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Elettrosmog: la scienza, i media, l'allarme e tanta confusione...
"Il livello di tossicità delle onde è coperto da quello delle altre forme di inquinamento"
 

di ENZO FERRARA

 Sto seguendo il dibattito sull'inquinamento elettromagnetico e ringrazio questa rivista “online” che ci permette di discutere pubblicamente di argomenti che stanno, oggettivamente, a cuore a tutti noi.
   Sono un chimico, lavoro presso una struttura pubblica e mi occupo, anche, di metrologia applicata in campo chimico ed ambientale. Non ho risposte da offrire al dibattito in corso e pochissimi dati numerici, piuttosto potrei essere io stesso a porre ulteriori domande. Desidero tuttavia fare alcune osservazioni, specifiche e no, sulla questione della pericolosità delle onde elettromagnetiche, questioni che a loro volta appariranno certamente incomplete per gli addetti ai lavori, tuttavia basate su ragionamenti davvero molto semplici.

   Una prima osservazione specifica è sulla mancanza oggettiva di informazioni, dati numerici, attendibili sull’argomento pericolosità dell’elettrosmog e sulle carenze nei controlli osservata, per esempio dal dott. Costantino Daga
   Sui diffusi e palesi disservizi nel campo del controllo e della tutela del salute e del territorio occorrerebbe aprire un dibattito a parte. In questa sede è opportuno osservare almeno che proprio perché le carenze esistono e sono diffusissime in tutti i settori è bene selezionare accuratamente le risorse e i campi di intervento, per porre ordine al sistema integrato di monitoraggio. É corretto però, anzi necessario, notare che, in mancanza di altre informazioni, a fronte di un periodo di esposizione prolungato la mancata o irrilevante insorgenza di patologie specifiche nella popolazione esposta sia una indicazione della relativa pericolosità rispetto ad un fenomeno (si pensi per confronto all'amianto, o alle radiazioni ionizzanti a cui si esposero i primi fisici nucleari, in entrambi i casi le patologie sono emerse solo dopo decenni dal periodo di esposizione). L'esposizione alla radiazione elettromagnetica in dosi massicce (i primi elettrodomestici non erano certo schermati) risale agli anni '50 ed è estesa praticamente da almeno 40 anni a tutto il mondo occidentale. Un periodo di tempo sufficiente da prendere in considerazione; per i nati a partire dagli anni ’60, come me, si raggiungerà un periodo di esposizione corrispondente all’arco della propria vita. A fronte di un tale livello di esposizione nel tempo e per il numero di individui esposti le evidenze di patologie specifiche sono perlomeno risicate. E si noti che i casi di esposizione a rischio elevato (prossimità di centrali elettriche, condutture elettriche, esposizione professionale) per alcune fasce di popolazione sono facilmente evidenziabili. 

   Le informazioni finora raccolte individuano comunque un livello definito di (cito Costantino Daga)… “tossicità (anche se da verificare con  nuove ricerche) e ... l'evidenza di un aumento di casi di leucemia infantile dovuta ad esposizione prolungata alle onde elettromagnetiche (in particolare a bassa frequenza ed in presenza di eventuali cofattori) ...”.
   Il vero ostacolo alla definizione di un dato certo per la valutazione del rischio consiste nel fatto che i numeri in gioco, i casi di patologie accertate non sono sufficienti per applicare con serietà leggi statistiche, si tratta di valori ai limiti della rilevabilità, e se confrontati con dati sui livelli di pericolosità relativi ad altri inquinanti (che so, il benzene) ne uscirebbero ulteriormente ridimensionati. E questo non significa che il rischio debba essere pertanto non considerato, si badi bene. Tuttavia chi cerca dati sulla pericolosità delle radiazioni elettromagnetiche e non ne trova, deve in primis chiedersi se non vi sia dolo in tale carenza, d'accordo, ma successivamente, col perdurare dell'assenza o del ridotto quantitativo di casi di danni per la salute chiaramente individuati, la necessità di riflettere si impone. 

  Stante la situazione attuale il livello di pericolosità dell'elettrosmog non potrà fornirlo con facilità nessuno, perché questo è oggi assolutamente coperto dal livello di tossicità di troppe altre forme di inquinamento (idrico, atmosferico, nutrizionale ...) che non ne permettono l’isolamento e la valutazione.
Per uno studio approfondito  sull'elettrosmog, di tipo epidemiologico ed esteso per i prossimi decenni, e' necessario circoscrivere accuratamente prima i rischi per la salute contemporaneamente rilevabili negli ambienti in esame. Rischi questi ultimi evidenziabili con perfino troppa chiarezza, purtroppo. Cercando una diversa soluzione, ma basandosi sullo stesso ragionamento, l'Environmental Protection Agency (EPA) in un suo documento auspica lo sviluppo di studi su possibili "marcatori" biologici specifici per le radiazioni elettromagnetiche, utili per una valutazione del rischio con un ridotto livello di "interferenza".

