di NANDO SIGONA
“Ho
passato molto tempo seduto nei bar a parlare. Se la gente parlava di rock,
anch'io parlavo di rock. A me interessa capire ciò che le persone
ritengono importante, cosa pensano. Questo mi permette di entrare nel mondo
in cui vivono”. Così Joe Sacco descrive il suo modo di lavorare,
di raccogliere i frammenti da cui nascono i suoi reportage.
Si tratta, però,
di una particolare forma di giornalismo. Joe Sacco, infatti, combina abilmente
gli strumenti propri del reportage classico con il fumetto. Proprio attraverso
questo media riesce a costruire dei ponti che vanno ben al di là
della semplice trasmissioni di informazioni, riesce a coinvolgere emotivamente
i lettori, ad avvicinarli alle persone di cui racconta e alle loro storie.
“Voglio che i lettori sentano empatia, che apprezzino le storie umane dietro
i titoli gridati. Voglio che i lettori capiscano come la Storia può
scorrere sopra la testa delle persone e distruggere le loro vite. Voglio
che i lettori apprezzino come sono fortunati a vivere in un posto dove
c'è la pace da lungo tempo”.
VIAGGIO IN PALESTINA
Nel 1994 per
la Fantagraphics di Seattle, casa editrice di fumetti underground, esce
"Palestine: a nation occupied", resoconto giornalistico e racconto per
immagini di due mesi trascorsi dall'autore in Israele e nei Territori Occupati
tra il 1991 e 1992.
L'interesse suscitato da
quest'opera negli Stati Uniti è stato notevole. Recensita positivamente
da numerosi giornali (New York Times, Washington City Paper, Details…)
nel 1996 ha vinto il prestigioso American Book Award. Naseer H. Aruri,
docente di Scienze Politiche presso l'università del Massachusetts,
scrisse in proposito, “Sacco ha brillantemente e acutamente catturato l'essenza
della vita sotto una prolungata e repressiva occupazione. Ogni pagina è
equivalente ad un saggio su uno dei molti aspetti dell'occupazione”.
Ovviamente non ci furono
solo giudizi positivi. Il direttore della Lega Anti-Diffamazione, Bluma
Zuckerbrot, affermò che l'opera di Sacco era superata in partenza,
“un esempio di propaganda anti-Israele pre-processo di pace”. Il processo
di pace in questione era quello avviato dagli accordi di Madrid.
Negli ultimi anni di strette
di mano tra leader politici ce ne sono state tante, sono cambiati in parte
gli interlocutori ma è poi cambiata la sostanza del dominio israeliano
sui palestinesi? Questa domanda si pone l'autore all'inizio del volume.
Ad ogni modo ciò che a lui interessa è dare voce ai palestinesi.
Riportare le loro storie, il loro punto di vista. “Non avevo alcuna intenzione
di pormi nel mezzo, fra le parti - ha ammesso l'autore - sto solo cercando
di portare fuori le storie dei palestinesi". Impegno certo non da poco
per un maltese cresciuto negli USA, che, come lui stesso ha detto, si è
avvicinato alla questione palestinese partendo dall'idea "palestinese=terrorista".
Uscire da questo stereotipo ha richiesto tempo e studio. Un libro in particolare,
ricorda l'autore, gli è servito per capire l'insieme di interessi
che legano Stati Uniti ed Israele e la manipolazione sistematica cui sono
sottoposti gli americani sull'intera situazione dell'area, The Fateful
Triangle di Noam Chiomsky. E' stato il punto di partenza del suo
lavoro sul campo.
La realizzazione dell'intera
opera ha richiesto più di tre anni di lavoro ed è stata realizzata
in 9 parti, raccolte poi in due volumi: "Palestine: in the Gaza strip"
e "Palestine: a nation occupied" (l'unico tradotto e distribuito in Italia
dalla casa editrice Phoenix nel 1998).
Lungi dall'idealizzare le
persone di cui parla e che rivivono nei suoi disegni, Joe Sacco riesce,
con un sapiente uso dello humour, a rendere la narrazione più leggera,
ad umanizzarla. Rende i palestinesi persone, non un tutto indistinto. Uomini
e donne con idee politiche, problemi familiari, voglia di sorridere. Guarda,
attraverso i suoi occhi ironici di anti-eroe giornalista, le strade, le
case, le prigioni, i campi profughi. E li racconta. “Certo ne ho incontrate
di teste calde. Ma non molte in verità. Piuttosto, sono stato sorpreso
dal numero di persone che cercavano di guardare alla realtà da più
punti di vista e che distinguevano chiaramente tra politica americana e
americani”.
