di
LUCIANO LOCCI
I
termini globalizzazione e new economy ricorrono con ossessione
da tempo nell'universo dei media, pervadono le riflessioni dei più
illustri rappresentanti del mondo politico, animano, d'altro canto, i più
recenti ed importanti movimenti di contestazione.
La
globalizzazione è per il comune cittadino prima di tutto un'ossessione
lessicale: il più banale e generico dei discorsi del politico meno
ispirato viene nobilitato dall'appello alla globalizzazione, al mondo globalizzato
dalla net economy; e prende forma nella coscienza comune l'idea che davvero
il mondo stia vivendo un momento di straordinaria trasformazione, di radicale
rinnovamento, al quale bisogna adattarsi.
Perché
non parlare di capitalismo avanzato, perché non definire la fruizione
di massa dell'informatica semplicemente come la forma più recente
di una società capitalistica moderna e tecnologicamente avanzata?
La diffusione di Internet non ha sconvolto affatto i meccanismi produttivi,
gli elementi strutturali , fondanti della civiltà capitalistica:
se si trattasse, semplicemente, della scoperta di un nuovo potentissimo
canale di vendita e di comunicazione, che fra l'altro, comincia a manifestare
preoccupanti segnali di debolezza in determinati settori?
In altri termini,
per quali ragioni insistere sugli elementi di rottura, perché promuovere
l'idea della travolgente rivoluzione tecnologica, anziché rimarcare
gli elementi di continuità con le strutture tradizionali della società
capitalistica? E' evidente che l'idea della globalizzazione rivoluzionaria
è fruttuosa e redditizia per i centri tradizionali del potere economico
e politico. E questo spiega l'orgia mediatica attorno all'argomento.
Tempo fa il quotidiano "La
Repubblica" pubblicò il manifesto della nuova sinistra, firmato
da Tony Blair, Wim Kok, Goran Persson e Gerhard Schroeder. E' un
testo conciso, ma molto interessante per comprendere le ragioni profonde
del mito della globalizzazione. I più illustri rappresentanti della
"nuova sinistra" riconoscono tra i pilastri del "progresso globale" la
diffusione di massa della new economy e la necessità di "un patto
sociale internazionale", indispensabile "in un mondo sempre più
interdipendente". I problemi sono oggi internazionali - si dice - e
devono trovare una soluzione in una sede sovranazionale: "ci saranno sempre
persone e paesi capaci di gestirsi da soli, ma noi abbiamo una responsabilità
più ampia. Non possiamo arrestare il cambiamento, ma possiamo forgiarlo
a beneficio di molti, non di pochi ".
La globalizzazione
è presentata agli occhi dei lettori - ed elettori - come un grandioso
evento impersonale, ineluttabile, che chiede di essere guidato con
uno spirito politico "illuminato"; il fenomeno giustifica l'esistenza di
poteri sovranazionali, mentre delega agli stati nazionali neoliberisti
le questioni relative alla sicurezza: "Riconosciamo inoltre che la criminalità
rappresenta uno degli influssi più corrosivi sulla salute della
comunità e siamo per questo decisi ad usare tutti gli strumenti
a nostra disposizione, a partire da efficaci misure politiche fino alla
più avanzata ricerca tecnologica sul DNA, per contrastare la criminalità
e le sue cause". E ' la conferma ufficiale, ma drammatica per il suo riferimento
a possibili ricerche "biologiche", della svolta dei paesi occidentali verso
uno stato penitenziale, che rinuncia in nome della sicurezza e della repressione
agli ideali di giustizia e di civiltà (si veda su questo argomento,
Loic Wacquant, Parola d'ordine: tolleranza zero, Feltrinelli ed.).
Questa lettura politica
fondata sulla celebrazione della globalizzazione e della new economy, caratterizza
in Italia, ad esempio, il "nuovo pensiero" di Walter Veltroni. Si presti
attenzione, ancora una volta, alle scelte lessicali. Nella prefazione all'allegato
al n. 60 di "Reset", Veltroni sostiene che "innovazione " è la parola
chiave per il "sistema -Italia"; il paese deve essere in grado di inserirsi
"ai vertici di quella trasformazione epocale che il mondo sta vivendo(...).
