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Free software e società umana

Mi avvicinai al mondo del software libero nei primi mesi del Duemila, quando questo spazio Web muoveva i primi passi. Poco dopo, nel 2002, Nonluoghi diventava anche una piccola casa editrice, con l’obiettivo di pubblicare soprattutto saggistica in chiave divulgativa riguardante tematiche sociale, con qualche attenzione particolare, fra le altre, rivolta all’eredità e all’evoluzione del pensiero e delle prassi del socialismo libertario. Fin da subito, forte di una convinta adesione ideale alla filosofia promossa nel mondo dell’informatica e del Web da Richard Stalmann, decisi che l’intero processo produttivo per la creazione dei libri di Nonluoghi avrebbe utilizzato free software open source e sistemi operativi della famiglia Gnu-Linux.

Si trattava di una scelta pionieristica: ricordo la prima partecipazione al Salone del libro di Torino, quando se ne stupirono anche gli amici di un paio di case editrice “militanti” e con vari vari titoli in catalogo dedicati al movimento del software libero, che però in produzione utilizzavano i sistemi proprietari sulle piattaforme di un paio di note aziende americane.

Fu anche un modo di contribuire, in contatto con gli sviluppatori, al test di alcuni programmi specifici, che all’epoca erano dei neonati, come Scribus, per la grafica vettoriale, oggi un tool decisamente maturo. Insomma, un’esperienza all’inizio un po’ faticosa ma molto appagante, specie perché col passare del tempo i vari strumenti miglioravano via via rendendo più agevole il lavoro di impaginazione (anche con OpenOffice, oggi diventato LibreOffice) e di creazione della grafica di copertina (anche con Gimp) nonché di tutti i vari passaggi necessari (generazione dei codici Isbn, calibrazione della quadricromia per la stampa offset, gestione magazzino eccetera).

linuxwebUn’esperienza che peraltro successivamente ho potuto ripetere e tuttora sto vivendo, nell’ambito delle produzioni audio e video, con pacchetti come KdenLive, Cinelerra e Audacity.

Una delle caratteristiche del mondo “open” è la grande diffusione della conoscenza, vale a dire il rapido accesso alle informazioni utili per operare al meglio con il proprio computer o per risolvere eventuali problemi: basta digitare in un motore di ricerca il tipo di errore che restituisce il sistema e in genere si trova rapidamente una via di uscita. In qualche caso, però, può darsi che ci si trovi in una situazione un po’ atipica e che trovare una risposta univoca richieda più tempo. Pensando a quest’ultima circostanza, ho ritenuto di descrivere in questa sezione del sito alcuni casi che ho risolto con un po’ di sudore in questi anni: spero in questo modo di poter essere utile a chi dovesse trovarsi nelle medesime condizioni. La mia esperienza si basa su diverse distribuzioni Linux: ho cominciato con Suse, passando poi per Mandrake/Mandriva, Red Hat finendo poi a Kubuntu e Ubuntu con passaggi e da Debian che tuttora frequento con qualche pc multiboot.

Negli anni della casa editrice Nonluoghi libere edizioni, che visse dal 2002 al 2006 dando alla luce una ventina di titoli, pubblicammo anche un libro di un informatico, Mario Alexandro Santini, con l’intento di favorire l’approccio al mondo del free software anche per i neofiti.

Il volume si intitola “Un altro computer è possibile. Il software libero e la rivoluzione della comunità aperta” (che aveva una bella prefazione dell’allora senatore dei Verdi Fiorello Cortiana, promotore di una legge per l’adozione del software libero nella pubblica amministrazione) e a breve sarà possibile scaricarlo liberamente da questo sito insieme con gli altri libri pubblicati da Nonluoghi.

Qui di seguito ripropongo la nota che scrissi per quel libro, un titolo cui tenevo molto.

Nota dell’Editore

Le dinamiche del potere nella nostra epoca si caratterizzano, tra l’altro, per la sottrazione agli individui e alle comunità del desiderio di conoscere e di partecipare.