IL MEDIUM E' IL MESSAGGIO
"I fumetti, dice l'autore,
possono offrire una gamma tale di informazioni visive da rendere un posto,
qualsiasi posto, reale agli occhi del lettore. E non solo un posto, ma
anche le persone, perché attraverso i dettagli del paesaggio ciascuno
può vedere cosa essi indossano, come lavorano il legno, come sono
arredate le loro case ".
Il suo modo di calarsi all'interno
delle situazioni gli permette di mantenere un contatto diretto con gli
umori della strada e un'immediatezza che difficilmente la parola scritta
riesce ad evocare. "Questa sua abilità, ha scritto sul New York
Times Chris Hedges, rende quasi impossibile rivestire di un'aurea romantica
le persone di cui scrive".
Il fumetto, nelle opere
dell'autore, riesce a comunicare una consapevolezza delle situazioni che
sarebbe stato difficile ottenere con altri media. E' capace, proprio per
la sua natura di media a bassa definizione freddo (secondo la definizione
introdotta da McLuhan nel 1964), di un alto livello partecipazionale. L'immaginazione
di chi legge, infatti, è spinta a riempire gli spazi lasciati vuoti
dalla bassa definizione dell'icona disegnata e ad impegnare creativamente
le emozioni.
L'utilizzo che l'opera di
Sacco fa dello strumento fumetto la avvicina inevitabilmente a "Maus" di
Art Spiegelman. Ma, come sottolinea lo stesso Sacco in un'intervista concessa
alcuni anni fa al Jerusalem Report, non c'è alcuna intenzione di
imitare il format dell'opera di Spiegelman né, tantomeno, la volontà
di creare un contraltare alle sofferenze patite dagli ebrei e raccontate
in Maus. “L'Olocausto, ha affermato Sacco, è un evento che
non può essere comparato… certo io credo che ci siano terribili
ingiustizie ai danni dei palestinesi, ma è qualcosa a cui bisogna
guardare separatamente”. C'è piuttosto nell'opera di questi due
autori la volontà di sperimentare e rinventare il fumetto, dandogli
nuova vita e nuove possibilità espressive.
CHI E' INNOCENTE SCAGLI
LA PRIMA PIETRA
Siamo finiti a parlare di
ciò che sta accadendo in Medio Oriente in questi giorni. E' stato
inevitabile. “I palestinesi sono stati umiliati e messi da parte dal trattato
firmato da Arafat, un trattato che gli ha portato ben pochi vantaggi e
la visita di Sharon alla spianata delle moschee non ha fatto che scatenare
frustrazioni e rabbia che covavano da anni”. Cosa ha spinto Arafat a firmare
ad Oslo? “Il bisogno di legittimarsi definitivamente come statista agli
occhi degli Usa e del mondo occidentale. Oslo e il processo di pace che
ne è scaturito non hanno mai risposto agli interessi reali dei palestinesi
che ne hanno ricavato meno di niente. Gli insediamenti dei coloni sono
aumentati, le espropriazioni di terra pure e, nel frattempo, Arafat e il
suo entourage corrotto sono diventati i responsabili del mantenimento della
sicurezza in Israele”. Cosa ha pensato vedendo le immagini dei soldati
linciati a Ramallah? “Sono rimasto scioccato come chiunque altro. E' stato
disgustante. I responsabili dovrebbero essere puniti severamente. Ma Arafat
sa che può fare poco per contenere la rabbia del suo popolo, che
è una rabbia genuina di chi ha poco da perdere”. Qualcosa sta cambiando
rispetto al passato? “Quasi 100 palestinesi sono stati uccisi nelle ultime
settimane per resistere all'occupazione israeliana. Storicamente parlando,
i palestinesi restano le vittime. Questa è la verità
essenziale e l'assassinio brutale di due soldati israeliani non deve farcelo
dimenticare”.
|
o |
Ringraziamo l'autore Joe
Sacco
e l'editore Fantagraphics
per averci concesso
la pubblicazione
delle immagini di questa
pagina
-
Altri articoli
Dentro
la
nuova
Intifada
Diario
di viaggio
di
Farshid Nourai
Un
popolo
sotto
tortura
di
Ettore Masina
La
diaspora
palestinese
di
Paolo Zoratti
(31
ottobre 2000)
Le
news
e
i commenti
nel
notiziario
di
Nonluoghi
|