Il progresso delle nuove tecnologie apre uno spazio per la politica della
sinistra (...) oggi la sfida è quella di diffondere l'uso della
rete, delle tecnologie, dell'alfabetizzazione informatica". Preso dall'enfasi,
Veltroni afferma: "L'educazione, uno dei grandi temi storici su cui
la sinistra ha costruito la sua identità, assume oggi un aspetto
inedito, quello dell'alfabetizzazione informatica". Il suo sogno è
un mondo scolastico e una vita familiare in cui la cultura e l'informazione
siano affidate alla rete: "Dobbiamo fare in modo che l'uso delle nuove
teconogie si diffonda e che Internet e personal computer diventino un canale
consueto per accedere all'informazione".
Come si può facilmente
dedurre dagli esempi precedenti, L'Italia e i paesi europei utilizzano
da tempo il mito della globalizzazione per giustificare, e quasi nobilitare,
precise scelte politiche. Ma si osservi come l'allineamento del centrosinistra
italiano ai principi enunciati nel manifesto della nuova sinistra europea,
comporta, purtroppo, anche la trasformazione dello Stato italiano
in stato penitenziale. E non è un caso, in tal senso, la sconsolante
centralità del tema della sicurezza nella campagna elettorale del
centrosinistra.
I media, le più
significative agenzie culturali (prima fra tutte ,la scuola: che dire dell'entusiastica
adesione di molti docenti e dirigenti scolastici al mito della globalizzazione
e della new economy?) forze politiche nominalmente progressiste, e non
solo la pubblicità, hanno convinto la gente che è nata una
nuova era e che oggi si vive in un mondo globalizzato.
Questo nuovo mondo, ci viene
detto, è ineluttabile, è necessario, nell'accezione filosofica
del termine, non può essere altrimenti; nessuna ragionevole alternativa
può essere contemplata. La rivoluzione è già avvenuta,
e noi siamo già in ritardo. Afferma Veltroni nel testo citato: "Mentre
l'Italia cambiava, il mondo si trasformava ad una velocità ancora
maggiore". Questo mondo, questa travolgente rivoluzione, impone dei sacrifici:
lo stato dovrà occuparsi di sicurezza e controllo delle frontiere;
neppure l'ambiente sarà di sua competenza, visto che, grazie al
Wto, le multinazionali potranno vincere agevolmente i ricorsi contro le
restrittive norme di un determinato paese, lento nell'adattarsi alla legge
globale, o incapace di comprendere e di interpretare il cambiamento epocale.
La globalizzazione prevede
che le grandi decisioni vengano prese da organismi sovranazionali: Wto,
Fondo Monetario, Unione Europea. Ma la stessa vita quotidiana, sociale
deve adattarsi alla nobile e meravigliosa rivoluzione del mondo globalizzato:
la net economy non contempla alcun diritto ad un impiego stabile; la Rete
esige uomini freschi, elastici, adattabili e flessibili. Attenzione: è
ancora una volta un sottile gioco di scelte lessicali: è sufficiente
sostituire con il termine flessibilità la parola precarietà
o l'espressione lavoro precario, per tingere di rosa uno degli aspetti
più vergognosi dell' attuale mercato del lavoro.
C'è chi si
rivolta ma la stampa è poco clemente verso il popolo di Seattle,
di Praga o di Davos, anche se i fatti oggi sembrano dare ragione alle esasperazioni
di quei giovani: si è manifestato, si è reso visibile
il drammatico cinismo delle leggi globali dell'Unione Europea, con il colpevole
silenzio sulla vicenda della "mucca pazza". Anche questa è la globalizzazione.
Per vederci chiaro, come
sempre, occorre ricercare fonti alternative del pensiero, portarsi fuori
dall'orgia mediatica che da tempo si consuma intorno altema della globalizzazione
dei mercati e delle politiche, rompere il velo uniformante dei luoghi comuni
e degli stereotipi "futuristi" creati dal neoliberismo occidentale.
Serge Latouche a livello
europeo e Marco Revelli, in Italia, hanno proposto forse la più
interessante analisi critica del fenomeno della globalizzazione, rivelandone
il vero volto.
Revelli (M. Revelli, Le
due destre, Bollati Boringhieri ed. Torino, 1996) sottolinea acutamente
e con una grande ricchezza di riferimenti la profonda continuità
della cosidetta globalizzazione con gli elementi fondanti del capitalismo,
con la stessa politica imperialistica e la più recente internazionalizzazione
dei mercati.
L'esasperata insistenza
sulla rottura piuttosto che sulla continuità del fenomeno non è
peratnto un'operazione ingenua, poiché ne consente una demagogica
e mistificante manipolazione: ecco, forse, le vere ragioni dell'abuso del
concetto da parte delle forze moderate del centrosinistra, europee ed italiane.
