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Alto Adige, il partito di raccolta e la democrazia bloccata
Il caso della Südtiroler Volkspartei, da oltre 50 anni al potere e in crescita di consensi
 

di PIERANGELO GIOVANETTI

  
  Nel cuore dell’Europa, in una regione crocevia tra Nord e Sud, fortemente tecnologizzata, avanzata economicamente, multilingue e snodo di comunicazioni internazionali, esiste da più di cinquant’anni una “democrazia bloccata”, con un unico partito al governo[1] che detiene la maggioranza assoluta e una leadership ben salda; un sistema di partito-stato per il quale a breve-medio termine non si intravvedono ipotesi di cambiamento. 
L’Alto Adige costituisce un caso pressochè unico nel mondo occidentale, anche in raffronto ad aree con radicate presenze di partiti etnico-regionali, di permanenza al governo[2] in maniera incontrastata dello stesso partito (Suedtiroler Volkspartei) per più di mezzo secolo, senza segni di logoramento. Anzi, nelle ultime elezioni regionali del novembre 1998, la Svp ha incrementato ulteriormente i suoi voti, passando da 160.186 a 171.820, cioè da una percentuale del 52,04% ottenuta nel 1993 al 56,6 % riscosso nel 1998.

Il partito “di raccolta” dei sudtirolesi

La Volkspartei è un partito “di raccolta”, cioè raccoglie il voto ed esprime la rappresentanza della stragrande maggioranza[3] della popolazione di lingua tedesca e ladina che vive in Alto Adige. Per lungo tempo è stata addirittura l’unico partito “tedesco” presente in consiglio regionale[4]. Ogni tentativo di dar vita a formazioni alternative, di sinistra di centro o di destra[5], non ha riscosso successo tra la popolazione sudtirolese e non ha intaccato in alcun modo l’egemonia della Svp in Alto Adige.

Sorta nel 1945 per rivendicare il diritto dei sudtirolesi all’autodeterminazione e, in seconda battuta, il conseguimento dell’autonomia per il Sudtirolo, la Volkspartei si connota subito come partito etnico capace di raggruppare i sudtirolesi sotto un’unica bandiera, con un obiettivo ben preciso di tutela della minoranza tedesca e ladina nei confronti in primo luogo dello Stato italiano. Si caratterizza con un’ideologia cristiano-sociale, interclassista, conservatrice, che viene incontro al sentire comune della popolazione (fortemente cattolica e religiosa), ai valori tradizionali (famiglia, Heimat, territorio) e alla stratificazione sociale del Sudtirolo (radicata presenza contadina, dislocazione nelle vallate periferiche, vita di montagna). Il modello di un movimento di raccolta nazionale tedesco è addirittura precedente al 1945 e si può far risalire al 1905, anno di fondazione del Tiroler Volksbund (Unione popolare tirolese), raggruppamento organizzato di tutti i partiti borghesi (cristiano-sociali, conservatori, nazionalisti tedeschi, liberali) in chiave antisocialista e antitrentina (anti-italiana). Dopo la Prima guerra mondiale, l’idea di un ampio cartello di partiti in ragione della difesa etnico-culturale fu ripreso ampiamente per far fronte all’annessione italiana e si sostanziò nel 1919 nel Deutscher Verband (Lega tedesca). Nonostante il fascismo e l’italianizzazione forzata, attraverso la Chiesa e la sua fitta rete organizzativa, la vecchia èlite politica cristiano-sociale potè mantenere la sua predominanza sociale all’interno della minoranza etnica tedesca, addirittura sviluppandosi ulteriormente. La politica di snazionalizzazione operata dal fascismo, poi, e le vicende legate alle opzioni a seguito dell’accordo Mussolini-Hitler[6], portarono ad una forte unità etnica e alla maturazione di un intenso patriottismo regionale. Nel periodo fra le due guerre, quindi, furono poste le basi per la “nazione sudtirolese”[7].

Da cinquant’anni saldo al potere

Nel 1945, con l’ingresso delle truppe alleate a Bolzano, venne fondata la Suedtiroler Volkspartei, in un contesto estremamente favorevole a dar vita ad un modello partitico unitario, su basi cristiane, popolari, di difesa etnica, conservatore, dove la concorrenza di altri partiti od espressioni politiche tedesche era ormai ridotta o inesistente[8].

