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Alto Adige-Südtirol, una civile "apartheid" in doppiopetto?
 


  L'Alto Adige laboratorio della convivenza interetnica, certo. Gruppi linguistici tedesco, italiano, ladino l'uno accanto all'altro. Ma anche laboratorio
della separazione, della tolleranza e di una malcelata frustrazione da "sangue e suolo", dell'indifferenza reciproca e spesso anche della prevaricazione di un potere onnipresente.
Alto Adige laboratorio di convivenza ma anche di conflitti inesplosi, che covano nella frustrazione e nella separazione delle idee, delle esperienze, delle emozioni. In pochi hanno saltato il fosso, in molti pensano di averlo fatto e quando saltarlo sarà inevitabile rischieranno di trovarsi di fronte, invece, a un torrente in piena.L'Alto Adige riproduce gli schemi dell'ingiustizia sociale e aggiunge l'elemento etno-linguistico nei fenomeni di esclusione, nel gap di dialogo che paradossalmente caratterizza le nostre società della comunicazione
e del consumo.
   Allora, laboratorio di convivenza perché non ci si spara a vicenda e non saltano in aria i tralicci? DIciamo, piuttosto, che si è acquistata una pace sociale che rasenta, però, l'apatia e che sta creando molti esclusi. Dopo aver lavorato all'innalzamento di barriere di cemento armato invece di favorire il vero incontro. Chi come Alex Langer ha lavorato nel nome del dialogo che parte dal basso, dall'incontro, dalla reciproca conoscenza e comprensione critica,  per molti era un "nemico". Non dimenticherò che il giorno della morte di Aaex il giornale di riferimento del partito etnico di raccolta nel gruppo di lingua tedesca dava in prima pagina la notizia della scomparsa dell'uomo che si può considerare il figlio più brillante di quella terra, solo in uno strillo minuscolo (in molti giornali nazionali e anche europei era l'apertura con grande evidenza). Più o meno indifferente alla scomparsa dell'uomo del dialogo mi era parsa anche la destra nazional-nostalgica.
   Ma a isolare le idee di Langer e di tutto gli altoatesini o sudtirolesi come lui sono state anche altre aree politiche. E ora la situazione è questa: il consolidamente della separazione, una provincia che fa della discussione sui toponimi il principale tema politico e culturale (cancellarne o no la traduzione in italiano?), un potere sempre più debordante e arrogante, la fatica enorme della costruzione di qualche cosa di realmente "altro", quasi che sia davvero riuscita la distruzione sistematica della semina di idee interetniche e dialogiche. Eppure, la sensazione è che ci sia un divario tra l'apparenza e la realtà, che dietro lo scenario tristemente irritante della gestione politica e della società "ufficiale" si muova un mondo di potenzialità del dialogo che non trovano ancora il canale forte per incontrarsi e crescere. 
   Se davvero le cose stanno così, c'è la speranza che sia possibile costruire demo-
craticamente una società sudtirolese aperta e realmente dialogante, dove, per esempio, la legislazione provinciali prefiguri anche l'esistenza giuridica dei figli di coppie miste, oggi costretti a optare per l'una o per l'altra etnia nella schedatura etnica che serve tra l'altro per l'accesso al lavoro.Speriamo che questi e altri cambiamenti necessari, vere e proprie battaglie di civiltà, possano cominciare a raccogliere un po' di più attenzione e energie nell'Alto Adige delle guerre sulla toponomastica. Anche perché, a pensarci bene, le etnie, in Alto Adige come altrove, ormai sono molte, molte altre...
  (A. W.)

 
   o Nonluoghi si impegnerà nei prossimi mesi anche sui temi della costruzione di una convivenza realmente aperta e democratica in Sudtirolo.
Anche perché l'Alto Adige, nel suo piccolo è un laboratorio della più vasta sfida del rimescola-
mento, del dialogo e della reciproca solidarietà (che è ben altro che semplice tolleranza) cui siamo chiamati tutti, italiani e non, dall'orizzonte multietnico che abbiamo davanti. 

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