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Zingari, nomadi, Rom:
problemi di definizione
Quando la semantica è al servizio
della politica e del potere (poliziesco)
"Bisogna innanzitutto mettere ordine nelle parole stesse e ben definirle. […] Decidere la parola è un po’ decidere il metodo d'analisi […] Decidere la parola è stabilire una frontiera". (G.H. Allard.) Nel linguaggio comune, nei documenti ufficiali, nei mass-media, si ricorre con frequenza al termine "nomadi". L'uso che si fa di questa parola, che si è andata sovrapponendo e spesso sostituendo al termine "zingari", è fonte di numerosi spunti di riflessione. I due termini sono entrambi eteronimi, cioè attribuiti ad un gruppo da soggetti esterni ad esso. La parola zingari e i suoi corrispettivi nelle altre lingue europee (Tsiganes, Zigeuner, Cigani, Zigenare, ecc.) hanno un'origine antica che rimanda all'arrivo delle prime comunità Rom sul territorio europeo. L'etimologia comunemente accettata del termine lo fa derivare dal greco athinganoi, nome di una setta gnostico-manichea diffusa a partire dal VIII secolo nell'Anatolia occidentale, che significherebbe appunto "intoccabili" (thinganein, "tocco con le dita"), questa etimologia è criticata da alcuni autori, tra cui Soulis e Drettas, che la giudicano altamente improbabile. Resta il dato rilevante del suo essersi conservata nei secoli, che non può certamente essere sottovalutato. Un termine quindi con una lunga storia e radicato nella nostra cultura alta e popolare, si pensi per esempio alla tradizione delle Zingaresche. La parola "nomadi", invece, ha una storia più recente. Entrata a far parte del vocabolario scientifico grazie soprattutto all'interesse della nascente antropologia per i popoli lontani, "selvaggi" e "primitivi", la si è ben presto estesa anche a quei gruppi che abitavano da tempo in Europa ma che conservavano dei costumi e degli usi non riducibili al modello patriottico-capitalista europeo. Sostiene
Piero Colacicchi:
Il frequente utilizzo oggigiorno dell'appellativo "nomadi" poggia su argomenti diversi che finiscono per rimandare l'uno all'altro, giustificandosi vicendevolmente. Dai mass-media - giornali, radio, televisioni – la parola zingari è praticamente scomparsa, a vantaggio del termine nomadi, considerato più politically correct, il che rinvia direttamente al potere di "costruzione della verità" (Foucault,1988) e della realtà dei governanti; nel linguaggio ufficiale, anche se negli ultimi anni qualcosa sembra stia cambiando, la preferenza per questo termine si basa, da una parte, sulla considerazione dei numerosi e radicati significati negativi associati al termine "zingari", dall'altra, sull'identificazione del nomadismo come tratto distintivo dell'intero popolo Rom. Non si tratta, è bene dirlo, di una scelta esente da conseguenze sul piano delle scelte politiche. Secondo l'antropologo Claudio Marta: “l’eteronimo costituisce un elemento importante nelle strategie d’intervento che le pubbliche amministrazioni intraprendono nei confronti delle popolazioni zingare”, in particolare, trattandosi di termini che hanno un’area semantica vasta che permette di evitare ogni definizione precisa, è possibile manipolarli in modo da renderli funzionali all’uso politico che si intende fare. La questione dei confini
della categoria "zingari", così come quella dell'identificazione
di caratteri che possano accomunare tutti i gruppi che comunemente si fanno
rientrare all'interno della categoria stessa è di difficile soluzione
e coinvolge non solo i politici ma anche gli studiosi di cose zingare.
All'interno dell'insieme
sfumato (fuzzy) "zingari" è possibile operare in modo da definire
dei confini nitidi attraverso dei tagli alfa - emici, se provenienti da
soggetti interni alla comunità, o etici, qualora siano opera di
persone esterne ad essa. Talvolta questo tipo di operazione, soprattutto
quando è fatta dall'esterno, è inconsapevole e parte dell'operazione
di "traduzione" culturale.