A cinquant’anni di distanza tale modello è rimasto intatto, nonostante nel frattempo si sia realizzato in Alto Adige un sistema istituzionale estremamente vantaggioso di tutela delle minoranze tedesca e ladina, sia stato approvato uno Statuto che garantisce larghissima autonomia locale e ingenti risorse a disposizione della popolazione provinciale, sia ormai di fatto scomparsa qualsiasi minaccia etnica da parte italiana verso i sudtirolesi, che anzi a Roma godono di una rappresentanza parlamentare ascoltatissima e corteggiatissima dal governo centrale[9].

Eppure, nonostante ciò, il partito di raccolta resta solido al comando e più forte che mai, facendo dell’Alto Adige -come sostiene il politologo austriaco dell’Università di Innsbruck, Anton Pelinka- “non una normale democrazia, ma un sistema bloccato, come avevamo in Italia prima del 1994, quando c’erano un partito sempre al governo ed uno sempre all’opposizione”[10].

Una sorta di “anomalia” democratica che è componente non ultima del “disagio degli italiani”[11], ed è fortemente avvertita dagli spiriti più vivaci della cultura sudtirolese. Afferma lo scrittore Joseph Zoderer, autore per Einaudi e Mondadori di romanzi come “L’Italiana”, “Lontano” e “La felicità di lavarsi le mani”: 

“Io penso che per noi sudtirolesi sia giunto il momento di fare un passo avanti, di rischiare, di superare il partito di raccolta per confrontarci come in ogni democrazia tra posizioni diverse. Abbiamo un’autonomia che tutela molto i sudtirolesi. La parte italiana di questa terra è cambiata molto negli ultimi anni. Ora almeno lametà degli italiani che vivono in Alto Adige conosce e stima i sudtirolesi e la loro cultura e, senza voler farsi assimilare -com’è naturale- ne rispetta le sue espressioni. Non c’è più da temere pericoli quindi. Allora è arrivato il momento in cui il Sudtirolo sia gestito politicamente con più idee. Sono convinto che noi sudtirolesi ora abbiamo bisogno di una democrazia vera, una democrazia interna anche alla politica. E questa deve ancora crescere. La maggioranza dei sudtirolesi si fida da troppi decenni di una guida che finora ha fatto molto bene per noi. Abbiamo avuto una politica efficace, ma con un prezzo alto che abbiamo dovuto pagare. Siamo diventati pigri a pensare. Abbiamo paura ad avere e ad esprimere opinioni diverse. E’ già un tradimento pensare in maniera diversa da quella ufficiale. Quello che è normale in una democrazia (uno pensa in un modo, uno in un altro), qui è inteso ancora da alcuni della classe politica come un rinnegamento della causa sudtirolese. E’ ora arrivato il momento del salto. Basta paternalismo. Mi piacerebbe, quindi, se avessimo due partiti di estrazione tedesca in alternanza al governo, alleati rispettivamente con due partiti di estrazione italiana”[12].

In realtà, sebbene aspirazioni di tal tipo si ripetono di frequente, nulla lascia intendere spazi e possibilità di cambiamento. La Volkspartei si candida con successo a restare il partito dominante ed egemone anche per gli anni a venire. Cerchiamo di vedere perchè.

Dalla difesa etnica all’organizzazione degli interessi

Al di là delle apparenze e dei folkloristici raduni in costume tirolese e coi cappelli piumati, la Volkspartei è un partito estremamente moderno che negli anni si è riorganizzato in profondità, riuscendo a cambiare a seconda delle circostanze e delle trasformazioni della società altoatesina. Oggi la Svp non è più prioritariamente un partito etnico di difesa del gruppo tedesco, ma si è trasformato in un moderno sistema organizzativo degli interessi presenti sul territorio. Il suo successo non sta ormai nel richiamo all’Heimat, alla piccola patria, e alla salvaguardia del popolo sudtirolese, ma nel fatto di essere diventata una ricca agenzia di distribuzione di risorse. Insomma, una grande Mamma che dà un po’ a tutti. Finchè dura questa ricchezza non vi è alcun rischio di haiderizzazione del partito o del Sudtirolo; nè vi è più alcuna prospettiva di scissione a sinistra, con la nascita di un partito socialdemocratico tedesco. La Volkspartei ha colonizzato tutto il subsistema politico dell’Alto Adige, dalle associazioni alle categorie alle istituzioni, dando rappresentanza alle varie realtà sociali ed economiche. Il modello della Svp è ora quello di diventare rappresentante anche degli italiani, sancendo così definitivamente il proprio ruolo di partito territoriale, di partito-Stato, nel pieno e totalizzante senso del termine. Il partito diventa così l’istituzione attraverso cui il cittadino dell’Alto Adige esprime la propria vita politica e concorre a determinare le scelte della propria terra. Fuori dal partito, si continua a godere dei benefici economici della ricchezza distribuita in Alto Adige, ma non dei diritti politici comuni in qualunque altra democrazia compiuta[13].