Si tratta di una rapina della libertà che avviene in gran parte mediante processi subdoli, quasi inavvertibili. La ragnatela del potere e i suoi punti di forte concentrazione delle aspirazioni di dominio generano meccanismi non tanto di rassegnazione cosciente, quanto di assuefazione al primato del sistema della delega cieca (sia essa politica o scientifica). In contesti nevralgici quali la politica, l’economia, la scienza e le loro interconnessioni, si rende desiderabile l’assenza di responsabilità partecipativa, in cambio di apparenti garanzie sul soddisfacimento di bisogni (reali o indotti). Il potere per i piú è indisponibile, ma dispensa appagamento.

Nella cosiddetta società dell’informazione l’individuo è bombardato di notizie, ma sono quasi tutte lo specchio del paradigma dominante, quasi rituali nel solco di una religione che veicola i suoi dogmi nei mass media e nelle scuole. L’impressione è di un’enorme libertà della conoscenza; la realtà è un registro monotono e ripetitivo, talora inconsapevole delle sue stesse, mostruose catene.

La mercificazione generalizzata è uno dei dogmi piú potenti, interiorizzato da tutti. A tal punto da rendere spesso impraticabili anche i propositi piú nobili i quali si infrangono nei meccanismi ricattatori che la religione del mercato ha insediato in profondità nelle nostre coscienze. Il riflesso condizionato del profitto meramente economico ha ridotto la nostra stessa capacità di valutare costi e benefici in ambito individuale e sociale. Si fatica a alzare lo sguardo oltre l’orizzonte invasivo dell’economico nella sua accezione corrente e a scorgere altre forme di tornaconto, utilità, benessere, scambio.

Questo significa che – appreso il dogma – possiamo volontariamente assecondare processi che riteniamo favorevoli o “neutri”, semplicemente perché non siamo in grado di osservarli davvero. È il caso del sempre piú desiderabile “professionismo” politico o dell’idolatria della competizione tout-court come motore del mondo. Il miglior modo di togliere di mezzo un nemico (come troppi cervelli pensanti) è trasformarlo in un sicuro alleato, portarlo dalla tua parte a suon di “informazioni”.

La questione della conoscenza di base è una delle emergenze nelle attuali dinamiche dell’oscurantismo oligarchico travestito da liberalismo democratico. In questo ambito, il movimento reticolare del software libero è una delle risposte piú articolate e propulsive. Dimostra, tra l’altro, che esistono territori la cui natura pubblica è fondamentale per la crescita collettiva in termini di sicurezza, libertà e democrazia.

Questo libro, che è rivolto a tutti e forse principalmente a chi ritiene che l’informatica non lo riguardi, spiega in modo semplice alcuni processi in atto che minacciano quei territori pubblici. Ci indica le contromisure accompagnandoci nel mondo prolifico del sofware libero, in una comunità che insiste tenacemente nella difesa di alcuni principî collaborativi, che pone dei limiti alla società della competizione, cioè difende quel substrato di solidarietà che salda le fondamenta e senza il quale lo stesso confronto tra individui e gruppi si riduce puramente a sfruttamento dell’uomo (in posizione di dominio) sull’uomo (eternamente schiavo di un gap iniziale).

La suggestione di un comune denominatore sociale ispirato dal free software e dalla licenza pubblica Gpl lascia anche intravvedere i contorni irregolari di un’ipotesi postcapitalista dal volto umano. Forse la nuova utopia cui tendere sistematicamente non sarà proprio una Gpl society che esalti la libertà di condividere e di cooperare e che ravvivi l’utilità dell’altruismo e del senso comunitario. Tuttavia, il movimento del free software, con i suoi risultati e le sue ambizioni, è senz’altro uno dei piú intelligenti e fruttuosi processi di critica al sistema e di costruzione di un’alternativa concreta alle diffuse pratiche gerarchiche di dominio e di concentrazione del potere.

Zenone Sovilla

Zenone Sovilla

Giornalista e videomaker, creatore di Nonluoghi nel 1999, ha lavorato in Italia e all'estero per giornali e stazioni radiofoniche. È redattore Web del quotidiano l'Adige.

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