Siamo giunti
quindi ad un crocevia in cui si incontra scienza e politica, logica e pragmatica.
Afferma Piasere in proposito: "Ecco quindi che, attraverso una discussione
tutta interna alla logica della conoscenza, veniamo catapultati al di fuori,
all'interno del mare magnum della pragmatica, della morale, della politica:
la "purezza" della scienza è, tutto sommato, un concetto sfumato…"
Il fatto, poi, che il nomadismo si sia, a partire dal secondo dopoguerra, liberato, almeno formalmente, del corollario di significati negativi che lo accompagnavano, divenendo degno di tutela da parte di organismi nazionali e sovranazionali, ha ulteriormente rafforzato l'equazione Rom=nomadi. La parola nomadi è utilizzata per individuare e delimitare un gruppo umano ben definito, che si vuole parte dell'insieme più ampio costituito dalla totalità dei gruppi itineranti. Si tratta di un eteronimo, cioè di un termine con cui noi identifichiamo un gruppo che percepiamo come altro rispetto al nostro e che, per l'uso che se ne fa in particolare in Italia, è anche un etnonimo, cioè un termine atto ad identificare un gruppo umano contraddistinto da caratteristiche culturali definite. Un etnonimo però con un connotato, il nomadismo, che finisce, da una parte, con l'essere al tempo stesso causa e conseguenza di un processo di misconoscimento della complessità culturale delle comunità Rom, dall'altra, con indirizzare verso soluzioni di tipo transitorio e precario le politiche nei confronti dei Rom. Il rapporto tra denominazione e scelta politica, forse è opportuno chiarirlo, non è unidirezionale. L'etnomino "Rom" è un autonimo, cioè un termine attraverso il quale gli stessi membri di un gruppo si autodefiniscono. Esso rappresenta bene, soprattutto a partire dagli anni '70, la battaglia politica portata avanti da questa minoranza etnica per il proprio riconoscimento internazionale. L'etimologia del termine è controversa, in generale si fa risalire il termine alla radice indoeuropea "ghdom" che indica "l'essere terrestre". Ma a prescindere da ciò, quello che più mi interessa evidenziare è come la sua affermazione come etnonimo ufficiale negli organismi internazionali e nelle istituzioni a carattere regionale e locale sia strategica e strumentale all'affermazione dei diritti di un gruppo non solo maltrattato ma spesso misconosciuto. Quanto detto è una premessa. Ricostruire alcuni percorsi migratori, l'accoglienza tributata ai profughi nel nostro paese, le questioni relative allo status giuridico potrebbe consentire di rileggere le considerazioni fatte sopra da un altro punto di vista, immergendole nelle quotidianità, infatti, appare con forza il carattere eminentemente politico di certe definizioni, insieme alla peculiarità delle storie individuali, familiari e collettive che difficilmente possono rientrare in categorie generali che rischiano di essere generiche.
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o | Una
riflessione
a margine dell'incontro organizzato dalla commissione per le politiche di integrazione degli immigrati a Napoli. Tra gli intervenuti anche il nuovo sottosegretario con delega sull'immigrazione, Di Nardo, che davanti ad una platea costituita da rom, sinti e gagè interessati al superamento delle discriminazioni anche istituzionali che sono costretti a subire i membri di questa minoranza ha ricordato, con grande convinzione, che in Italia bisogna garantire la sicurezza, che siamo pieni di droga, prostituzione e clandestini... Di riflessioni su quanto detto nell'incontro di Napoli andrebbero fatte. Per i contenuti espressi, per la forma di comunicazione e per la distanza rispetto agli interlocutori a cui si fingeva di rivolgersi. Un congresso per congressisti professionisti , senza differenze di appartenenza etnica. Lontano dalla puzza e dai topi, dalle quotidiane discriminazioni e dai campi. (28
giugno 2000)
Napoli,
Il
dossier
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