E’ questo in sintesi il nuovo volto e il nuovo ruolo che la Svp ha assunto e che ne fanno un punto di riferimento irrinunciabile per il grosso della popolazione sudtirolese.

L’elemento etnico resta sempre importante quale cemento ideologico, ma -a differenza dei decenni di leadership Magnago- oggi non è prioritario. Studi empirici sulla popolazione dell’Alto Adige dimostrano che, anche tra i giovani, l’appartenenza al proprio gruppo (tedesco, italiano o ladino) si mantiene forte. Questa etnicità di fondo viene abilmente “agitata” dalla dirigenza del partito per compattare l’elettorato e far ravvisare la continua presenza del nemico, secondo le collaudate categorie schmittiane amicus/hostis. Anche nelle ultime elezioni politiche del 1996, la parola d’ordine era “Unità nell’ora del bisogno- La nostra piccola patria è in pericolo”, e la campagna elettorale ha ruotato attorno al triplice slogan: “uniti-forti-liberi”[14]. Nella dirigenza della Volkspartei in realtà non c’è più nessuno che pensi veramente a staccarsi da Roma, a riunirsi ai “fratelli” tirolesi di Innsbruck, ad invocare l’autodeterminazione. La celebrazione del mito pantirolese, i raduni, i richiami all’Heimat, hanno esclusivamente fini interni di autogiustificazione come partito di raccolta e di contenimento elettorale, specie sull’ala destra, dove sussiste la concorrenza politica su posizioni più radicali dell’Union di Eva Klotz e dei Freiheitlichen filo-Haider. Il tutto, naturalmente, senza esagerare. Senza schiacciare troppo l’acceleratore. Senza guastarsi gli ottimi rapporti con Roma e con il governo. 

Il collante ideologico: “noi” e gli “altri”

Il conflitto etnico, quindi, concepito come l’elisir di lunga vita della Svp, che ne giustifica la permanenza necessaria nel tempo e, all’esterno rimarca la “diversità” dell’Alto Adige, ne fa un qualcosa di diverso dalle altre province e regioni italiane giustificandone l’abbondante afflusso di risorse. 

Nonostante la secolarizzazione e la profonda modernizzazione avvenuta in questi ultimi quindici anni in Alto Adige, la dirigenza Svp si guarda bene dall’intaccare tale cordone ombelicale. Benchè l’ingresso dell’Italia in Europa abbia portato la minoranza tedesca dell’Alto Adige a diventar parte del più numeroso gruppo etnico dell’Unione, e benchè pochi cittadini europei sarebbero disposti ad accettare che il proprio sistema politico e sociale si articoli non su opinioni o interessi economici ma su moventi etnici, la continua rimarcazione “noi” e gli “altri” persiste ed è un irrinunciabile ingrediente della ritualità politica locale[15]. E, come avviene in ogni sistema ad alta connotazione ideologica, dissidenza o diversità di idee politiche vengono letti e fatti leggere come cedimento agli “altri”.

L’ “immobilità” del partito di raccolta, da mezzo secolo al centro del proscenio politico sudtirolese, non si giustificherebbe, però, se non fossero nel tempo subentrati due aspetti fondamentali che hanno preso il sopravvento: la capacità di offrire incentivi selettivi (distribuire risorse) e di dare rappresentanza alle varie categorie sociali ed economiche.

A cominciare dall’avvento del Secondo Statuto (1972), quando il grosso dei poteri si è trasferito dalla Regione alla Provincia e grazie alle norme d’attuazione sono accresciute le competenze facenti capo al Landesregierung provinciale, il governo locale si è trovato per le mani un ineguagliabile strumento di consenso: la potestà legislativa e le risorse economiche. Queste, usate con grande abilità e senso pratico, hanno spostato piano piano il baricentro del potere dalle ideologie di partito alle gestioni di giunta, dagli appelli pantirolesi alla distribuzione amministrativa. La presenza a capo del governo di un personaggio pragmatico e decisionista come Luis Durnwalder ha accentuato un processo già impostato.

Il partito come grande agenzia di distribuzione di risorse

La certezza di un governo stabile e ruotante attorno alla Svp, che ha in mano i cordoni della borsa, di fatto ne ha rafforzato la rendita di posizione. Come sostiene il giornalista Florian Kronbichler del settimanale Ff: “E’ il maggiore fattore stabilizzante del Sudtirolo, perchè tutti, anche gli italiani, se perde la Svp o viene meno il partito di raccolta, hanno qualcosa da perdere”. 

