, nella percezioni di molti, una
comoda emergenza criminale ma prima di tutto un problema umanitario. Qui
e ora.
Ecco le parole pronunciate
da mons. Vinicio Albanesi, responsabile del Coordinamento nazionale delle
comunità di accoglienza (Cnca): «Viviamo in
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o |
(18
marzo 2000)
L'ennesimo
dramma dell'immigrazione, che evoca scenari drammatici che nella storia
toccavano anche gli emigrati italiani nel mondo, ci mette con le spalle
al muro. Noi tutti. Compreso il governo.
L'urbanistica
"Tetto,
non ghetto"
L'Italia,
la politica
Ora
per entrare in Italia anche come turista bisogna dimostrare di avere soldi
in tasca.
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