di
ALBERTO CASTELLI
Mi
propongo di scrivere qualche osservazione in margine all’articolo di Eugen
Galasso, Haider e i travestimenti della storia,
che leggo in questa metà settembre. Spero così che possa
nascere un dibattito su un tema che stimo molto importante.
Galasso accusa Haider e il suo movimento di essere nazisti travestiti da
democratici. Certamente molte dichiarazioni di Haider non lasciano sperare
che lui e il suo partito siano mossi dai più puri propositi liberali
e democratici: non si può negare, infatti, che sfruttino le tendenze
xenofobe e violente degli elettori per ottenere i loro scopi. Tuttavia
non credo che sia del tutto corretto affermare che Haider è nazista;
credo anzi che possa essere fuorviante e, alla fine, controproducente.
Il nazismo e lo haiderismo non possono essere semplicemente considerati
uguali sulla base del fatto che si nutrono di un insieme di, ignoranza,
xenofobia, etnocentrismo e bassa demagogia. Dietro questa facciata comune
esistono differenze profonde. Non sembri una questione accademica: chiamare
il proprio avversario politico con il nome giusto è il primo passo
per comprenderlo e combatterlo in modo efficace.
Non pretendo,
in questo articolo, di esaurire il tema delle differenze che passano tra
il nazismo e lo haiderismo perché non ne sarei capace, ma, dal momento
che Galasso tende a eguagliare i due movimenti sul piano della mentalità
dei loro seguaci, sarà forse utile mettere in evidenza quali siano
le origini psicologiche o sociologiche del nazismo e quali quelle del movimento
di Haider. A proposito dell’humus sociale in cui il nazismo ha potuto nascere
e svilupparsi, mi piace richiamare alla memoria quanto diceva
Andrea Caffi, uno degli intellettuali che ispirano con i loro scritti
questa rivista: “Le esperienze accumulate, i sentimenti repressi durante
gli anni di schiavitù militare - Caffi si riferisce alla Prima Guerra
Mondiale - esplodevano ad un tratto. Le masse sapevano di essere state
non solo sfruttate come carne da macello, ma anche beffate in modo atroce
per mezzo di enormi menzogne” (Nuova generazione, 1934, ora in Scritti
politici, a cura di G. Bianco, Firenze, La Nuova Italia, 1970, p. 144).
L’esperienza della guerra, il disagio, la povertà e le ingiustizie
hanno provocato lo sviluppo di una mentalità nihilista, la rivolta
contro tutto e la propensione ad aderire con entusiasmo a dottrine che
propugnano la violenza, l’odio di razza, e “l’asservimento <<totalitario>>
della persona umana” (Ivi). Da tutto ciò, ha origine il nazismo.
Da dove
nasce, invece, la mentalità cavalcata da Haider e dal suo movimento?
Non certo dal disagio, dalle ingiustizie subite, dalla guerra, dalla volontà
di rivolta contro tutto. L’Austria non è certo un paese povero.
Anzi, i suoi abitanti – come quelli della Svizzera e del nord Italia, per
esempio – sono benestanti e godono di notevoli privilegi. Perché
tanto malcontento allora? Perché la xenofobia? Io credo che il fenomeno
Haider sia da considerare, insieme alla “nostra” Lega Nord e alla destra
svizzera, una reazione di un ceto privilegiato contro una presunta minaccia
(gli stranieri, l’Europa ecc.) ai propri privilegi. Paura del diverso e
dell’ignoto, dunque, non rivolta isterica contro tutto; conservazione dello
status quo, non volontà di capovolgere o distruggere un mondo uscito
dai cardini; valori piccolo borghesi e filistei, non nihilismo. Queste
sono le differenze tra la mentalità su cui attecchisce il movimento
haideriano e quella da cui è sorto il nazismo. Si potrebbe obiettare
che le cose sono più complesse e che anche nel nazismo esistevano
elementi di filisteismo e di mentalità piccolo borghese. Tuttavia,
questo non annulla la differenza profonda delle condizioni psicologiche
che hanno generato i due movimenti
Forse,
questo sottolineare le differenze tra Haider e il nazismo spiacerà
a qualcuno: è bello, infatti, poter identificare ciò che
non ci piace (il partito di Haider, in questo caso) con qualche cosa che
nelle nostre menti coincide con l’assoluto negativo (il nazismo, appunto).
In questo modo il nemico attuale risulta essere una nuova incarnazione
del Nemico per eccellenza e, per questo, ci sentiamo tutti più giustificati
a denigrarlo. Ma tale coincidenza, in primo luogo, non è vera; in
secondo luogo, è deleteria, perché ci spinge a non tentare
di comprendere le peculiarità del nuovo nemico e, quindi, ci rende
incapaci di combatterlo in modo adeguato. D’altra parte, non abbiamo bisogno
di pensare che Haider sia nazista per sapere che dobbiamo combatterlo.
Non è necessario affermare l’equazione Haider = Hitler per desiderare
che le sue idee e il suo movimento politico siano al più presto
archiviati come un episodio spiacevole di un’Europa democratica.
C’è
poi una affermazione nell’articolo di Galasso che mi è molto dispiaciuta.
Galasso scrive: “Quasi quasi vien voglia di rimpiangere il tiranno rosso
rumeno Ceausescu,(…) o il <<folle>> ultra-nazionalista russo Zirinowsky,
che spesso le spara grosse, proponendo nuovi assetti dell'ordine mondiale,
offendendo a destra e a manca (anche a destra, però...), garantendo
comunque un po' di <<movimento>>, quando ce n'è bisogno, pur
se le modalità della cosa e i suoi fini non ci piacciono”. In che
cosa, mi chiedo, Zirinowsky o Ceausescu sarebbero meglio di Haider? Cosa
sarebbe in concreto questo “movimento quando ce n’è bisogno” che
Zirinowsky sarebbe in grado di produrre? La dittatura è tale al
di là della vernice ideologica che le si vuole dare. Non mi interessa
se la democrazia e la libertà saranno affossate da un autoritarismo
di destra o da uno di sinistra. Non c’è differenza. Mi interessa,
invece, che la democrazia e la libertà rimangano in vita e crescano.
Ancora il pensiero del socialista Caffi può aiutarci a chiarire
questo punto, quando, nel 1932, definiva l’Unione sovietica negli stessi
termini in cui definiva il fascismo e il nazismo, e cioè, “uno Stato,
efficiente nell’esercizio dei suoi assoluti poteri; (…) un grandioso meccanismo
per la coercizione e lo sfruttamento degli individui e per l’azione (…)
entro il sistema dei rapporti internazionali” (Opinioni sulla rivoluzione
russa, 1932, ora in: Scritti politici, p. 98). Caffi, insomma, ci dice
che la contrapposizione che ci deve interessare non è tra destra
e sinistra ma tra forze liberali, o libertarie se vogliamo, e forze liberticide.
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Alberto
Castelli replica in questo intervento a Eugen Galasso sulla questione Haider.
Prende
corpo così un dibattito cui ci auguriamo altre voci vogliano aggiungersi.
Il
Tirolo fra Andreas Hofer
e
Jörg Haider
di
Alex Langer
Le
"epurazioni" viennesi: Pelinka condannato per diffamazione
Il
programma di Haider: "L'Austria non è adatta alla immigrazione"
(25
settembre 2000)
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