La novità distintiva della nuova situazione che si è venuta a creare è che, grazie alle ingenti risorse, non vi sono grossi conflitti di distribuzione: chi chiede, ottiene. Come evidenziato -anche se per sottolinearne i limiti- dallo stesso Egmont Jenny, simbolo dell’alternativa fallita:

“Fin che prevale la scelta dei sudtirolesi solo per la pancia piena, perchè si dovrebbe cambiare? In effetti, il governo della Volkspartei non è da buttar via. Non c’è disoccupazione, gli ospedali funzionano, ci sono i soldi da spendere. Perchè mutar strada? La questione è: fino a quando questo può durare. O meglio: fino a quando potremo permetterci di pensare solo alla pancia piena, e non a dare uno spessore culturale all’autonomia, a rimettere questa terra in sintonia con il resto delle democrazie d’Europa, a portare “normalità” ad una comunità che ancora si regge sulla proporzionale e sulla contrapposizione etnica? Il patto diabolico che tiene l’Alto Adige congelato come in un freezer è stato firmato tra Roma e la Svp. Poggia sullo scambio avvenuto tra lo Stato italiano e la dirigenza della Volkspartei siglato dalla formula “Noi vi teniamo buona la gente e voi ci date carta bianca su tutto”. Solo che questa foresta pietrificata non può andare avanti in eterno. Altrimenti, con la scusa dell’autonomia, ci troveremo in una riserva di arretratezza culturale all’interno di un’Europa pluralista e variegata”[16].

La distribuzione dei finanziamenti in maniera selettiva, secondo le precise indicazioni del partito, è evidente, per esempio, nella quota di risorse assegnate ai contadini, architrave fondante del potere Svp. Benchè poco più di un decimo della popolazione abitante in Alto Adige, la loro influenza nel partito e nelle scelte della Provincia è di gran lunga superiore. Su 529 miliardi destinati al comparto economico (bilancio 1997), 262[17] hanno preso la via dell’agricoltura, segue l’artigianato con 83 miliardi, l’industria con 81 miliardi, il turismo con 52 e il commercio con 41. I contadini ottengono oltre il doppio dei soldi di tutte le altre categorie messe assieme. 

Le norme finanziarie consentono all’Autonoma Provincia di Bolzano di porsi come Stato nello Stato, e quindi di stabilire un rapporto stretto tra il governante e i beneficiari delle risorse, quasi in un legame di lealtà e di sudditanza politica, che non è immune da forme di clientelismo. Come anche da eccessi di interventismo pubblico, talmente pervasivo da presentare in alcuni casi livelli da socialismo reale. Tutto questo ha finito indubbiamente per cementare l’egemonia della Svp. Il fatto, poi, di avere il monopolio della rappresentanza politica, ne ha fatto il vero, unico interprete della politica provinciale, anche all’esterno, nei confronti di Roma e della stessa Austria.

Contento il 75%: “Cambiare è troppo rischioso”

Va detto, comunque, che la Volkspartei ha saputo governare bene, riuscendo anche a distribuire le risorse (pur in maniera differenziata) tra tutte le componenti sociali e territoriali della provincia. Come risultato appare che, caso unico in Italia, il 75% della popolazione (di madrelingua tedesca) si dice molto o abbastanza contento della politica del governo locale. A dimostrazione di ciò, la campagna elettorale delle ultime regionali (1998) è ruotata tutta attorno al concetto di “buona amministrazione”, puntando molto sulla figura popolare del Landeshauptmann Luis Durnwalder, giocando su slogan come “Manteniamo il benessere raggiunto” o “Cambiare è rischioso: non si sa cosa potrebbe succedere”e sulla necessità di essere uniti “per conservare le risorse alla Provincia”.

Vi è un altro aspetto, però, di questa penetrazione della Svp in ogni ambito della vita sociale, economica e politica dell’Alto Adige, dove le sorti della popolazione sono intrecciate a quelle del partito e viceversa in un legame a filo doppio: l’organizzazione strutturata delle categorie, degli ambiti territoriali, delle realtà sociali.

