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Ciechi dall’occhio destro:
il Tirolo fra Andreas Hofer e Haider
Un articolo di Alex Langer del '94 per
capire l'Austria d'oggi e le sue radici dimenticate
I tirolesi – come tutti gli altri popoli – si vedono
in un modo che spesso è esagerato e distorto. Ci consideriamo la
più antica democrazia (o perlomeno una delle più antiche
democrazie) d‘Europa o persino del mondo, in cui anche i contadini avevano
voce in capitolo. Andiamo fieri del fatto di essere rimasti fedeli alla
casa degli asburgo per quasi 600 anni (la loro fine non è certo
dipesa da noi) e della nostra forte e spiccata coscienza di appartenere
al nostro territorio – oggi forse si chiamerebbe regionalismo o autonomismo
– che può senz‘altro anche arrischiare prove di forza con Vienna
(per non parlare di Roma o Bruxelles). In genere consideriamo l‘eredità
contadina come una specie di tratto caratterizzante del Tirolo – certo,
c‘erano anche la nobiltà e la borghesia, ma le radici contadine
sono un po‘ più forti. Sappiamo di essere saldamente ancorati alla
tradizione „cristiano-cattolica“, sigillando questo attaccamento con giuramenti
e feste, per cui il Sacro Cuore di Gesù e la Madonna sono i nostri
alleati più sicuri, e offrendo di norma onori e potere del tutto
particolari alla chiesa cattolica e ai suoi prelati. I tirolesi sono comunque
abituati ad essere rispettosi e ubbidienti nei confronti delle autorità.
Non ci si vergogna di essere nel complesso piuttosto diffidenti nei confronti
delle innovazioni e di avere per certi versi fatto dell‘atteggiamento conservatore
un carattere di gruppo. Tutto ciò lo indoriamo volentieri con il
senso e l’amore della libertà, come se fossero qualità dei
primi tirolesi, per le quali ci dichiariamo sempre disposti ad intervenire,
anche combattendo.
Ma per quale
motivo proprio a partire dal XVI sec.? Perché questo corpus spirituale,
culturale e ideologico si è in sostanza potuto formare e consolidare
dopo e grazie alla repressione della rivolta contadina tirolese e all’affermarsi
della controriforma cattolico-asburgica.
Per quale motivo
per es. l’umiliazione di studenti italiani (o meglio dei “Walschen” del
Tirolo e dell’Austria) all’Università di Innsbruck all’inizio del
secolo non è stata sentita e combattuta come non propria ai tirolesi?
Per quale motivo i fanatici pangermanici che in Trentino cambiavano i nomi
ai paesi, alle città e ai campi non sono stati trattati come fomentatori
non tirolesi? Perché, dopo la divisione del Tirolo, autorevoli tirolesi
a sud del Brennero hanno ben presto elogiato il fascismo come una forma
di governo che in fondo andava bene, anche se aveva il difetto di essere
italiana, e degli autorevoli tirolesi a nord del Brennero giudicarono
positivamente l’austrofascismo autoritario e di matrice cristiano-sociale,
senza sentire quanto era lontano dalla democrazia e dal tanto decantato
amore per la libertà dei tirolesi?
Certo, anche
in Tirolo ci sono stati coloro che hanno tentato di mettere in guardia,
i dissidenti, la resistenza e persino il martirio (e davanti ai combattenti
e alle vittime dobbiamo ancor oggi inchinarci con gratitudine), ma la lotta
ai corpi estranei che in passato era stata così efficace ha miseramente
fallito nei confronti del flagello di colore marrone. Contro il flagello
nero del littorio romano si è combattuto, solo perché questi
era vissuto come un’oppressione straniera, per cui in quel caso l’immunizzazione
contro i corpi stranieri ha funzionato.
Cosa è
successo al “sentimento di popolo tirolese”? Come è possibile che
ci si debba ancora giustificare di combattere contro il nazismo e le velleità
di grande Germania piuttosto che per il fatto di nutrire sogni di questo
tipo?
Da questo punto
di vista si può forse trovare nel grande sradicamento dei tirolesi
– che in sostanza comprende due aspetti dello stesso evento storico, ovvero
la fine della vecchia Austria e la divisione imposta del Tirolo – una delle
possibili spiegazioni al deplorevole fallimento della lotta ai corpi estranei.
Ciò è successo per colpa degli altri.
