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Zimbabwe: dittatura, violenze e sinistri silenzi...
L'occupazione delle fattorie, la regia del padre padrone Mugabe e chi non vuol vedere
 

  di MARTITA FARDIN
   Lo Zimbabwe ha una storia tormentata che affonda le sue radici nel colonialismo di stampo anglosassone. Nel 1965 Ian Smith, segregazionista bianco, stacca la Rhodesia (allora si chiamava così) dalla Gran Bretagna. Nel 1890 la Rhodesia diventa Zimbabwe.
   Robert Mugabe, con alle spalle una formazione scolastica di stampo gesuitico e un successivo sposalizio con il marxismo, prende il potere. Diviene così il padre padrone dello Zimbabwe. Robert Mugabe, l’uomo che diresse la lotta di liberazione contro il regime razzista di Ian Smith, dopo vent’anni di dittatura non ne vuole sapere di lasciare il potere. Nel 1989 pressioni della comunità internazionale imposero a Mugabe di accettare la presenza di partiti d’opposizione e di concedere libertà di stampa. Nel febbraio del 2000, Mugabe, fiutando che la sua carriera politica era giunta alla fine della corsa, cercò con un referendum popolare di convincere la maggioranza degli zimbabwani che venti anni di potere erano troppo pochi e che lui doveva rimanere alla guida del paese, lui e i suoi veterani. I risultati del referendum gli diedero torto e Mugabe si beccò la prima netta sconfitta della sua carriera politica. 
   Ma non si diede per vinto. Rispolverò l’antica questione dell’ingiusta distribuzione delle terre, visto che la questione agraria accompagna lo Zimbabwe dalla storia della sua nascita. Questi i dati: circa 4500 coloni bianchi hanno 11 milioni di terre fertili, un milione di agricoltori se ne spartisce 16 milioni, spesso in zone dove la siccità si fa sentire. Il punto della questione è che tutti, coloni bianchi compresi, sono convinti della necessità che le riforme vadano fatte, per raggiungere una situazione più equa per tutti. Mugabe però non ha mai fatto una proposta sensata in questa direzione. Parlano i fatti. Un paio di volte Mugabe ha espropriato delle terre, con il solo scopo di favorire l’oligarchia dei suoi fedeli ed amici, non per darla a gente che ne avesse davvero bisogno. Così la comunità internazionale, dopo che la Gran Bretagna si era rifiutata di mettere a disposizione altri fondi per la compensazione, dopo aver stanziato circa 120 miliardi di lire e non aver visto un mutamento di rotta da parte di Mugabe, vuole vedere un progetto organico prima di dare a Mugabe altri fondi necessari per finanziare la riforma. Il problema dello Zimbabwe sono allora i bianchi, meno di settantamila, meno degli elefanti che stanno nei parchi nazionali?

   La soluzione per via pacifica è possibile? In verità, Mugabe, da astuto despota, ha fatto quattro calcoli: sollevare un polverone razziale per recuperare consensi. La sua logica è elementare: con l’indice puntato contro i coloni, meno dell’1% della popolazione, vuole individuare un colpevole della miseria del 65% dei 15 milioni di zimbabwani che campano con meno di un dollaro il giorno. Agitando il tema della colonizzazione cerca con retorica popolare di infiammare gli animi di miserabili prostrati dalla miseria, sperando che dimentichino o non si accorgano che la vera causa dell’indigenza consiste in buona parte nella corruzione della classe politica al potere, che si sostanzia nella mancanza di case decenti, di assistenza medica, di disoccupazione dilagante, cui si aggiungono crisi economica e aids. Così il padre padrone dello Zimbabwe per mantenere il potere ha scatenato la violenza dei suoi veterani contro i coloni bianchi, ma anche contro i neri del partito d’opposizione. Mugabe ha trovato il suo braccio armato in Chenjerai Hunzvi che guida l’assalto alle fattorie dei bianchi. Ha in corso vari processi per truffa (si è fatto riconoscere un’invalidità del 117% in qualità di guerrigliero per la liberazione - bel colpo per uno che non ha mai combattuto; ha intascato un assegno di oltre mezzo milione di dollari dello Zimbabwe, cifra pari a trenta milioni di lire e poi è stato accusato d'aver fatto sparire dalle casse di proprietà della Zlnwva  - associazione veterani di guerra - 3 milioni di dollari dello Zimbabwe) ma ama paragonarsi ai grandi della storia. Hunzvi è il leader dei veterani di guerra, anche se non ha mai imbracciato un fucile. I lavori sporchi li fa fare agli altri e dispone di una massa umana pronta all’uso. 
   L’associazione veterani, a distanza di vent’anni dalla fine della guerra esiste ancora, ma esiste perché composta di gente che per vari motivi non è riuscita a trovare quel posto al sole nella società dei potenti che con regolarità ricorda i suoi meriti passati nella guerra di liberazione per avere privilegi e ritocchi alla pensione.

