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L'arancia blu: Sachs e l'economia leggera
Incontro con l'ecologista tedesco: possibile rendere sostenibile il sistema senza rifondarlo?
 

di MARCO PONTONI

   Wolfgang Sachs, uno dei massimi esperti mondiali nelle tematiche relative allo sviluppo sostenibile, attualmente direttore dell’istituto per il clima di Wuppertal, ha aperto qualche giorno fa alla facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Trento l’ottava edizione di un corso di specializzazione in gestione ambientale, dedicato per la terza volta, su esplicita richiesta degli studenti, allo sviluppo sostenibile. 

   L’opzione di Sachs in favore di un’economia leggera (cioè un’economia i cui beni siano prodotti utilizzando sempre meno input, in termini di materiali, energia, spazio, e generando al tempo stesso sempre meno ricadute negative sull’ambiente, cioè meno rifiuti o scarti di produzione) si rifletteva anche sullo stile adottato dal relatore nel condurre il suo intervento: niente slides e altri ausili didattici, a loro modo spesso superflui, se si considera che “viviamo in una società di immagini, quindi le immagini sono già nella nostra testa, e l’oratore non deve fare altro che evocarli”. 
   Il punto di partenza, l’immagine evocata, è quella della terra vista dallo spazio, la cosiddetta “arancia blu”, nota a tal punto da essere divenuta quasi simbolica. “Da un lato – ha detto Sachs – guardando a quest’immagine ciò che salta agli occhi è la finitezza della sfera, che ha dei bordi molto netti, i quali si stagliano sul nero dello spazio. D’altro canto, però, dallo spazio non si vedono i confini interni alla sfera, quelli fra le diverse nazioni, o fra le diverse aree linguistiche. 

  Quindi l’immagine della terra vista dallo spazio, che campeggia in ogni convegno dedicato allo sviluppo sostenibile, ma ultimamente anche in tante pubblicità di società di telecomunicazioni, ci richiama due cose. I limiti fisici del globo terrestre, limiti sui quali l’ecologia da tempo cerca di richiamare la sua attenzione, ovvero risorse, spazio, possibilità di scaricare all’esterno gli scarti dei nostri processi di produzione e così via. Ma l’immagine ci parla anche di globalizzazione; rinvia cioè simbolicamente al fatto che oggi possiamo spostarci in ogni direzione, che possiamo comunicare da un capo all’altro del pianeta, che possiamo insomma facilmente sconfinare”. 

  Ed è qui, nel binomio limiti-sconfinamento, che si annidano a detta di Sachs le contraddizioni più forti del nostro modello di sviluppo. Non a caso da un lato il mondo – anche attraverso le conferenze internazionali sull’ambiente susseguitesi negli ultimi anni, Rio, Kyoto ecc. - sembra aver preso coscienza della necessità di un nuovo paradigma, di una nuova opzione forte un favore della sostenibilità; dall’altro però persegue una filosofia economica di fondo tesa proprio alla rimozione dei limiti e dei vincoli, una filosofia che si incarna nelle strategie commerciali messe a punto dalla WTO (World Trade Organization), orientate al liberismo più totale. 
La situazione è complicata inoltre dal fatto che negli ultimi venticinque anni i paesi ad industrializzazione avanzata hanno per certi versi reso l’ambiente più “pulito”; il che può far ritenere a molti che il problema ecologico sia ormai superato. Le grandi industrie che operano in Occidente hanno ad esempio introiettato i costi per l’abbattimento delle polveri, o per la prevenzioni dei rischi ambientali, anche se poi le ciminiere sparite dal nostro landscape sono ricomparse in Brasile o in India. Così, il consumatore europeo oggi fatica ad avere la percezione della quantità di “ambiente naturale” medio distrutto ogni anno per consentirgli di mantenere il livello di consumi a cui è abituato (80 tonnellate per ogni tedesco medio). Alcune cifre possono risultare eloquenti: negli ultimi cinquant’anni si sono persi un terzo dei terreni coltivabili (ma qui Sachs non ci dice nulla riguardo all’aumento di produttività per acro, che pure è un dato importante), un terzo delle foreste tropicali, un quarto del patrimonio idrico, un quarto delle risorse ittiche. In tali circostanze è chiaro per lo studioso tedesco che parlare di “sviluppo per tutti” è fuorviante; se anche i paesi più ricchi, in un impeto di dissennata generosità, si proponessero davvero l’obiettivo di estendere il loro modello di sviluppo al resto del pianeta, l’effetto generale sull’ambiente sarebbe catastrofico. Quindi lo sviluppo dei paesi dell’occidente non è affatto generalizzabile. Non solo: un’economia sostenibile non ha nulla a che fare con un ambiente più pulito, essa piuttosto ha a che fare con una “economia più leggera”.