  Una seconda osservazione, un esempio di come informazione, ricerca e rischi per la salute siano correlati, riguarda l'addizione di idrocarburi aromatici nelle benzine verdi. La loro sostituzione al piombo tetraetile nei carburanti, con funzione antidetonante, risale all'ultimo decennio e i loro effetti di tipo acuto e cronico sulla salute erano noti, ciononostante la loro introduzione è passata senza sollevare obiezioni, dando per certe capacità ed efficacia del loro abbattimento da parte delle marmitte catalitiche. Dubbi in proposito erano stati rilevati fin dall’inizio. Un decennio è comunque un periodo sufficiente di valutazione anche per verificare l'efficacia di un tale intervento. Se gli effetti sulla salute possono non essere ancora completamente estrapolati, almeno quelli sulla presunta riduzione dell’inquinamento atmosferico dovrebbero esserlo, seppure integrati e comparati in funzione delle variazioni dell’uso, del numero e delle prestazioni tecnologiche degli autoveicoli nel frattempo verificatesi. Dove sono stati pubblicati tali studi finora? Ed evidenziano o no i preannunciati progressi nella tutela ambientale rispetto a 10 anni fa ? Chi fra noi conosce i risultati ? Forse nessuno sta facendo studi in questo campo ? Oppure, ed è la cosa maggiormente probabile, gli studi esistono, evidenziano progressi minimi rispetto alle attese (promesse?) e risultati contraddittori rispetto all’uso di benzine con piombo, ma, soprattutto, sono ristretti alla cerchia delle riviste scientifiche specialistiche del settore. Nel frattempo sono entrati in gioco anche sistemi di aspirazione nelle pompe di benzina, perché comunque, prima della combustione i composti aromatici nelle benzine verdi sono presenti e attivi e hanno una capacità cancerogena diretta, e non sinergica come il piombo (ovvero sono loro stessi causa di insorgenza tumorale, diversamente dal piombo che stagnando nei polmoni ne deteriora i tessuti favorendo l’insorgere del tumore in presenza di agenti tumorali altri).
  Personalmente ho timore nel prevedere i dati statistici comparati che verranno rilevati per le patologie dell’apparato respiratorio insorte su una popolazione così a rischio come gli operatori dei servizi di erogazione di carburante. In questo campo credo che la carenza di informazione da parte dei media sia palese.

   Una terza osservazione riguarda la necessità nel mondo contemporaneo della capacità di conversione dell'energia elettromagnetica in meccanica, elettrica, termica, etc..., indispensabile per la vita cosi' come siamo abituati a gestirla. Un esempio: quelle stesse auto indispensabili all’uomo moderno contengono al loro interno alcune decine di dispositivi elettromagnetici (che creano campi di diversa entità certo, ma li creano) per il loro funzionamento, dal motorino d'avviamento al tachimetro, ai sensori di velocità, al controllo di frenata (ABS) etc... Per non parlare delle telecomunicazioni e dei sistemi elettronici ed elettrotecnici che permettono a me di scrivere, ad altri di pubblicare, ad altri ancora di leggere questo documento. Credo che sarebbe più semplice vivere senza autovetture a combustibile piuttosto che senza l’ausilio dell’energia elettromagnetica. 

    Non vorrei proseguire nella specifica polemica. Risulta invece per me interessante un’ulteriore osservazione per rilevare l’approssimativo livello di certa informazione nel campo della ricerca scientifica e tecnologica, situazione ripetuta con regolarità ogni volta che occorre affrontare certi temi, nuovi e no. Penso all'elettrosmog, ai cibi transgenici, alla clonazione, ma anche al caso Di Bella, a certe idee (non in Italia, per fortuna) sull'AIDS o sulla teoria evoluzionista di Darwin, infine al recente scoop sul presunto superamento della velocità della luce. Non voglio affermare di essere schierato con decisione su ognuno dei punti citati come esempio, conosco troppo poco di clonazione, medicina e tecnologie transgeniche per emettere un giudizio, e nei confronti del tema specifico originale, l'elettrosmog, ritengo necessario perlomeno un atteggiamento di cautela e auspico lo sviluppo di studi rigorosi, come sopra indicato. Tuttavia è evidente che molti fra coloro che discutono pubblicamente di tali argomenti lo facciano in modo superficiale e allarmistico, provocando magari una reazione arrogante, come può probabilmente apparire questa stessa, arroccata a sua volta sulla sacralità della scienza e sulla fiducia nella scelta tecnologica. 