L'idea del mondo ormai globalizzato consente a queste forze politiche di
esasperare le svolte, di liberarsi di pesanti fardelli - quale una sincera
attenzione allo stato sociale - di compiere un salto sul grande carrozzone
del neoliberismo planetario.
La globalizzazione è,
sostiene Revelli, "simultaneità temporale: gli eventi hanno ripercussioni
quasi immediate sull'intero globo(...) i fenomeni si influenzano tra di
loro a prescindere dalla distanza spaziale tra i luoghi in cui avvengono.
Con la globalizzazione l'economia è indipendente dalla geografia".
Lo stesso Revelli cita Wallerstein
per ricondurre l'evento alla logica intrinseca al capitalismo: "l'economia
capitalistica è un sistema costituito sull'accumulazione incessante
del capitale. Uno dei meccanismi primari che la rendono possibile è
la mercificazione di ogni cosa. Le merci circolano in un mercato mondiale
sotto forma di prodotti, capitale e forza -lavoro". (I. Wallerstein, Razza,
nazione classe. Le identità ambigue, Edizioni Associate Roma 1991)
Non una mondializzazione
dei valori ma una spietata mondializzazione del mercato. Il merito del
contributo di Marco Revelli all'analisi del vero volto della globalizzazione
è, tra le varie cose, la doverosa e scomoda riflessione sugli
esclusi. Il termine globalizzazione è ingannevole perché
evoca una dimensione egualitaria, cosmopolita: un grande unico mondo, con
un grande unico mercato, con sistemi di governo internazionali, ecc.
Niente di più falso: il baratro tra Nord e Sud del mondo si sta
drammaticamente ingigantendo, ed oggi più che mai le distanze diventano
incolmabili:
"Il mondo si occidentalizza,
si omologa e si unifica dal punto di vista delle tecniche produttive e
dei mercati. Il genere umano è unificato sul piano delle interdipendenze
economiche e dell'informazione. Ma alla globalizzazione non corrisponde
un balzo in avanti della civiltà. Il modello economico - politico
occidentale conquista il mondo ma si dimostra incapace di soddisfare i
bisogni di questo mondo: ad esempio non è in grado di generalizzare
i livelli di consumo (...) Il progetto della modernità si rivela
incapace di realizzare il valore dell'eguaglianza: pochi privilegiati consumano
le intere risorse del pianeta. Il tenore di vita di europei, americani
e giapponesi non può essere esteso a tutta l'umanità".
Ecco il vero volto della
globalizzazione; ma è un'identità poco spendibile a livello
propagandistico od elettorale, di cui certo non si può andare fieri;
il capitalismo nella sua forma tecnologicamente più avanzata, proteso
verso la sistematica "occidentalizzazione del mondo", come ci ricorda il
titolo di uno dei più noti saggi di Latouche, si rivela fallimentare
sul piano etico e morale. Su questo terreno la ricerca è più
che mai aperta.
|
o |
-
Altri articoli
Costi
sociali
del
mercato:
quale
forma
di
antagonismo?
di
Pietro Frigato
Manifesto
per
un
sindacalismo
conflittuale
e
libertario
Contro
il sistema: appunti sulla “nuova” critica sociale
e
gli anni '60
di
Vittorio
Giacopini
Il
municipalismo
libertario:
un
intevento di Murray
Bookchin
(in inglese)
Umanizzare
l'economia
La
lezione
di
K. W. Kapp
Globalizzazione
e
impotenza
dell'alternativa
di
Vittorio
Giacopini
"Contro
l'Europa dei mercati".
Articolo
dell'economista
Takis
Fotopoulos
(in inglese)
Dati
empirici
sui
costi sociali delle
imprese
di
mercato
negli
Stati Uniti
(in
inglese)
Cancro
e
libero
mercato
Costi
nascosti
di
un mercato concorrenziale
Una
riflessione sulle pugnalate alle spalle dei consumatori
e
dei lavoratori
Un
capitalismo
ecologico?
Critica
a Sachs
Takis
Fotopoulos
e
la teoria
della
democrazia globale
(in inglese)
Globalizzazione,
fine dell'incontro
e
necessità
di
ricostruire
la
comunicazione
di
Pietro
Barcellona
La
fine del
desiderio
e
il ritorno
alle
origini
in
cerca d'identità
di
Fabio
Ciaramelli
Prove
tecniche
di
urbanistica
partecipata
di
Raymond
Lorenzo
Un'alternativa
nelle
reti
ricostruite
dal
basso
di
Alberto
Magnaghi
(9
febbraio 2001)
Le
news
e
i commenti
nel
notiziario
di
Nonluoghi
|