Inoltre, le regioni con latenti conflitti etnici o di confine (vedi per es. anche la Carinzia o Trieste) sono terreni particolarmente fertili per idee fasciste o nazionalsocialiste. Questo richiede un impegno maggiore e assai più consapevole proprio da parte di noi tirolesi democratici che oggi viviamo a nord e a sud del Brennero, al fine di allontanare il nazionalismo, il fascismo e l’estremismo di destra e far crescere la democrazia e la tolleranza come un prodotto nostrano. Se è
vero che “l’ideologia tirolese” ha prodotto un’identità così
compatta con una così vigile ed efficace lotta ai corpi estranei,
bisogna chiedersi in che modo, da un lato, si possa contribuire per mettere
in luce in modo credibile e stigmatizzare quanto di “estraneo e non-tirolese”
c’è nelle mentalità fasciste, razziste e sobillatrici, ma
anche nel consumismo sfrenato e nell’ossessiva corsa alla crescita (economica)
e, dall’altro, valorizzare le radici tirolesi di quelle aspirazioni in
cui crediamo riconoscere una maggiore umanità, democrazia e solidarietà
(senza per questo apparire in falsi abiti, in questo caso in un falso abito
tradizionale tirolese).
Fino ad ora
ciò non è stato possibile e le forze sociali e democratiche
non sono riuscite ad affermarsi. Piuttosto hanno preso il meglio tutt’altri
vincitori di guerra che con false insegne tirolesi, rifatte all’ultima
moda – dall’abbigliamento alla lingua, dalla benedizione della chiesa all’approvazione
politica – hanno convinto tutti a liberarsi dei concetti tradizionali per
sostituirli con le loro autostrade, i loro impianti di risalita e i loro
colossi alberghieri.
Se a questa
oggi risorgente cecità, permissività o persino complicità
nei confronti di movimenti totalitari e di matrice fascista – questo succede
anche in Italia, dove con Berlusconi nell’occidente democratico per la
prima volta è arrivata al Governo una formazione che raccoglie chiaramente
l’eredità del fascismo – si risponde solo con una mobilitazione
antifascista, analisi cervellotiche, rievocazioni nostalgiche della Resistenza
dei tempi passati, dotte elucubrazioni politiche e violenti anatemi, la
causa è persa sin dall’inizio.
Di questi elementi facenti parte del patrimonio tirolese che oggi vanno messi maggiormente in luce, vorrei citarne quattro, nella speranza di dare maggiore considerazione e diritto di esistenza anche a questi aspetti della nostra così spesso evocata specificità tirolese: La tradizione
democratica del Tirolo che non può limitarsi al fatto che già
nel Medioevo esisteva un consiglio con quattro ceti sociali;
Sarebbe auspicabile, nel nostro comune intento di difenderci dalla seduzione totalitaria, riuscire a valorizzare e richiamare a nuova vita alcune fondamentali e innegabilmente autentiche radici tirolesi. Movimenti “anti-qualcosa”, resistenza, protesta, misure di legge sono spesso necessari, ma alla fin fine darà maggiori frutti il lavoro di convincimento che umanità, democrazia, solidarietà, giustizia e diritti umani, pace, mantenimento della natura sono valori più alti e più credibili che non sangue e suolo, nazione, razza, potere, denaro e consumo. |
o | Una
comunità che salva della sua storia, delle sue radici, solo cviò
che è funzionale al disegno di una maggioranza. In questo scritto
critico del 1994 (inedito in italiano) Alex Langer, parlando di tirolese
del Nord e del Sud punta il dito contor la rimozione delle altre radici,
quelle più profonde della convivenza intgeretnica che pure ha caratterizzato
il cammino di questa terra. Scrive: " Sarebbe auspicabile, nel nostro comune
intento di difenderci dalla seduzione totalitaria, riuscire a valorizzare
e richiamare a nuova vita alcune fondamentali e innegabilmente autentiche
radici tirolesi. Movimenti “anti-qualcosa”, resistenza, protesta, misure
di legge sono spesso necessari, ma alla fin fine darà maggiori frutti
il lavoro di convincimento che umanità, democrazia, solidarietà,
giustizia e diritti umani, pace, mantenimento della natura sono valori
più alti e più credibili che non sangue e suolo, nazione,
razza, potere, denaro e consumo".
Le riflessioni di Langer possono servire a comprendere un po' di più quanto sta accandendo in Austria e i suoi sbocchi possibili. (L'articolo fu pubblicato in “Südtirol Profil” il 7 novembre 1994; traduzione di Christine Stufferin). Grazie
a Edi Rabini e alla fondazione Langer di Bolzano
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