Fin dalla metà degli anni Sessanta, da quando ha perso l’esclusività della rappresentanza politica tedesca (peraltro senza che questo intaccasse mai la sua egemonia), la Svp ha avviato una profonda trasformazione organizzativa. Ha strutturato il partito in rappresentanze sociali: prima le donne, poi i giovani, gli anziani, la scuola, l’ambiente. Poi -di fronte al pericolo a sinistra di Dietl e Jenny- ha inventato gli Arbeitnehmer (la corrente sociale interna) e il sindacato etnico Asgb, staccando una costola della italiana Cisl. Da una parte la dirigenza ha riordinato il partito attraverso una centralizzazione e un controllo ferreo del territorio. Dall’altra ha trasformato l’influenza informale e indiretta esercitata su associazioni e istituzioni in un rapporto stabile di collateralismo. Sono nate quindi le consulte dei contadini, dei lavoratori dipendenti, delle categorie economiche, diventate nel tempo poderose e influentissime correnti interne. Infine, è stato strutturato il territorio in tanti distretti e sezioni che costituiscono il terminale delle decisioni e degli input politici, e la centrale di raccolta delle pulsioni della base. Sono proprio questi ambiti “della politica”, i Bezirke, a selezionare ed esprimere le candidature, a discutere la linea del partito, a mediare al fine di ottenere sulle questioni una posizione largamente maggioritaria del partito, prima di imporla all’esterno.

Ciò ha portato i tesserati della Volkspartei dai 12.000 del 1964, anno della riorganizzazione strutturale, agli 81.000 attuali, circa la metà dei voti complessivi che raccoglie il partito alle elezioni. In sostanza la Volkpartei ha tesserato e schedato un elettore su due[18].

La Svp si è così trasformata in uno strutturato partito di massa e di apparato, diretto professionalmente, finanziariamente forte e organizzato capillarmente. Il cemento etnico da una parte e una mèta finale comune (all’inizio l’autodeterminazione, poi il nuovo Statuto, oggi l’autonomia dinamica) fanno da collante ideologico che tiene unito il tutto, e motivano e rinnovano la militanza sotto l’unico, medesimo ombrello da parte di interessi e ceti sociali contrapposti.

Non va comunque mai dimenticato che tutta l’impostazione originaria dello Statuto del Trentino Alto Adige, poggia su una concezione di autonomia “etnica”, fondata sulla tutela delle minoranze e non sull’appartenenza territoriale[19]. Ciò è stato autorevolmente confermato dalla Corte costituzionale con la discussa sentenza del 14 ottobre 1998, con cui è stata dichiarata l’ “illegittimità costituzionale” della legge elettorale regionale (n. 5 del 15 maggio 1998) che stabiliva l’introduzione di una soglia per poter accedere in consiglio regionale. La Corte ha ritenuto intoccabile in Trentino Alto Adige il metodo proporzionale, così da rendere possibile “la rappresentanza delle minoranze linguistiche nelle istituzioni, consentendo ai gruppi linguistici di esprimersi in quanto tali”. In sostanza la Corte ha cancellato la distinzione tra “difesa delle minoranze linguistiche” e “politica etnica”[20], giustificando quindi quest’ultima come necessaria per adempiere al primo scopo.

I limiti del modello

Il modello sudtirolese finora ha retto benissimo al tempo e alle trasformazioni, ma comporta dei limiti ben precisi. Il primo è quello già evidenziato della mancanza di alternativa politica, che non consente alternanze di governo, ricambio di classe dirigente e contrappesi di potere, e ha portato il partito ad occupare ogni spazio della vita politica, sociale ed economica e a colonizzare tutto il subsistema comunitario, dalle associazioni, ai cori, alle bande, ai vigili del fuoco, eccetera, eccetera. Il secondo è che l’assenza di un’alternativa ha reso la Volkspartei un partito-Stato, l’istituzione di base entro cui si organizza la società altoatesina più che un’ “associazione libera per concorrere con metodo democratico a determinare la politica[21]”. Ciò vuol dire che lo spazio della politica in Alto Adige passa attraverso il partito unico. Chi è fuori non ha voce decisionale nelle scelte che riguardano la collettività. La stessa nomenklatura viene selezionata e indicata in maniera ferrea dal partito che, attraverso i suoi vari organismi, stabilisce in maniera inappellabile chi è dentro e chi è fuori, chi si può candidare e chi no, chi è sufficientemente fedele e affidabile e chi no. 

