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editoriali
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Vince Bush? Cambia tutto
o forse non cambia nulla...
A urne (ri)aperte qualche pensiero sui
repubblicani e sulla democrazia americana
di ZENONE SOVILLA Ci sono buone ragioni per preoccuparsi di una possibile, risicata vittoria di George W. Bush nella corsa alla Casa Bianca. Ci sono buone ragioni anche per guardare con una certa indifferenza all'evento. Ci sono, forse, addirittura ragioni di (opportunistico) ottimismo.
Cominciamo dalle inquietudini. Le più ovvie derivano dalla figura
di questo politico più meno improvvisato, figlio di papà
e populista, che molti osservatori hanno descritto come un personaggio
tutt'altro che brillante (per usare un eufemismo). Bush
è in qualche modo paradigmatico di una certa idea di America, uno
stereotipo che dà un po' i brividi alla sinistra europea (e dico
sinistra per intendere esclusivamente le correnti di pensiero critiche
nei riguardi dei poteri forti economici e politici, anzi dell'idea di potere/dominio
tout-court). L'elenco dei guai potenziali che Bush portà con sè
sarebbe lungo, basterà ricordare le ricette semplicistiche (come
governatore in Texas amava descrizioni sintetiche e soluzioni rapide dei
problemi: un decisionismo un po' da bar Sport), un certo moralismo patriottico
(che, però, come vedremo, potrebbe avere risvolti relativamente
positivi), favori forse più scandalosi ai feudatari delle Borse
valori, giri di vite sulla pelle dei poveri (in America mediante politiche
sociali e fiscali inique; nel mondo mediante un boicottaggio sostanziale
delle organizzazioni e convenzioni internazionali sul fronte Nord-Sud),
i disastri nelle politiche ambientali (se Gore ha una qualche sensibilità
ecologica, Bush - buon discepolo di suo padre - è pronto per
esempio a incaricare i suoi burocrati ed esperti di dimostrare che l'effetto
serra semplicemente non esiste).
Tuttavia, ecco una ragione di possibile indifferenza al cambio della guardia, dopo l'incoronazione anche G. W. Bush - come i suoi predecessori repubblicani, a cominciare da Ronald Reagan - correggerà la sua rotta cercando acque più placide e rivelandosi alla fine più conservatore che reazionario e poi saranno comunque anche l'eredità lasciata da Bill Clinton e le acque degli altri mari globali a influenzarne il corso. Lo spazio di manovra, insomma, anche alla Casa Bianca è quello che è. Tuttavia non vanno sottovalutati i riflessi di catalizzatore sul processo di espansione economica violenta e di dominio neoliberista (ma anche la resistenza umana globale, tanto più quella fondamentale, interna agli Stati Uniti, può risultare stimolata dalle politiche di Bush percepite come le più ostili). In un certo senso, potrebbe cambiare tutto e non cambiare quasi niente.
Veniamo, infine, alle possibili ragioni di un opportunistico ottimismo.
La prima: se Bush tenesse fede alle sue dichiarazioni pre-elettorali, gli
Stati Uniti tenderebbero d'ora in poi a ridurre il loro impegno (o la loro
ingerenza) anche militare nel resto del mondo (tanto ormai il dominio economico
in ampie zone è ben consolidato). Ci sarà già chi
si strappa le vesti interrogandosi sui destini della Nato, a me piace pensare
- ma in realtà non ci credo per niente... - che finalmente in Europa
potrebbe aprirsi una discussione democratica seria sulla presenza militare
americana, sull'Alleanza atlantica e sulla opportunità di risparmiare
sugli armamenti e di avviare invece programmi (programmi, non messe in
scena!) di preparazione popolare all'intervento nonviolento umanitario
(preventivo o ricostruttivo) in aree di conflitto. L'ho detto, ma tanto
non ci credo.
Ultima osservazione sullo stato della democrazia (americana, in questo
caso). Una democrazia umiliata non solamente dalle influenze dei potentati
economici e finanziari sulla politica; ma anche dai suoi stessi meccanismi.
Il vincitore della corsa alla Casa Bianca, infatti, avrà ottenuto
meno della metà dei voti espressi da meno della metà degli
elettori potenziali: siamo, cioè, a meno di un quarto degli aventi
diritto. E ovviamente non è detto che l'altra metà del voto
- quella silenziosa - sia rappresentata in modo statisticamente corretto
dalla metà espressa. Inoltre, può capitare che il neopresidente
eletto vinca in termini di seggi federali ma in realtà sia in minoranza
quanto a singoli voti raccolti a livello nazionale: gli Stati Uniti avrebbero
un capo di stato che in realtà non ha alle spalle la maggioranza
della popolazione (un uomo un voto...).
E nel frattempo prendiamo atto che gli Stati Uniti sono più divisi che mai al loro interno (buon, segno se ci si augura un maggiore dinamismo politico) e speriamo, nonostante tutto, che gli emigrati della Florida (gli ultimi voti, forse decisivi) siano abbastanza illuminati da rendersi conto che Bush è un guaio evitabile.
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(8
novembre 2000)
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