   Si noti che allo stesso tempo su alcune di tali questioni si giocano scelte rilevantissime per il futuro sviluppo socioeconomico. Quanta responsabilità in questa situazione di confusione hanno gli operatori, la scuola, i mezzi di informazione, i filosofi della moralità, l'interesse economico? 
   Sottolineerei come il mondo della ricerca scientifica abbia un suo oggettivo sistema di autocontrollo inteso a risolvere le situazioni di confusione: i diversi operatori su scala mondiale verificano per i propri scopi il lavoro svolto da altri, risulta difficile che un errore si propaghi. Se un'informazione, un'idea, un modello non funzionano con sistematicità, questi prima o poi vengono abbandonati e superati. La scienza ha mostrato che al suo interno non esistono dogmi, gli spostamenti di paradigma sono stati finora visti come successi per l'umanità. Il vero problema è che certamente è possibile nascondere un'informazione, selezionare a priori le possibili strade da percorrere in un certo campo della ricerca, privilegiare talune soluzioni a scapito di altre. Inoltre la commistione di scienza, politica, economia è ormai irrisolvibile. Per ovviare alla possibilità di scelte errate o condizionate da interessi particolari non conosco però altre strade se non quelle che portano a lavorare per supportare con informazioni chiare e verificate il proprio punto di vista. Credo che su questo punto si sia tutti d’accordo. Lo siamo meno, probabilmente, se agiamo in modo da affermare che un oggetto se non è bianco pertanto è nero, ovvero che poiché non è dimostrata la non pericolosità allora è palese la pericolosità, per esempio, delle radiazioni elettromagnetiche - o viceversa, mi farebbe notare Agostino, qual è fra le affermazioni “ad escludendum”, l’una antitesi dell’altra, la vera acrobazia scientifica.

   Facciamo attenzione, come si dimostra la non pericolosità o la pericolosità relativa di un fenomeno se non con l’assenza di riscontri sulla sua pericolosità? Cito un comunicato(1) dell’American Physical Society del 22/4/1995: “mentre è impossibile provare che l’esposizione a un fattore ambientale non provochi nessun effetto deleterio per la salute, è necessario dimostrare una relazione causale consistente e significativa prima di concludere che tale effetto si verifichi”. Non credo che debba essere necessario dimostrarne l’efficacia terapeutica, peraltro contemplata negli studi epidemiologici, corrispondente ad un rischio relativo (rischio di un individuo esposto rispetto al rischio di un individuo non esposto) inferiore ad 1. Ogni attività, ogni azione, ogni fenomeno hanno un loro intrinseco livello di pericolosità, per piccolo che possa essere. Su questa falsa direzione, per sdrammatizzare, ci si può coerentemente soffermare sull’affermazione che bere è pericoloso quasi come respirare o cibarsi, e questo indipendentemente da ciò che si mangia, si beve o si respira, senza trovare una soluzione adeguata, alternativa, al mangiare, bere o cibarsi. In campo scientifico, e spero non solo in quello, si ha molto più timore e si diffida maggiormente dell’irrazionalità che di rivedere un’affermazione basilare messa sperimentalmente in dubbio.

   La conclusione che traggo è che dalle discussioni, dagli articoli sui giornali e dall’informazione in generale appare una situazione paradossale, proprio il mondo scientifico che dovrebbe avvicinarsi ad essere un sistema di riferimento, il meno prossimo in assoluto a situazioni di confusione nella conoscenza, sembra ancora oggi, 400 anni dopo Galileo, nell'opinione comune quello maggiormente messo in discussione, non il primo a venire accantonato ma certamente quello pubblicamente meno difeso in un confronto con temi di etica, morale, religione, politica. Con questo non voglio difendere assolutamente la ricerca scientifica e tecnologia moderna, non ne ha bisogno, non se lo merita. Noto solo che si rischia di più nel contraddire apertamente opinioni specifiche su altri temi piuttosto che sulla scienza.
   Per questo ho apprezzato, se si vuole anche aprioristicamente, l’intervento iniziale di Iole Pinto, quelli successivi e anche la disponibilità di questa rivista nel dare spazio, senza posizioni prestabilite, al dibattito in corso.
 

(1) Margherita Fronte, “Campi Elettromagnetci, innocui o pericolosi ?”, pp. 172, Avverbi Edizioni, 1997 Roma


o Il dibattito sull'allarme elettrosmog si arricchisce oggi dell'intervento di Enzo Ferrara, chimico dell'Istituto elettrotecnico nazionale Galileo Ferraris (Corso Massimo D’Azeglio, 42 – 10125 Torino).

Il dibattitp si è aperto con un articolo di Iole Pinto sulle mistificazioni riguardo 
al rischio elettrosmog
che ha registrato una serie di reazioni fra loro diverse: chi contesta l'invito a non sprecare troppo energie contro un pericolo presunto mentre non si fa nulla o quasi contro devastazioni evidenti (i pesticidi e altri inquinanti mortali); chi condivide la denuncia di Iole Pinto e di Nonluoghi, mette a disposizione la propria competenza scientifica 
per eventuali approfondimenti e si rallegra che in questo modo si rompa un comodo velo di silenzio sulle vere minacce alla vita dei consumatori 
e dei lavoratori.
 

(27 ottobre 2000)

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