Vi è poi un terzo ordine di problemi, e riguarda direttamente la comunità italiana. Infatti questa, minoritaria sul territorio, si trova ad essere ai margini delle decisioni politiche che riguardano l’autonomia locale. Pur avendo per Statuto alcuni rappresentanti in giunta (attualmente sono tre, anche se il numero è legato ai consensi raccolti dai partiti italiani), di fatto conta pochissimo nelle scelte provinciali. Chi decide, non è infatti la giunta, ma la Parteileitung del partito, la direzione. E non è inconsueto vedere la giunta fare marcia indietro su una decisione, se la direzione del partito delibera il contrario. In sostanza, non sono la giunta e il consiglio provinciale il luogo istituzionale in cui si svolge il confronto democratico fra le parti e si forma la volontà politica, ma l’organismo interno di partito, di cui l’esecutivo di giunta diventa il braccio operativo, il potente strumento di realizzazione degli obiettivi indicati. Lo stesso Landeshauptmann, per quanto si sia rafforzato enormemente dal fatto di tenere in mano i cordoni della borsa, e quindi essere diventato il deus ex machina della politica provinciale, fa riferimento al partito più che alla giunta nel mediare e nell’indirizzare le scelte. La partita vera si gioca negli organismi partitici interni, e la giunta fa per lo più da semplice cassa di risonanza. Per certi versi vi è una identificazione fra leadership del partito e leadership della Provincia, tipica delle più moderne democrazia competitive. Con al differenza che un’alternativa non è possibile, e quindi la selezione del personale di governa è tutta interna al partito.

Insomma, se è vero che tutti percepiscono dei benefici economici dalla distribuzione Svp, non tutti possono partecipare a pieno titolo alle decisioni politiche. Come nell’antica Grecia, nell’Alto Adige di oggi vi sono i polites e i meteci, coloro che hanno piena cittadinanza politica e coloro che invece costituiscono una sorta di “cittadini di serie B”. Tra questi, i tedeschi che non si riconoscono nella Svp e gli italiani.Nella Volkspartei, infatti, vige il principio di fondo che gli italiani non possono farvi parte. Fino a quindici anni fa, gli italiani venivano rappresentati in larga parte dalla Dc e dal Psi (che erano al governo, ed esercitavano una certa influenza). Oggi, che il primo partito degli italiani è An (all’opposizione), la comunità non ha di fatto più rappresentanza nei “luoghi che contano”.

Secondo il politologo Guenther Pallaver, l’obiettivo della Svp ora è quello di diventare rappresentante anche degli italiani. In sostanza, colmare questo “limite di rappresentanza”, coprendo anche la fetta di mercato politico degli italiani. In questo modo si verrebbe a qualificare pienamente come partito unico regionale, un partito che assomma al suo interno tutte le rappresentanze del territorio. E poi, al suo interno, dalla dialettica fra le varie componenti, fa scaturire la volontà politica.

Quanto potrà durare questo sistema, sostanzialmente chiuso, con al centro un partito unico “di raccolta”, ritenuto da una maggioranza lo strumento utile per tutelare interessi acquisiti? “Questo è il sistema politico esistente in Alto Adige. All’orizzonte non ne vedo altri, e non vedo possibili mutamenti -sostiene il politologo Guenther Pallaver-. E’ un sistema “ad inclusione”. Finora ha retto, perchè economicamente tutti ne beneficiano. Se poi politicamente alcuni ne restano esclusi, ciò finora non ha assunto una dimensione sufficiente ad incrinarlo. Finchè ai sudtirolesi va bene così, il modello rimarrà in piedi”[22].

Finchè ci sono i soldi, durerà

In sostanza, anche se comporta un deficit di democrazia, i sudtirolesi sono disposti ad accettare tale sistema senza ricambio, perchè garantisce un benessere diffuso. E’ questo che fa escludere qualsiasi rischio Haider, come spiega il politologo di Innsbruck, Anton Pelinka: “In Alto Adige non potrà mai dilagare il morbo populista di Haider perchè c’è troppo benessere. Le elezioni del novembre 1998 ne hanno dato una eloquente dimostrazione: la buona amministrazione della Volkspartei aggrega consenso. Fin che va così, la gente non sarà disposta a cambiare. Non presterà ascolto alle sirene della protesta. Ha troppo da perdervi. Non c’è motivo alcuno in Alto Adige per sostenere un partito di protesta. E tanto meno un leader carismatico come Haider. Perchè un leader forte c’è già: si chiama Durnwalder”[23].

Quindi, un’ipotesi di incrinatura del sistema potrebbe venire da fattori economici. “Se l’economia della provincia riuscirà a reggere alla concorrenza dei mercati e se il welfare sarà buono -scrive lo storico Claudio Nolet- probabilmente l’elettorato tedesco e in parte quello ladino riterranno conveniente dare il proprio sostegno a questo sistema politico. A queste condizioni anche il gruppo italiano potrebbe persino, votando per una opposizione paranazionalista, concorrere al mantenimento degli equilibri esistenti[24]”.

