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pensieri
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Belgrado, stivali e fucili
sulla libertà di stampa
Milosevic, ben saldo dopo l'avventura
bellica occidentale, mostra i denti
Repressione di piazza dopo l'irruzione militare nei locali di radio, giornali e televisioni non allineate con il regime. Questo scenario, che evoca un clima da dittatura militare sudamericana, a Belgrado, la città tragicamente bombardata dalla Nato un anno fa con fanfare e propagande sulla fine prossima del regime di Slobodan Milosevic. Milosevic è ancora al suo posto, anche più saldo al comando di prima, forte delle dinamiche della ricostruzione (economiche, politiche, psicosociali) che assegnano al potere nuovi strumenti di pressione e di ricatto sulla popolazione. L'opposizione politica, divisa e in qualche settore piuttosto ondivaga e inaffidabile, dava l'impressione di essersi un po' incartata (ammesso che mai sia parsa lucida e concreta); ma nel frattempo giovani e studenti, fuori dalle maglie dei partiti "tradizionali", hanno via via ingrossato il loro movimento di resistenza (Otpor) e ora rappresentano, forse, l'unica leva potenziale in grado di far vacillare il Palazzo. Mercoledì e ieri, dopo la vergognosa (e per la Jugoslavia inedita nelle forme) azione militare contro testate antigovernative com la tv Studio B, RadioB2-92 (storica emittente dell'opposizione) e la radio di Otpor, Index, con giornalisti mandati a casa, locali sigillati, canali spenti, l'opposizione è scesa in piazza e a protestare c'erano prima di tutti loro, i giovani e gli studenti, caricati dalla polizia. E c'erano anche i tifosi della Stella Rossa, il che deve dirci qualche cosa sulle caratteristiche che può assumere la nuova opposizione belgradese, soprattutto se le azioni irresponsabili del regime faranno da involontario catalizzatore della rivolta. Da qui a dire che l'intellighenzia possa tremare, però, c'è di mezzo il grande mare della vicenda balcanica che negli utlimi mesi ci ha riservato anche omicidi eccellenti e intrecci sempre più inquietanti sul fronte dell'intelligence e degli eserciti ufficiali e non. Ma di mezzo c'è anche l'insipienza occidentale che ha messo in moto una orribile guerra che alla fine ha colpito solo la popolazione civile: in Kosovo l'accelerazione della pulizia etnica sotto le bombe Nato, in Serbia i danni diretti e gli effetti collaterali, oggi le vendette incrociate in un quadro di instabilità e di incognite di ogni genere a Pristina e dintorni e il pugno sempre più forte del regime belgradese che ora accusa di tradimento e terrorismo chiunque abbia qualcosa su cui dissentire. C'è almeno da sperare che fossero in malafede, i leader occidentali. Che si rendessero perfettamente conto del mortale avventurismo delle loro bombe umanitarie. L'alternativa riguarderebbe i loro quozienti intellettivi.
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o | La
piazza si riaccende a Belgrado dopo il bavaglio alla stampa imposto manu
militari
dal regime. Il quadro, a un anno dalla guerra, è tutt'altro che incoraggiante. Ma qualche segnale - nato e cresciuto fuori dall'ottica delle bombe e dei grandi disegni geopolitici - forse c'è, come la resistenza dei giovani. (19
maggio 2000)
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