  Sachs indica tre possibili prospettive per perseguire questo obiettivo. In prima battuta si tratta di pensare a come produrre beni e servizi in maniera ecointelligente. Negli ultimi due secoli l’economia si è sforzata essenzialmente di produrre sempre più cose con il sempre minor numero di persone (adottando tecnologie “capital intensive” o “technology intensive”). Ma anzichè ridurre il numero dei lavoratori coinvolto nei processi produttivi bisognerebbe ridurre la quantità di input impiegati, nonché di scorie prodotte. Un piccolo esempio portato da Sachs riguarda i detersivi: alcuni anni fa nei supermercati il consumatore si trovava di fronte a muraglie di fustini, oggi (grazie essenzialmente ad un'inversione di tendenza della multinazionale Procter & Gamble) solo a piccole scatole. Lo stesso servizio è stato insomma assicurato riducendo i volumi, quindi le quantità di materiali impiegati.
 In secondo luogo Sachs sostiene la necessità di rivalutare le economie territoriali, utilizzando fattori produttivi locali e rivolgendosi di preferenza ai mercati locali, in maniera tale da incidere sulla voce trasporti, che invece l’imperativo alla globalizzazione delle economie sembra voler incrementare a tutti i costi. 

  Il just in time degli ultimi anni, in effetti, è un sistema che ha ridotto i costi per lo stoccaggio delle scorte a carico delle imprese, ma scaricandoli su tutta la cittadinanza, in termini soprattutto di Tir circolanti sulle nostre strade. Certo è che la mobilità è un “must” della nostra epoca, ed è difficile ipotizzare che la rinascita dei territori auspicata da Sachs possa contrastare questo trend. Tuttavia è vero che ad esempio alcune tecnologie legate alla produzione di energia (solare, biomasse) possono venire implementate localmente senza la necessità di incrementare la voce trasporti. Ed è assolutamente condivisibile l’appello a riciclare, riparare, reingegnerizzare, di contro alla tendenza di mercato all’usa e getta.

   Infine Sachs ha posto l’accento sulla necessità di consumare oculatamente; del resto, limitare i consumi risulta necessario anche al fine di consumare meglio, perché il grosso ostacolo oggi alla soddisfazione che un consumatore può trarre da un bene è dato dalla mancanza di tempo necessario alla sua fruizione. Ciò può essere particolarmente vero per l’economia “virtuale”, fondata su internet; navigare in rete comporta un grosso impiego di tempo, e così ad esempio leggere un testo scaricato dalla rete, o ascoltare della musica digitalizzata.

   Come si vede, Sachs non è un’utopista e non propone soluzioni rivoluzionarie (gli estimatori di Beppe Grillo ritroveranno nelle sue teorizzazioni molti dei ragionamenti e finanche degli esempi concreti che poi il comico italiano “volgarizza” nei suoi spettacoli). Chi (come lo scrivente) è orientato a strategie riformiste, troverà in esse una buona dose di saggezza. Chi invece propende per i cambiamenti di rotta radicali le troverà solo parziali, insoddisfacenti. Su questo, sarebbe interessante sentire il parere di tutti i frequentatori di questo sito
 
 


o Uno dei più noti ricercatori ambientalisti, direttore dell'istituto Wuppertal tedesco, propone una conversione ecologica del sistema economico senza tuttavia metterne in discussione i principi informatori.
Un approccio pragmatico, una strategia riformista che può dare qualche speranza nell'umanizzazione dei processi processi produttivi e dei consumi, con conseguente miglioramento della qualità della vite e allontanamento dello spettro dell'entropia. 
Ma anche un approccio che può deludere chi è convinto che la violenza (contro l'essere umano e contro la natura) sia un vizio di fondo di un sistema di convivenza sociale che ha mutuato le sue regole
dall'economia
capitalista e in questo trova uno dei suoi limiti
strutturali 
più evidenti.

Il dibattito è aperto. Sul tema Nonluoghi pubblica anche
un intervento - critico nei riguardi 
della linea
di Sachs - scritto da Pietro Frigato, ricercatore 
sul tema dei 
costi sociali dell'economia capitalista.

(9 maggio 2000)
 
 
 

 

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