Un altro elemento di rottura potrebbe essere la “ribellione” italiana, come estrema conseguenza del “disagio” diffuso nella comunità. L’estrema frammentarietà politica e la mancanza di un leader riconosciuto rendono però questa ipotesi alquanto remota, a meno che non si assista al riemergere di una turbolenza politico-sociale, come negli anni del terrorismo ma questa volta di marca italiana, ad opera di frange estremiste[25]. La Svp, comunque, come detto, sta puntando a riassorbire anche gli italiani all’interno del partito.

Altri elementi di rottura potrebbero venire dalla “corruzione” della classe dirigente dovuta alla mancanza di ricambio; o alla ribellione di una frazione interna di classe politica, decisa a ritagliarsi più potere; o a conflitti di interesse fra gruppi sociali; o alla mancata selezione di classe dirigente garantita da un sistema aperto e da una democrazia competitiva. Ma anche su questo il modello Svp ha creato al suo interno degli anticorpi.

“Il controllo sociale interno fra le varie correnti e fra i vari leader è così forte, che costituisce un deterrente al cedimento di tensione morale da parte di questo o quel leader[26]”, spiega Hartmann Gallmetzer, giornalista, già segretario generale del partito. “Chi sbaglia, sa che paga. Perchè dentro il partito non si perdona nulla. Anche una certa invidia tra leader, fa sì che ciascuno senta il fiato sul collo dell’altro, come in un sistema familiare-comunitario stretto, e quindi sta bene attento a commettere cedimenti per arricchimenti personali od altro”. “Quanto alla dialettica interna fra correnti -continua Gallmetzer-, questa è fortissima. All’esterno non si vede, perchè vige un senso del riserbo assoluto, dove i panni vanno lavati in casa. Ma la lotta per far passare questa o quella posizione è estrema. Non basta raggiungere il 50% più 1, per far passare una decisione. In un partito come la Volkspartei occorre mediare e mediare fra interessi diversi finchè si ottiene un consenso dell’80, 85%. Solo questo garantisce che il partito rimanga sempre unito, che non fuoriesca una frazione di classe dirigente”. “Quanto alla selezione della classe dirigente -conclude Gallmetzer-, questa avviene attraverso una competizione interna, non esterna. Finora il partito non ha mai sbagliato nel scegliere i suoi uomini. Dopo Magnago sembrava dovesse esserci il vuoto, e invece è uscito Durnwalder. Dopo Durnwalder, ci sarà qualcun altro”.



