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Sviluppo sostenibile e impresa
di mercato: quale compatibilità?
Una critica all'ottimistico approccio
di Sachs sulla conversione ecologica della concorrenza
Lo studio del Wuppertal Institut, diretto da Wolfgang Sachs, «Germania sostenibile» per il clima, l'ambiente e l'energia, edito in Italia dalla Emi, Editrice missionaria italiana con il titolo «Futuro sostenibile. Riconversione ecologica, Nord-Sud, nuovi stili di vita» (360 pagine, 25 mila lire), è uno di quei lavori destinati a circolare. Per il noto settimanale tedesco Der Spiegel, la voluminosa pubblicazione avrebbe addirittura «buone chances di diventare la Bibbia verde della transizione al prossimo millennio». E, del resto, proponendosi come «obiettivo centrale» la «ridefinizione» dei presupposti di un'economia fondata sulla «distruzione della natura», questo lavoro, scritto a più mani, si accolla l'ambizioso onere di conquistare il centro del dibattito sulle vie praticabili in direzione di una «economia ecologica di mercato». Nella prima parte vi si introduce il concetto di «spazio ambientale», inteso come «lo spazio che gli uomini possono usare nell'ambiente naturale, senza danneggiarne durevolmente caratteristiche fondamentali». La nozione viene definita sulla base «della capacità di carico degli ecosistemi, della capacità di rigenerazione, della disponibilità delle risorse naturali» e della giustizia internazionale. Questo a pagina 27 della edizione tedesca: le quasi 400 pagine successive servono per definire come questo principio-guida possa diventare prassi in una «Germania sostenibile». La parte metodologica introduce gli strumenti per una definizione più rigorosa del concetto di «spazio ambientale»: quest'ultimo può essere formulato in termini di grandezze fisiche (riferite a materia, energia, acqua e suolo), con l'impiego di indicatori e soglie limite. Seguono una parte descrittiva sui «bilanci» dell'attuale situazione di degrado ecologico in Germania, una serie di idee-guida (riferite a produzione, consumo, stili di vita, settore pubblico, agricoltura, giustizia internazionale), scenari di riduzione e di transizione «percorribili». Nell'insieme il rapporto del Wuppertal Institut ha il grande merito di offrire, in linguaggio largamente accessibile, una descrizione (fisica) della condizione ambientale di un paese come la Germania. Tuttavia trascura di considerare aspetti centrali dell'economia e della società di mercato, collocandosi fuori della realtà, o, come preferisce Elmar Altvater, rimanendo un «sogno». Innanzitutto non esiste chiarezza analitica sui fattori responsabili dell'attuale situazione di degrado sociale ed ecologico. In particolare, totalmente sottostimato risulta il ruolo della produzione: non viene affrontata cioè la questione che sta al cuore della problematica ambientale. Eppure, l'attenzione di economisti dello spessore di Veblen, Kapp ma anche del più «conservatore» Pigou, che, pur appartenendo a tradizioni di pensiero tra loro distanti, hanno posto i fondamenti della moderna economia ambientale, si è appuntata proprio sugli effetti esterni negativi e sui costi sociali dell'impresa di mercato. Kapp, in particolare, ha dimostrato già nel 1950 l'intima distruttività sociale ed ecologica di unità produttive orientate alla massimizzazione del profitto monetario: questo sia in condizioni di concorrenza più o meno perfetta che di monopolio. E' solo dimenticando questa fondamentale lezione (il nome di Kapp, in effetti, non compare nella voluminosa bibliografia del rapporto) che gli autori di «Germania sostenibile» possono credere di vivere in un mondo nel quale «la sostenibilità e la capacità concorrenziale non giocano l'una contro l'altra. Sia la capacità concorrenziale che la sostenibilità fanno riferimento al benessere delle persone in un territorio. Fondamentalmente si ha a che fare con lo stesso fine». Sulla base di queste premesse fantastiche, lo «spazio ambientale» diventa un luogo nel quale il mondo della produzione può stare tranquillo: i cambiamenti necessari (anche la fiscalità ecologica) per una riconversione in senso eco-sociale delle attività imprenditoriali sono prevalentemente indolori, nella misura in cui rappresentano per lo più forme di investimento «capaci di futuro», in grado di aumentare la competitività tedesca sui mercati di domani. Totalmente trascurata risulta anche la dimensione distributiva (e i relativi conflitti di interessi) dei danni all'ambiente (in termini di perdite di salute fisica e psichica, nonché monetari), proprio mentre questi tendono a differenziare in modo sempre più visibile le classi sociali. Oggi, poco tempo dopo la sentenza del Tribunale di Roma che ha dichiarato la morte presunta di Federico Caffè, vale la pena riportare un passaggio tratto da una dalle sue «Lezioni di politica economica». A proposito delle critiche mosse da «alcuni recenti studiosi di ecologia», in base alle quali gli economisti avrebbero trascurato le differenti forme di sfruttamento dell'ambiente naturale, Caffè obiettava infastidito che «in realtà l'addebito potrebbe ritorcersi contro questi stessi critici, per il ritardo con il quale, per loro conto, sono pervenuti a riconoscere la validità di categorie logiche esistenti da tempo e la possibilità di un loro proficuo impiego per fini applicativi. Il problema è, se mai, quello di rendersi conto del ritardo con cui le influenze intellettuali riescono a incidere nell'azione pratica; o della misura in cui gli interessi particolari riescono ad ostacolare l'adozione di misure riconosciute come opportune».
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o | Pietro
Frigato, ricercatore sui costi sociali
del sistema capitalista denuncia in questo scritto i limiti dell'ottimistico approccio di chi, fra gli ecologisti, reputa possibile una durevole conversione ecologica nel quadro degli attuali principi e meccanismi dell'economia. |
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