   Niente viene fatto per niente. La crisi economica dello Zimbabwe iniziò tre anni fa, quando Hunzvi ottenne per tutti i suoi un premio speciale di 2.500 dollari americani e un assegno mensile di 100 dollari in un paese in cui il salario minimo è inferiore a trenta dollari. Non avendo tutto quel denaro in cassa, il governo si mise a stampare moneta, l’inflazione divenne galoppante, gli investitori si diedero alla macchia, le banche sospesero i crediti fino al giorno in cui i conti non sarebbero tornati sotto controllo. Stiamo ancora aspettando.

  Nel frattempo Hunzvi si è messo a capo del braccio armato violento, rimpolpato con schiere di disoccupati e ha dato inizio ad una sistematica occupazione violenta delle fattorie dei bianchi, con violenze ed uccisioni di civili bianchi e neri. Ma questo, a quanto pare, non scandalizza i paladini di una certa sinistra che si mobilita solo se il sangue versato ha lo stesso colore politico della sua ideologia. Perché la sinistra italiana tace su Mugabe? Illuminante la dichiarazione di Dario Fo in proposito di fronte alla violenza di Mugabe in questa giovane parte di Africa decolonizzata: “Non riesco indignarmi fino in fondo – dice Fo -, perché di fronte alla violenza bisogna fare la fatica di distinguere”.

   Distinguere cosa? Forse è solo questione di referenti politici. Dal 1980 Mugabe è stato il padre-padrone dello Zimbabwe, con l’aiuto dei veterani sotto l’egida della liberazione dalla schiavitù colonizzatrice, sventolando la bandiera del liberatore dallo sfruttamento dei bianchi, ha annientato l’opposizione e l’economia. La gente campa con meno di 2000 lire il giorno, mentre il governo spende soldi per elicotteri da combattimento. Di redistribuzione delle terre non ha mai più  parlato. Per Fo è tutta colpa della colonizzazione. Ma intanto Mugabe occupa le fattorie, uccide i coloni, i civili neri che non la pensano come lui. Dario Fo sembra avere dubbi in proposito: “I coloni sono diventati proprietari di quelle terre, le hanno anche bonificate, ma con quale diritto? Sono sempre possessori non legali di un territorio che per secoli era stato libero, chiaro che chi porta l’indipendenza può anche approfittare di questa parola magica che è la liberazione. Ma tutto questo non mi meraviglia e non mi indigna”. 
   Come se per Fo, insomma, ci fossero due pesi e due misure nel giudicare i dittatori: dipende dall’ideologia; ma i criminali, che si chiamino Pinochet, Pol Pot o Mugabe, restano sempre tali al di là della pelle e soprattutto del referente politico, quando ammazzano i civili, governano con la forza e l’inganno e il terrore, quando riducono il popolo alla fame. 


o Un'analisi dei fatti che stanno insanguinando il paese africano: dietro le quinte lotte di potere 
sulla pelle della popolazione
bianca e nera.
(30 maggio 2000)

 
 
 

 

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