[1]In realtà la coalizione di giunta vede al suo interno anche una rappresentanza italiana, in quanto richiesta da Statuto, ma la Svp dispone in consiglio di 21 consiglieri su 35, e quindi ha un peso insostituibile.
[2]In base al Secondo Statuto del 1972, la Provincia di Bolzano gestisce autonomamente gran parte delle competenze che nelle regioni a Statuto ordinario fanno capo allo Stato italiano. Inoltre dispone in proprio dei nove decimi delle entrate tributarie riscosse in loco, che portano il bilancio provinciale a oltre 7.300 miliardi annui (1999) per una popolazione di nemmeno 460.000 abitanti (una media di quasi 17 milioni a testa di spesa pubblica provinciale annua per ciascun altoatesino). Ciò fa sì che il governo locale abbia un peso enorme sulla realtà politica, sociale, economica provinciale. (Vedi Bengodi? Ma è a Bolzano, Corriere della Sera, CorrierEconomia, 12 luglio 1999)
[3]La Svp copre la rappresentanza di oltre l’80% della popolazione tedesca e il 65% di quella ladina (vedi: Anton Holzer, atti del convegno Autonomia e regionalismo nell’arco alpino, Trento, 29-31 marzo 1990 e Guenther Pallaver, intervento al convegno I partiti regionali-nazionali in Italia e in Europa, Trento, 29 maggio 1998). Il resto della rappresentanza tedesca è suddiviso tra Union fuer Suedtirol di Eva Klotz (che sostiene l’autodeterminazione e quindi il distacco del Sudtirolo dall’Italia), i Freiheitlichen (che si rifanno ai corrispettivi austriaci di Joerg Haider) e i Gruene-Verdi che si richiamano alla figura di Alex Langer).
[4] Nei cinquant’anni tra il 1948 e il 1998, la Svp è stata per cinque legislature l’unico partito tedesco in consiglio.
[5] Nel 1963, Josef Raffainer, personaggio di spicco della Svp, alle elezioni parlamentari del 1963 si candidò in contrapposizione al partito. Nel 1964 venne fondata la Tiroler Heimatpartei, puntando ad intaccare il monopolio della Volkspartei sul mondo agrario. Nel 1966 Egmont Jenny lancia a sinistra un partito socialdemocratico, la Soziale Fortschrittspartei, su modello austriaco e germanico, da contrapporre ai popolari della Svp, così da dar vita anche ad un’alternanza di governo. Inutilmente. Nel 1973 Jenny entra in consiglio regionale con un risicato 1,7% dei consensi (4.000 voti), e la volta dopo se ne torna a casa bocciato con uno 0,7 percentuale, 2.000 voti in tutto.
[6] Vedi, L. Steurer, Suedtirol zwischen Rom und Berlin 1919-1939, Wien-Muenchen-Zuerich, 1980.
[7] Vedi, G. Pallaver, Il caso sudtirolese: die Suedtiroler Volkspartei, convegno maggio 1998, op. cit.
[8] Vedi A. Holzer, Die Suedtiroler Volkspartei, Thaur, 1991.
[9] Vedi Il socialismo reale? Splende in Alto Adige, Corriere della Sera, CorrierEconomia, 15 novembre 1999
[10]Sudtirolo oppresso? “Non esiste, la Svp lo sa”, intervista a Anton Pelinka, Il Mattino dell’Alto Adige, 5 ottobre 1997.
[11] Vedi P. Giovanetti, “il Mulino”, N. 379, 5/98 settembre/ottobre, pag. 891: Alto Adige, il disagio di essere italiani.
[12]La voce dell’Heimat. Joseph Zoderer scrittore solitario, Il Mattino dell’Alto Adige, 14 settembre 1997
[13]Vedi analisi del politologo Guenther Pallaver, Il caso sudtirolese, 1998, op.cit. e l’intervista “L’Svp non è più un partito etnico”, Il Mattino di Bolzano, 24 ottobre 1999.
[14] Dai discorsi dell’Obmann Siegfried Brugger, primavera 1996
[15] Scrive Guenther Pallaver: “La logica della separazione etnica è diventata parte della cultura politica. La maestra d’asilo non svolge solo il mestiere di educatrice ma, in nome del mito dell’unità etnica, trasmette la lingua tedesca. Il coro dei cantori non canta solo per la gioia di cantare, ma per esprimere canto tedesco e quindi rafforzare la cultura tedesca. Il club alpino organizza escursioni in montagna non solo per gustare la natura, ma per ribadire lo storico possesso del territorio da parte del gruppo tedesco. Ogni attività sociale, in Sudtirolo porta sempre con sè una (spesso inconscia) connotazione etnica”. Da Il caso sudtirolese, op.cit.
[16] Vedi intervista “Il patto con Roma ha reso eterna la Svp”, Il Mattino dell’Alto Adige, 9 dicembre 1998
[17] Di questi 262 miliardi destinati all’agricoltura, 50 sono andati a masi da ristrutturare; un’altra decina per piastrellare stalle e malghe; quattordici miliardi e mezzo come indennità compensativa per i terreni montani; e poi miliardi per potenziare acquedotti, per asfaltare nuove strade, per mantenere il verde in montagna (dati bilancio provinciale 1997)
[18] Vedi G. Pallaver, Il caso sudtirolese, op. cit.
[19] Vedi: F. Palermo, “Il Mulino”, luglio-agosto 1999, L’Alto Adige fra tutela dell’etnia e governo del territorio
[20] Vedi: S. Fabbrini, “Il Mattino dell’Alto Adige”, 1 novembre 1998
[21] Vedi articolo 49 della Costituzione italiana.
[22] Vedi intervista “L’Svp non è più un partito etnico”, Il Mattino di Bolzano, 24 ottobre 1999
[23]“Pericolo Haider? No, finchè c’è Durni”, intervista ad Anton Pelinka, Il Mattino di Bolzano, 6 ottobre 1999
[24]Ma per ora è vincente la politica della Svp, Alto Adige, 6 ottobre 1999
[25]Vedi P. Giovanetti, “il Mulino”, N. 379, 5/98 settembre/ottobre, pag. 896: Alto Adige, il disagio di essere italiani.
[26] Riflessioni raccolte da colloqui personali dell’autore

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nel numero 
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Il Mulino
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Pierangelo Giovanetti, giornalista, lavora al quotidiano l'Adige di Trento
 

(28 giugno 2000)

L'apartheid
in Alto Adige
 
 

 

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